|
È stato presentato a Roma presso la Camera dei Deputati alla presenza di parlamentari ed esponenti della sanità italiana l’VIII Rapporto Sanità CEIS dell’Università di Roma Tor Vergata dal titolo “Opzioni di Welfare e integrazione delle politiche” ccordinato da Federico Spandonaro. Innanzitutto l’ottava edizione del volume segnala come la spesa sanitaria italiana sia in calo progressivo nel 2011 e inferiore del 26% rispetto a Francia e Germania. Il finanziamento del SSN è cresciuto in termini nominali nell’ultimo quinquennio, ma con tassi via via inferiori. Ma depurando il dato dalla variazione dei prezzi, si registra addirittura un decremento in termini reali nel 2008 (-0,9%) e nel 2010 (-0,6%). Se, invece, si guardano i valori di spesa, il gap rispetto all’Europa è evidente e anche crescente: -26,1% (-16,9% nel 1990) rispetto agli altri Paesi di EU6 (Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi). Altro tema toccato dalRapportoriguarda la compartecipazione alla spesa sanitaria, in cui si evidenzia come con i nuovi ticket 42.000 famiglie italiane si impoveriranno per pagare le spese mediche. Nel VIII Rapporto Sanità-CEIS si è simulato l’effetto sui bilanci delle famiglie di un inasprimento dei ticket, posto prudenzialmente pari a 2mld (suddiviso per il 45% a carico dei farmaci, per il 45% della specialistica e il restante 10% a carico del pronto soccorso): tale simulazione stima in oltre 42.000 le nuove famiglie che rischiano di impoverirsi per le spese sanitarie. Il Volume del Ceis ha poi affrontato il tema della non autosufficienza, evidenziando come i soldi ci sarebbero, ma si perdono in mille rivoli e gli anziani non sono assistiti. La spesa per la non autosufficienza sfiora quota 15mld, ovvero quasi l’1% del PIL. In definitiva un valore non distante da quello medio degli altri Paesi europei che hanno una apposita assicurazione sociale per la non autosufficienza. I dati, perquantoapprossimati, indicano che non fronteggiamo tanto una carenza di fondi, quanto una carenza organizzativa, ad iniziare dalla assenza di una compiuta definizione dei Liveas (Livelli Essenziali Assistenza Sociale), come anche della vera e totale riunificazione dell’assistenza sociale e sanitaria, necessaria per garantire all’individuo una presa in carico integrata, e una risposta olistica ai suoi bisogni. Chiaro il messaggio del Ceis, infine sulla spending review: la sanità ha già dato, altri tagli non sarebbero sostenibili. I ricercatori del CEIS chiariscono che non c’è nulla di sbagliato nella spending review come strumento di lavoro. Ma, per quanto riguarda la sanità, i margini di azione sono davvero limitati. A meno che non si decida di tagliare i servizi o spostare una consistente quota di spesa sui bilanci delle famiglie italiane, ad esempio aumentando ulteriormente i ticket o decidendo, ad esempio, che l’assistenza farmaceutica o la specialistica escono dal Ssn. Sintesidel Rapporto “Opzioni di Welfare e integrazione delle politiche” Roma, 13 giugno 2012 • Spesa sanitaria italiana in calo progressivo: nel 2011, – 26% rispetto a Francia e Germania • Con i nuovi ticket 42.000 famiglie italiane si impoveriranno per pagare le spese mediche • Non autosufficienza: i soldi ci sarebbero, ma si perdono in mille rivoli e gli anziani non sono assistiti • Spending review: la sanità ha già dato, altri tagli non sarebbero sostenibili Il contesto economico-finanziario. Calano le risorse e i consumi, ma crescono le iniquità La crisi economica che si è palesata nel 2011, e da cui certamente nel momento in cui scriviamo l’Italia non può an- cora dirsi uscita ha, apparentemente, toccato la Sanità meno che altri settori. Ma si tratta sostanzialmente di una mera apparenza: sulla Sanità il Governo Berlusconi era già intervenuto nell’estate, con il DL n. 98/2011. La manovra ivi contenuta è,infatti, significativa: essendo stata prevista una crescitadel PIL intorno al 3%, e un adeguamento del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ferma a meno della metà (0,5%, e poi 1,4% per gli anni 2013 e 2014),il Governo in pratica con quel Decreto programmò un arretramento dell’intervento pubblico in Sanità di quasi mezzo punto percentuale di PIL. Molto probabilmente la quota di spesa pubblica ex post non si modificherà significativamente, anzi si attesterà al 7,3-7,5% del PIL secondo le nostre