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Mai più visite in studio per i medici dei nostri ospedali. Adesso con la libera professione si fa sul serio. Non ci saranno altre proroghe". Sono le parole del ministro della Salute, Renato Balduzzi, che lo scorso febbraio ha chiarito la volontà di mettere ordine in un settore in cui regna l’anarchia. L’annuncio ha messo in fibrillazione il mondo della sanità che da tredici anni attende, di proroga in proroga, una riorganizzazione. Ma niente paura, nella proposta del ministro c’è l’immancabile proroga: nulla cambierà fino a novembre, in attesa di un passaggio graduale verso nuove regole. A dire il vero una norma che riorganizza l’attività libero-professionale dei camici bianchi esiste già (legge 120 del 2007), ma non è mai entrata in vigore, vittima anch’essa del regime delle proroghe. Perché non applicarla subito? Perché ricominciare a negoziare con i medici, i sindacati, le Regioni, il Parlamento, con la certezza di non arrivare a nulla primadelle elezioni del 2013? Facciamo un passo indietro. Nel 1999 venne data la possibilità ai medici di svolgere l’attività privata all’interno degli ospedali, sperando di porre fine al dirottamento dei pazienti nelle case di cura. Dopo più di dieci anni da quella riforma il risultato è modesto: tante aziende sanitarie non hanno adeguato gli spazi da destinare agli studi dei medici, molti dei quali hanno continuato a visitare e a operare nelle cliniche, nonostante abbiano accettato il rapporto di esclusività con il Servizio sanitario nazionale e il relativo aumento di stipendio. Una soluzione sarebbe a portata di mano: basterebbe applicare la legge del 2007 che prevede la libera professione all’interno dell’ospedale, ma al di fuori dell’orario di lavoro, e obbliga ad assicurare un numero di prestazioni nel pubblico non inferiore a quelle del privato. Ciò significa che se un medico esegue cento visite al mese a pagamento, ne deve eseguire almeno cento anche nel pubblico. Unaproporzione che garantisce guadagni elevati ai professionisti, riduce le liste d’attesa e tiene conto delle esigenze degli ammalati, senza discriminare i meno abbienti. Inoltre, se il medico lavora solo all’interno del suo ospedale, un paziente che viene operato di mattina e ha una complicazione il pomeriggio, sarà più tranquillo perché il suo chirurgo è lì, non è corso in clinica e si prenderà cura di lui. L’organizzazione caotica di questi anni ha creato anche terreno fertile per alcune situazioni di illegalità inaccettabile. Su 704 posizioni di medici valutate in un’indagine dei Nas nel 2011, ben 356, ovvero la metà, hanno dato origine a una denuncia. E’ ora di dire basta: si premino i medici diligenti e onesti e si puniscano i furbi, coloro che non rilasciano le fatture ed evadono le tasse, che privilegiano le visite allo studio privato trascurando il lavoro in ospedale, e quelli che in ospedale non ci vanno proprio ma si fanno timbrare il cartellino da colleghi compiacenti. Idisonesti sono una piccola minoranza ma danneggiano la stragrande maggioranza di quegli operatori sanitari che, responsabilmente, ogni giorno si dedicano ai pazienti, spesso in condizioni difficili e con strumenti limitati. E soprattutto basta proroghe. Se si vuole cambiare, si faccia sul serio e si ponga fine una volta per sempre a quell’anomalia tutta italiana che garantisce a un medico il posto fisso a vita permettendogli allo stesso tempo di svolgere la libera professione, quasi sempre senza controlli. Si scelga invece di separare i percorsi, da una parte il privato puro, dall’altra il pubblico introducendo incentivi salariali e di carriera significativi, con premi economici per chi lavora meglio e con valutazioni periodiche dei risultati. Insomma, si punti a fidelizzare una classe medica finalmente motivata e gratificata, che voglia crescere nel pubblico e che sia orgogliosa di contribuire con idee, tempo e impegno a rafforzare e rendere sempre migliore un’istituzionefondamentale per la vita di tutti noi. Ignazio Marino
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