Il Terzo Stato della Fiom e l’alternativa di governo che ancora non c’è
 











Quello organizzato dalla Fiom sabato 9 giugno è stato un vero e proprio vertice pubblico di tutte le forze della sinistra. A discussione avvenuta, è doveroso trarne “bilanci e prospettive”.
Primo. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha presentato un vero e proprio programma di governo. È partito dalle condizioni dei lavoratori in fabbrica (il che significa anche in mobilità, cassa integrazione, precarietà, disoccupazione), dimostrando come non si cambino (in meglio) queste condizioni senza affrontare i temi della legalità, della rappresentanza, dell’informazione, della scuola, della ricerca, dell’ecologia, della “governance” europea... E su ciascuno di questi temi ha dato indicazioni assai chiare sull’orientamento che deve avere un programma di governo nel quale la parola “equità” non sia una beffa. Infine, e come logica conseguenza, Landini ha spiegato che per la Fiom è all’ordine del giorno la necessità che con questo programmasi realizzi la rappresentanza elettorale-parlamentare di lavoratori, precari, disoccupati, pensionati… insomma del Terzo Stato. Che oggi non c’è.
Secondo. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha risposto no a tutti i punti programmatici qualificanti. Un no talvolta mascherato (“sull’articolo 18 abbiamo ottenuto una difesa sostanziale…”, e giustamente arrivano i fischi) ma nella sostanza inequivocabile. I due programmi, della Fiom e del Pd, sono diversi e perfino alternativi. Di Pietro ha già rivendicato i comportamenti del suo partito in linea con la linea Fiom (Ferrero e Diliberto, per quel che conta, l’hanno sottoscritta perinde ac cadaver), Vendola ha invece fatto lo slalom, con quel linguaggio fumoso che scambia per poesia. Ma alla fine dovrà decidere.
Terzo. È possibile una convivenza tra le forze che queste due organizzazioni, Fiom e Pd, rappresentano? Oppure, anche in presenza della legge elettorale maggioritaria “Porcata”, è inevitabile che vadano alle urne divise,propiziando una vittoria delle destre? Naturalmente si può obiettare che un sindacato non può occuparsi di elezioni parlamentari, ma è evidente che quando, partendo dalle condizioni di fabbrica, si arriva – giustamente – a ritenere ineludibili determinati temi programmatici politico-generali, quel sindacato è obbligato a dare indicazioni elettorali. Tanto più che è diventato, per le sue lotte e la sua coerenza, un punto di riferimento per una opinione pubblica assai vasta (e per molte lotte della società civile).
Quarto. Con l’attuale “Porcata” una divisione sarebbe ovviamente una iattura. Ma l’unico modo perché non si consumi è che l’alleanza elettorale che dovrebbe tenere unite Pd Fiom e altre forze sia affidata, per la scelta del programma e dei candidati, ai cittadini stessi. Primarie, insomma. Primarie vere. Bersani ha promesso le primarie, ma nel solito involucro di nebbia, cioè di ambiguità quanto alla sostanza. Perché ha parlato di primarie “aperte”, il che in buon italianosignifica che può partecipare chiunque rientri nell’ampio e variegatissimo spettro del centrosinistra, ma uno dei suoi più “fedeli”, Stefano Fassina (da ultimo onnipresente nelle tv), ha spiegato che prima si decide il programma e poi solo chi lo sottoscrive può partecipare alle primarie. Non ha spiegato, però, CHI lo decide il programma, se le primarie devono essere “aperte”. Perché se il programma lo decide il Pd, o un vertice tra Pd e Vendola, anziché gli elettori stessi del centrosinistra, le primarie non sarebbero affatto “aperte” ma sarebbero “chiuse”, e anzi assai più “chiuse” della famose “case” prima che arrivasse la legge Merlin.
Quinto. I vari “attori” della discussione a sinistra, o almeno qualcuno di essi , sono pronti a decidere su questo punto cruciale senza ulteriori ambiguità? Sono pronti a parlare secondo Matteo 5,37, “il tuo dire sia sì sì, no no, perché il di più viene dal Maligno”? Di Pietro, Vendola, e soprattutto la Fiom, sono decisi a porre la questione delleprimarie-per-il-programma (oltre che per i nomi, evidentemente: ma legati ai programmi) in modo ultimativo? Se non lo fanno consegnano ai vertici del Pd (per altro rissosi e divisi) il patrimonio di credibilità fin qui accumulato, e dunque lo disperdono, poiché il risultato sarà milioni di cittadini di sinistra che si rifugiano nell’astensione o votano faute de mieux il movimento di Beppe Grillo. Come si potrebbe dar loro torto?
Sesto. Forse già troppo tardi. Tuttavia il sondaggio realizzato da Pagnoncelli per Ballarò indica quali margini ancora sussistano: nelle primarie a sinistra il primo posto viene conquistato dal “candidato della società civile ancora sconosciuto”. In altri termini: se ci saranno primarie vere, e in esse ci sarà un candidato credibile della società civile (proposto o comunque “catalizzato” dalla Fiom, unico soggetto organizzato che abbia oggi l’autorità morale necessaria) potrebbe fermarsi il mare di consensi in emigrazione verso Grillo e non-voto, e potrebbeessere sventato il rischio della vittoria delle destre “decenti”, la cui nuova configurazione si va delineando (il partito cattolico di Passera-Bonanni benedetto da Bagnasco, la lista dei tecnici di Monti in tutte le varianti immaginabili, ecc.).
Insomma: perché al governo vada l’alternativa della “democrazia presa sul serio” e del Terzo Stato “giustizia e libertà” è necessario che si pronuncino subito in modo “chiaro e distinto” Landini/Airaudo, Di Pietro, Vendola, ma anche gli intellettuali – presenti o meno al convegno – che rappresentano aree di opinione vaste e identificabili (“Libertà e Giustizia”, “Alba”, “Libera”, ecc.). E i sindaci, De Magistris in primis. Altrimenti per la sinistra ci sono solo le calende greche, come dire il giorno del mai.Paolo Flores d’Arcais









   
 



 
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