stime, rispetto al 7,1% attuale, ma questo solo perché la crisi si è poi dimostrata molto più grave del previsto e quindi sarà il PIL (a denominatore) a non raggiungere i valori previsti. Aggiungiamo a conferma che il finanziamento del SSN è cresciuto in termini nominali nell’ultimo quinquennio, ma con tassi via via inferiori; e depurando il dato dalla variazione dei prezzi, si registra addirittura un decremento in termini reali nel 2008 (-0,9%) e nel 2010 (-0,6%). Nonconsiderando, poi, che ci stiamo riferendo alla sola spesacorrente: l’Italia ha anche una spesa sanitaria in conto capitale mediamente inferiore rispetto a gran parte dei Paesi OECD. Nel 2010 (OECD Health data 2011) risulterebbe pari al 3,8% della spesa totale (sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente), ma con un trend decrescente dal 2005 al 2009 e con una caratterizzazione fortemente pro-ciclica. All’emanazione del citato Decreto avevamo stimato in 10mld l’entità della manovra: fonti ufficiali si attestano ora su un valore non troppo dissimile, stimando in circa 8mld le correzioni necessarie per rispettare i documenti di programmazione. Che la manovra di finanza pubblica sia legata ai cicli economici e che incida sulla Sanità è quindi evidente; analogamente va rimarcato che la crisi investe, forse in modo ancora più incisivo, la componente privata della spesa sanitaria,il cui peso rimane significativo attestandosi ad oltre il 19% della spesa totale, per un valoredi oltre 26mld nel 2009. Nel 2009 la riduzione del PIL (-3%rispetto al 2008) ha provocato una riduzione dei consumi delle famiglie significativamente più che proporzionale (circa -6,8%); ma non può non colpire come la spesa sanitaria privata out of pocket delle famiglie si sia ridotta ancora di più: -7,6%. La crisi, facendo diventare tutti più “poveri”, per un certo verso “accorcia le distanze”: ma è una equità apparente, perché si riducono le differenze nei consumi, ma non l’impatto della spesa sanitaria sui bilanci familiari. Inefficienza. Esiste, ma è sovrastimata Il primo elemento da considerare è quello della valutazione quali-quantitativa delle inefficienze del sistema eliminabili. Di recente, vari modelli econometrici proposti sia da singoli studiosi, che da Centri di ricerca, hanno stimato quote di inefficienza nella spesa sanitaria rilevanti, dell’ordine di alcuni miliardi di euro. Va però segnalato che la validità dei modelli dipende dalla correttastandardizzazione degli output: nella realtà i criteri di standardizzazioneutilizzati, basati sulle differenze attese di bisogno della popolazione, appaiono molto rozzi e praticamente non sono in grado di cogliere differenze nella qualità e negli esiti delle prestazioni. Ne segue che i risultati vanno interpretati con attenzione. Ciò che ap- pare evidente è che non sembra ci siano dubbi sul fatto che l’efficienza dei diversi sistemi regionali sia significativamente diversa, mentre non è affatto evidente di quanto le inefficienze allocative possano tramutarsi in risparmi finanziari. Il confronto internazionale: Italia fanalino di coda nella UE per la spesa sanitaria Altra questione rilevante è che i ragionamenti limitati alla variabilità della spesa regionale sono per forza di cose miopi:appare piuttosto necessario confrontarsi con una visione più ampia e quindi anche con i dati internazionali. Da questo punto di vista le cifre parlano sostanzialmente chiaro: l’incidenza sul PILdella spesa sanitaria italiana è pari al 9,6%, ed è ormai inferiore allamedia dei Paesi OECD. Ma il dato sul PIL dice poco, se non che ovviamente ogni Paese può permettersi di allocare sulla Sanità una quota sostanzialmente simile di risorse. Se, invece, si guardano i valori di spesa,il gap rispetto all’Europa è evidente e anche crescente: -26,1% (-16,9% nel 1990) rispetto agli altri Paesi di EU6 (Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi), -18,7% (+4,1% nel 1990) rispetto a EU12. Il gap si allarga ulte- riormente sul versante della spesa pubblica: -25,9% (-10,2% nel 1990) rispetto a EU6, -17,9% (+10,9% nel 1990)rispetto a EU12. Le differenze evidenziate sono, quindi, eclatanti e dato che lo stato di salute della popolazione italiana è quanto meno non secondo a quello medio europeo, mancano indizi che possano far pensare che l’assistenza sanitaria italiana sia gravata da un tasso di inefficienza