Nel 2011 l’11,1% delle famiglie in Italia è relativamente povero, per un totale di circa 8,1 milioni di persone e il 5,2% lo è in termini assoluti: circa 3,4 milioni di persone. Lo rivela l’Istat nel report sulla povertà in Italia nel 2011. La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti, spiega l’Istat, è pari a 1.011,03 euro. Rispetto all’anno precedente nel 2011 c’é una sostanziale stabilità della povertà relativa, che deriva dal peggioramento del fenomeno delle famiglie in cui non vi sono redditi da lavoro o vi sono operai, compensato dalla diminuzione della povertà delle famiglie di dirigenti e impiegati. Il 7,6% delle famiglie italiane è a rischio povertà: si trova poco al di sopra della linea convenzionale di povertà e, ad esempio con una spesa improvvisa, potrebbe classificarsi tra le famiglie povere. Di conseguenza in Italia è povera o quasi povera circa una famiglia su cinque. Lo rivela il report sulla povertà inItalia, presentato oggi dall’Istat. Tra le famiglie povere (l’11,1% del totale delle famiglie residenti), il 6% risulta "appena povero" cioé poco distante dalla linea standard, oltre la quale si diventa poveri; il 5,1% è "sicuramente povero". Il 23,3% delle famiglie che risiedono nel Mezzogiorno sono povere, quasi una famiglia su quattro. Aumenta inoltre l’intensità della povertà relativa, dal 21,5% al 22,3% in un anno. I poveri, quindi, sono diventati ancora più poveri. E’ quanto emerge dal report dell’Istat sulla povertà in Italia. La povertà relativa è più diffusa in Sicilia e Calabria: nell’isola è povero il 27,3% delle famiglie, in Calabria lo è il 26,2%. La povertà in Italia rimane stabile in un anno ma peggiora la condizione delle famiglie operaie: il 15,4% di queste (15,1% nel 2010) è relativamente povera, il 7,5% (6,4% nel 2010) è assolutamente povera. Migliora invece la condizione delle famiglie di dipendenti o dirigenti. Nel 2010 era relativamente povero il 5,3%, nel2011 il 4,4%. Per quanto riguarda la povertà assoluta, l’incidenza nel 2010 era dell’1,4%; nel 2011 dell’1,3%. E’ quanto emerge dal report dell’Istat sulla povertà in Italia, presentato oggi. L’incidenza della povertà relativa aumenta per le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro, passando dal 40,2% al 50,7% in un anno. Ugualmente per le famiglie con tutti i componenti ritirati dal lavoro, essenzialmente anziani soli e in coppia: il valore passa dall’8,3% al 9,6%. Tra queste ultime aumenta anche l’incidenza di povertà assoluta: dal 4,5% al 5,5%. L’Istat sottolinea poi che la povertà assoluta aumenta tra le famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (dal 4,7% al 5,4%), soprattutto se non ci sono redditi da lavoro e almeno un componente è alla ricerca di occupazione (dall’8,5% al 16,5%). In generale l’incidenza di povertà assoluta cresce anche tra le famiglie con a capo una persona con profili professionali e/o titoli di studio bassi: famiglie di operai, conlicenza elementare (dall’8,3% al 9,4%) o di scuola media inferiore (dal 5,1% al 6,2%). Peggiora, infine, la condizione delle famiglie con un figlio minore, in termini sia di povertà relativa (dall’11,6% al 13,5%) sia di povertà assoluta (dal 3,9% al 5,7%). A fronte di una deriva economica e sociale come questa, è sconcertante l’assenza di iniziative di questo governo come di quelli precedenti. Un governo, quello di Monti, che con tasse come l’Imu e con il taglio indiscriminato dello Stato sociale ha gettato le premesse per la progressiva proletarizzazione del ceto medio e per il suo impoverimento. Preoccupante è poi l’aumento del divario economico tra il Nord e il Sud d’Italia. Oltretutto, da quanto Monti e compagnia hanno fatto finora, non è possibile vedere i segnali di una inversione di tendenza. Non ci sono programmi ed iniziative concrete in funzione di un rilancio economico e della crescita e per retribuzioni più decenti. Il governo sembra soltanto preoccupato di perseguire lalinea del rigore finanziario imposta dalla Commissione europea senza pensare a programmi alternativi in grado di dare una decisiva sterzata. E non riesce, perché non vuole, offrire un segnale all’intero Paese e quindi a tutti i poveri e agli italiani in difficoltà, andando a toccare i centri del potere finanziario italiano ed estero operanti nel nostro Paese. Ma del resto, cosa ci si doveva aspettare da un governo dei banchieri? Elio Lannutti (senatore IdV) ha parlato di un divario sociale che si allarga a dismisura a causa di politiche inique e recessive. Da una parte ci sono le fasce sociali più deboli, vessate dal Governo, dall’altra i poteri forti che continuano ad arricchirsi. In questa fase, ha accusato, la disoccupazione, l’erosione del potere d’acquisto, la mancata ridistribuzione del reddito, la stretta creditizia e l’aumento di tasse, prezzi e tariffe espongono sempre più milioni di famiglie al rischio di povertà. Si sta innescando una bomba sociale pronta ad esplodere. Diquesto passo la crisi avrà conseguenze disastrose per la tenuta economica e sociale del nostro Paese. Ma l’esecutivo, ha accusato, continua a preoccuparsi di salvare le banche e le oligarchie finanziarie. Per Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl, i dati Istat rispecchiano una realtà ben conosciuta, in quanto sono note le condizioni in cui vivono lavoratori e famiglie nel Mezzogiorno, soprattutto i tanti operai in cassa integrazione e non solo questi. E’ più che mai necessaria una riforma fiscale che rimetta i soldi in tasca a chi paga le tasse o le ha sempre pagate. A chi non ha altre risorse per farlo che dare fondo al proprio reddito, sostenuto nei casi più fortunati da una casa di proprietà. Soprattutto è necessario porre fine ad una politica di rigore asfissiante. Si devono ridare risorse a chi lavora per incentivare i consumi e la produzione, senza illudersi che possa essere la riforma Fornero a combattere ladisoccupazione.
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