Le autorità federali hanno accusato 107 dottori, infermieri e assistenti sociali di sette città americane di avere sottratto 452 milioni di dollari al Medicare, il programma di assicurazione medica amministrato dal governo americano. La cifra, come spiega il Los Angeles Times, è la maggiore ai danni del Medicare mai individuata in un singolo blitz. Il sistema di assistenza sanitaria pubblica per la popolazione sopra i 65 anni. E non si tratta di poca cosa, visto che nel 2009 l’Fbi stimava in più di 60 miliardi di dollari il volume di tali frodi (è la cifra fornita da Cbs News). Nel 2010, dei 94 accusati di aver rubato (milioni) a Medicare, 25 erano nel distretto Miami-Dade. Le richieste di contributi per la salute mentale avanzate dalla Florida sono quattro volte superiori a quelle del Texas, nonostante la popolazione del primo stato sia solo tre quarti del secondo; le terapie fisiche e del linguaggio della Florida costano 140 volte quellepraticate a New York, che conta un milione di popolazione in più, e dieci volte più della California, che ha il doppio della popolazione (Miami Herald, giugno 2010). La domanda che molti si pongono - perché la Florida abbia questo primato nella spesa sanitaria - per la la Cia e l’Fbi ha una chiara risposta: a causa della presenza di una numerosa comunità cubano-americana infiltrata da agenti del «regime dei Castro». In sostanza, e pur senza citare alcuna prova concreta in merito, Cia e Fbi da anni gettano la colpa su Cuba e ipotizzano che parte delle frodi a Medicare siano opera del «regime dei Castro», per rubare soldi al governo statunitense e per gettare discredito sulla comunità cubano-americana. Una delle basi di tale accusa è che alcuni degli imputati di frodi milionarie siano fuggiti a Cuba, da cui non esiste (per responsabilità di chi?) un trattato di estradizione verso gli Usa. Secondo le ipotesi della Cia, anche se tali presunti ladroni non sono al servizio (agenti) delgoverno dell’Avana, quantomeno pagherebbero somme ingenti per averne la protezione. Tali supposizioni sono venute alla ribalta dieci giorni fa al processo di Oscar Sanchez, 46enne cittadino Usa di origine cubana, accusato dal procuratore del Distretto meridionale della Florida di aver «lavato» attraverso banche cubane 31 milioni di dollari proveniente da frodi a Medicare. Sanchez avrebbe organizzato il lavaggio mediante una serie di (15) conti su banche estere, in Canada e Trinidad-Tobago, finiti poi nella filale cubana della Republic Bank di Trinidad e da lì «immessi nel circuito bancario cubano». Con questa formulazione del tutto generica, il procuratore ammette di non avere alcuna informazione sui conti dove in concreto sarebbero finiti i milioni di dollari rubati. Poco importa all’Fbi. Il quotidiano Miami Herald del 18 giugno titola : «I federali di Miami: i milioni rubati a Medicare finiti nel sistema bancario cubano». Nell’articolo si afferma che anonimi prosecutors, pubbliciministeri (l’accusa), sulla base di «dati finanziari in loro possesso e da informazioni di altrettanto anonimi testimoni», sono in grado di affermare che «63 milioni di dollari provenienti da frodi di Medicare sono finiti a Cuba, circa la metà per opera di Sanchez». E che, naturalmente, «non si tratta di un caso tradizionale di lavaggio di denaro». La teoria del complotto cubano è stata però smentita da Alicia Valle, portavoce del Ministero della Giustizia degli Stati Uniti: «Non vi è alcuna accusa, né abbiamo le prove che il governo cubano sia implicato in questo caso». Ma quando si tratta del «regime dei Castro» sembra che le ipotesi accusatorie non abbiano bisogno del sostegno di prove. Infatti il 19 giugno, dopo aver riferito tale dichiarazione, il Miami Herald prosegue - in un articolo dal titolo: «Il procuratore di Miami: non vi sono prove che Cuba sia coinvolta nel lavaggio di denaro di Medicare» - riportando l’opinione della «veterana analista» Maria Werlau: «E’ praticamenteimpossibile pensare che qualcuno che non sia nel libro paga dei servizi segreti cubani possa immettere milioni (di dollari) nelle banche di Cuba». Ovvero, si dà per certo che «soldi rubati ai contribuenti» statunitensi siano finiti a Cuba per opera di agenti «dei Castro». Secca la risposta dell’Avana, affidata alla vicepresidente del Dipartimento Stati Uniti del Ministero degli Esteri, Johana Tablada: «Le banche commerciali straniere che mantengono conti nelle banche cubane sono obbligate a operare in assoluto rispetto delle norme internazionali e cubane e debbono rispondere dell’affidabilità delle loro transazioni e dell’uso corretto dei loro conti». Tablada solleva quindi il nodo politico di fondo: Cuba, ha affermato, ha «una collaborazione con istituti bancari di altri paesi per scambiarsi informazioni necessarie per individuare possibili frodi finanziarie». Non con le banche americane però, «a causa del 50ennale embargo» decretato da Washington. Se il ministero di giustiziadi Washington è interessato a fare veramente chiarezza sul riciclaggio del denaro frodato a Medicare, fa capire Tablada, vi è una via maestra: iniziare conversazioni e magari una collaborazione tra i procuratori di Miami e le competenti autorità cubane. Una collaborazione di questo tipo del resto è già avvenuta in casi di stranieri che contrabbandavano droga. Anche paesi alleati degli Stati uniti collaborano con Cuba nel campo della lotta alla droga. Ma per farlo, è necessario intavolare trattative tra due Stati sovrani, alla pari. Senza arrogarsi il diritto, rivendicato invece da Washington, di stilare «liste nere» di paesi terroristi o che violano i diritti umani.
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