economica rilevante, tale da giustificare riduzioni ulteriori dispesa dell’ordine del 10% (come previsto nella manovra estiva del2011). Spending review. E’ un’illusione pensare di risparmiare ancora in sanità, a meno di non tagliare interi servizi e prestazioni Senza poi considerare quello che potrà emergere dalla spending review. In proposito è bene chiarire non c’è nulla di sbagliato nella spending review come strumento di lavoro. Ma, per quanto riguarda la sanità, i margini di azione siano davvero limitati. A meno che non si decida di tagliare i servizi o spostare una consistente quota di spesa sui bilanci delle famiglie italiane, ad esempio aumentando ulteriormente i ticket o decidendo, ad esempio, che l’assistenza farmaceutica o la specialistica escono dal Ssn. Gli sprechi sicuramente esistono ancora e si può sicuramente fare meglio con i soldi che si stanno spendendo, ma fare meglio produce certamente qualità ma non automaticamente risparmi. Basta guardare quello che succede nelle Regioni virtuose, dove i servizi sono di buonlivello, ma si fa comunque fatica a garantire quei servizi con l’attualequantità di risorse. Lo dimostrano anche i costi standard, che sono stati elaborati solo pochi mesi fa: neanche la Regione più virtuosa di Italia può permettersi finanziamenti inferiori a quelli che riceve oggi. Quindi, di fatto, seppure in presenza di numerose inefficienze allocative, ivi compresi sprechi che non permettono di migliorare la qualità delle prestazioni erogate, il SSN si dimostra decisamente “sobrio”, e questo andrebbe maggiormente riconosciuto: la sensazione è che persista nel dibattito sulla Sanità italiana un ideologismo che, ignorando la consistenza numerica dei fenomeni, ritiene la Pubblica Amministrazione e, per proprietà transitiva, la Sanità pubblica (e in generale il sistema di Welfare) inefficiente. Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Politiche integrate. Amministrazione prezzi farmaci non percorribile all’infinito Il sistema ha sinora tenuto, sia razionalizzandosi,sia utilizzando ampiamente la leva dell’amministrazione dei prezzi:fa testo l’utilizzo dei tetti alle remunerazioni degli erogatori privati, ma indirettamente anche il blocco, ormai atavico, delle assunzioni. Ma il caso più eclatante è quello della spesa farmaceutica, unico settore dove il congiunto operare della normativa nazionale e internazionale di fatto rende possibile una vera e propria amministrazione dei prezzi. Che i prezzi medi italiani dei farmaci siano ormai inferiori a quelli della gran parte degli altri Paesi è fatto ormai acquisito: quello che invece non è stato sufficientemente dibattuto è se il livello attuale sia davvero giustificato o rappresenti una possibile distorsione del mercato. In effetti, a ben vedere uno studio dell’UK Department of Health mostra come i prezzi delle principali molecole in Italia siano inferiori da un minimo del 7% rispetto alla Francia e alla Spagna, ad un massimo del 41% rispetto alla Germania: valori significativamentemaggiori del gap di PIL del Paese. Inoltre, va notato come sin dal 2003 laspesa media pro-capite per farmaci italiana sia inferiore a quella media dei Paesi OECD (di 86 pro-capite nel 2009); ed era allineata al dato medio internazionale già nel 2001, quando è iniziato il processo di progressivo taglio dei prezzi. Evidentemente la strada dell’amministrazione dei prezzi non è percorribile all’infinito; anzi si potrebbe argomentare che può avere effetti indesiderati in settori economici che avrebbero, invece, la potenzialità per contribuire al rilancio dell’economia del Paese. Se il Paese vuole mantenere i livelli di assistenza attuali, deve trovare il modo di rilanciare la propria economia. E, da questo punto di vista, è ad un bivio: deve decidere se il rilancio deve passare per una distrazione delle risorse dal settore sanitario (pubblico), in quanto ritenuto inefficiente, o se invece esso possa essere un volano di crescita. Equità e ticket. Con nuovi ticket 42.000 famiglierischiano di impoverirsi In un quadro certamente difficile assumono unaparticolare rilevanza le previsioni di un inasprimento dei ticket contenute nelle manovre governative. Per avere un’idea dell’impatto, si è simulato l’effetto sui bilanci delle famiglie di un inasprimento dei ticket, posto prudenzialmente pari a 2mld (suddiviso per il 45% a carico dei farmaci, per il 45% della specialistica e il restante 10% a carico del pronto soccorso): tale simulazione stima in oltre 42.000 le nuove famiglie impoverite per le spese sanitarie; per contenere l’iniquità dell’impatto, abbiamo simulato un’applicazione progressiva dei ticket, a partire da un inasprimento del 5% per le famiglie più povere (lasciando esenti solo quelle povere), sino al 30% delle più ricche: in tal caso, pur non annullandosi il fenomeno, le nuove famiglie impoverite si riducono a 7.500. Gli interventi: invecchiamento, non autosufficienza e politiche di prevenzione La spesa per gli anziani non autosufficientirimane la spesa maggiormente incomprimibile per le famiglie italiane. Ildato non può stupire data la carenza del SSN su questo versante e anche l’evoluzione demografica (accompagnata dalle mo- difiche nella società, che ci consegnano famiglie con sempre meno giovani pronti ad assistere gli anziani). Sul tema dell’assistenza alla non autosufficienza permangono, peraltro, alcuni miti con scarso fondamento: il principale è quello per cui il freno allo sviluppo del settore è rappresentato dall’insufficienza delle risorse. Pur quantitativamente non abbondanti, le fonti di finanziamento del settore sono numerose. A livello centrale dobbiamo prima di tutto considerare il Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS). A livello nazionale vengono poi anche definite le risorse assegnate ad una serie di fondi istituiti da leggi di settore, nonché lo stanziamento per l’erogazione di assegni, pensioni ed indennità erogate dall’Inps ad invalidi civili, ciechi e sordomuti. Dal 2007,risorse alla non autosufficienza vengono destinate anche attraverso lacostituzione di un fondo specifico (FNA), finalizzato a garantire, su tutto il territorio nazionale, l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali in favore delle persone non auto sufficienti. Al FNA è stata destinata una somma di 100mln per l’anno 2007 e di 200mln per i successivi anni 2008 e 2009,incrementati con le successive leggi finanziarie a 300 e 400mln Per l’anno 2010 lo Stato ha garantito ancora un finanziamento pari a 400mln, ma poi la manovra di bilancio per il 2011 ha cancellato ogni stanziamento. Però gran parte delle Regioni italiane hanno istituito negli ultimi anni propri Fondi, allo scopo di sostenere, in particolare nella dimensione domiciliare, le famiglie che accudiscono in casa il disabile o l’anziano non autosufficiente. Analizzando il dato dal versante della spesa, nell’anno 2008 i Comuni, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali6,7mld. Stimiamo che di questi almeno 3mld possano riferirsi aprestazioni in favore di disabili e anziani, e cioè a cate- gorie rientranti nella non autosufficienza. Inoltre, la principale fonte di finanziamento della non autosufficienza rimane l’intervento dell’Inps per le persone disabili, fisiche e sensoriali, ed anziane non autosufficienti che percepiscono un’indennità di accompagnamento. Tali indennità sono cresciute negli ultimi anni, passando da 1,7mld nel 2008 a oltre 1,9mld nel 2011. Se a tale importo si sommano le pensioni agli invalidi civili, sempre erogate dall’Inps, arriviamo a 11,8mld, il che implica che la spesa per la non autosufficienza sfiori quota 15mld., ovvero quasi l’1% del PIL. In definitiva un valore non distante da quello medio degli altri Paesi europei che hanno una apposita assicurazione sociale per la non autosufficienza. I dati, per quanto approssimati, sembrano indicare che non fronteggiamo tanto una carenza di fondi, quanto una carenza organizzativa,ad iniziare dalla assenza di una compiuta definizione deiLiveas (Livelli Essenziali Assistenza Sociale), come anche della vera e totale riunificazione dell’assistenza sociale e sanitaria, necessaria per garantire all’individuo una presa in carico integrata, e una risposta olistica ai suoi bisogni, ivi compresi, quindi,quelli di non esclusione sociale. Ciò che si ritiene freni maggiormente una efficace risposta ai bisogni legati alla non autosufficienza, è proprio la mancanza di una sua definizione rigorosa, che a seguire determina una carente presa in carico (o tutela che dir si voglia). Il rischio è che il sistema sanitario non riesca a spogliarsi della sua natura clinico-centrica, e rincorra la “cura” e, come corollario, l’erogazione di beni e servizi sanitari, ove dovrebbe invece imparare a concentrarsi nel “care”, ovvero nell’affiancamento alle famiglie (che rimangono, ed è bene sia così, il primo nucleo di assistenza alla dipendenza). Cinque nuovi ospedali di ultima generazione, di dimensioni medio-grandi, dai 350 ai 700posti letto, saranno realizzati nel Sud Salento, a Taranto, lungo l’asse Brindisi-Bari, nella Bat e nel Nord Barese. In queste zone, a fronte di 2000 nuovi posti letto, saranno chiusi tra i 10 e i 12 ospedali che si aggiungono ai 19 già chiusi nel resto della regione. Lo hanno spiegato, oggi a Bari, nel corso di una conferenza stampa, il presidente della Regione, Nichi Vendola, e gli assessori regionali alla Sanità e alle Opere pubbliche, Ettore Attolini e Fabiano Amati,è la risposta più evoluta e moderna al bisogno di superare la concezione di una rete ospedaliera traballante, precaria e obsoleta”. “In tutte le città – ha continuato Vendola – noi dobbiamo continuare a implementare la rete dei servizi socio-assistenziali territoriali. I vecchi piccoli ospedali si stanno trasformando in contenitori di servizi nei confronti dei cittadini, in luoghi utili perdiventare case della salute, in poliambulatori e consultori. Oggi, invece, presentiamo con un finanziamento previsto di 522milioni di euro cinque nuovi ospedali, che insieme all’ospedale della Murgia e insieme a tutte le strutture che stanno sorgendo da una importante attività, che è anche attività edilizia, definiscono una rete ospedaliera evoluta, moderna e di grande qualità”. Secondo Vendola, “negli ospedali il cittadino deve trovare tutte le risposte: quelle tecnologicamente più avanzate e quelle specialisticamente all’avanguardia. Nel territorio bisogna trovare tutti i ganci per non essere abbandonati di fronte a domande di salute che soltanto in maniera inappropriata finiscono negli ospedali, producendo inappropriatezza delle cure e, soprattutto, una lievitazione della spesa sanitaria”. “Stiamo governando con grande responsabilità – ha concluso Vendola – un momento di passaggio che ha, in tutta evidenza, effetti traumatici sulle comunità e sulla psicologia collettiva,rendendo credibile il tema della riconversione. Il risparmio senza riconversione è austerity e, giustamente, la gente si ribella.Il risparmio come effetto della riqualificazione, riconversione e reingegnerizzazione della rete ospedaliera è un’altra cosa”. Ha precisato Attolini -“Tutto si baserà sulla certezza dei tempi di finanziamento”, ha subito precisato Attolini, che ha svelato la localizzazione di massima dei cinque ospedali: uno a Taranto, che avrà la priorità e che sostituirà i due nosocomi SS. Annunziata e Moscati e che non sorgerà – secondo quanto riferito dal comune di Taranto – sulle aree originariamente destinate al complesso S. Raffaele. E ancora: uno al confine tra le province di Bari e Brindisi, nel comprensorio tra Monopoli e Fasano, uno a Andria (probabilmente sulla direttrice per Canosa), uno nella provincia Bat più a sud, nel comprensorio Nordbarese, uno nel Salento meridionale, nella zona di Maglie. 700 i posti letto a Taranto, 350 tra Bari e Brindisi, 250nella Bat, 350 a Andria, 350 nel Sud Salento. “I soldi necessari stimati sono circa 522 milioni di euro – ha detto Amati – el’accordo sarà proposto al Ministero dopo le conferenze dei sindaci. Parliamo di un atto di programmazione di edilizia ospedaliera che manderemo la nostra proposta al Ministero della Salute, per l’ottenimento dei fondi necessari”. La stima per la realizzazione dell’ospedale della Bat ammonta a 84 milioni di euro, per quello che sorgerà nell’area del Nord Barese si prevede una spesa di 60 milioni, per l’ospedale della Valle d’Itria (intermedio Bari - Brindisi) 84 milioni, 210 milioni per la nuova struttura di Taranto e 84 milioni per quello del Sud Salento”. “Con riferimento alle localizzazioni – prosegue l’assessore - e premettendo che nei prossimi giorni saranno convocate le conferenze dei sindaci per l’espressione del parere, la proposta prevede la realizzazione del nuovo ospedale di Taranto nel rispettivo territorio comunale, quello della Valle d’Itria(intermedio tra Bari e Brindisi) al confine tra i comuni di Fasano e Monopoli, quello della provincia Bat nel territorio delComune di Andria, quello al servizio dei territori Bari nord e sud BAT in posizione baricentrica rispetto al bacino di riferimento, quello di Taranto nel rispettivo territorio comunale e quello del sud Salento nel territorio del Comune di Maglie. Tutti gli ospedali dovranno sorgere in aree compatibili con i piani urbanistici e idrogeologici. Se tutto dovesse andare secondo cronoprogramma, nel giro di un anno dalla data della sottoscrizione dell’accordo, con relativa disponibilità finanziaria, potremmo concludere tutte le operazioni preliminari di predisposizione dei progetti, pubblicazione della gara di appalto e aggiudicazione dei lavori”. A questi nuovi ospedali vanno aggiunti l’ospedale di Altamura (Alta Murgia) che sarebbe pronto a fine anno, il nuovo “Fazzi” a Lecce già progettato e gli interventi agli OORR di Foggia, in corso, con altre fonti difinanziamento. “Per la provincia di Foggia, dal 2010 al 2012, l’ammontare degli investimenti per l’ammodernamento delle struttureospedaliere è di 86 milioni di euro; per le strutture sanitarie territoriali, invece, comprese le strutture interessate dalla riconversione (Monte Sant’Angelo, Torremaggiore e San Marco in Lamis) sono stati stanziati quasi 37 milioni di euro, mentre l’acquisto e la modernizzazione della dotazione tecnologiche in tutte le strutture sanitarie dei distretti foggiani ha visto un impegno di quasi 15 milioni di euro. Complessivamente, quindi, la Regione Puglia ha investito in due anni per il potenziamento della rete dell’assistenza sanitaria di Foggia 138 milioni di euro, provenienti da diversi fonti di finanziamento”. Lo ha detto l’assessore alla salute della Regione Puglia Ettore Attolini diffondendo il dato complessivo (138 milioni di euro) degli investimenti per la salute fatti nella provincia di Foggia dalla Giunta regionale negli ultimidue anni. “Gli investimenti hanno riguardato – ha detto Attolini - l’ammodernamento e il potenziamento tecnologico dei presidi ospedalieri dieccellenza e di riferimento regionale, per ridurre la mobilità passiva e incrementare le attività di prevenzione, la riconversione di presidi e stabilimenti ospedalieri che possono accogliere centri territoriali di salute ovvero poliambulatoriali di terzo e secondo livello, secondo quanto già definito dal Piano Regionale di Salute 2008-2010, nonché altre strutture sanitarie territoriali in grado di incidere sul tasso di in appropriatezza dei ricoveri (posti letto di hospice, RSA, riabilitazione) e il completamento della rete dei servizi sanitari territoriali e distrettuali con poliambulatori di I, II e III livello, consultori, centri di salute territoriale, sedi per la medicina di gruppo e la continuità assistenziale. Per quanto riguarda le fonti di finanziamento – ha aggiunto Attolini - sono state quelle per l’edilizia sanitaria ex articolo20 e/o quelle dall’asse III, linea 3.1 dei Fondi FESR. Come noto, la scelta di utilizzare una specifica linea dei fondi europei, che si rivolgonoallo sviluppo territoriale, per gli investimenti nel sistema sanitario è frutto di una difficile negoziazione con l’Unione Europea che oggi si rivela assolutamente corretta ed è maturata dalla convinzione che il miglioramento della qualità della vita passi anche dallo sviluppo delle infrastrutture e servizi per la prevenzione, la cura e l’inclusione sociale”. Attolini, entrando nello specifico, ha detto che “i 138 milioni di euro sono stati stanziati per la realizzazione di 43 interventi complessivi sui territori, In particolare, è prevista la realizzazione di 28 nuove strutture sanitarie territoriali, a copertura di alcune carenze che l’assistenza sanitaria territoriale presenta nella provincia foggiana, sono stati cantierizzati 5 interventi di adeguamento di strutture ospedaliere esistenti, 6 interventi per il completamento dialtrettante strutture che presentano criticità e cantieri mai completati e infine, 4 presidi sono stati interessati dall’acquisto di nuove macchinetecnologiche per la cura e la diagnostica”. “Nel complesso – ha detto Attolini - il territorio della provincia di Foggia è stato quello in cui maggiormente si è investito in strutture sanitarie e sociosanitarie, con un rapporto di 134 € a persona, a fronte di una media regionale di 99 € a persona. Un programma di investimenti e di interventi poderoso cui andrebbero aggiunti gli interventi dedicati alla socialità, alle strutture assistenziali per anziani, agli asili nido e alle strutture socio-educative”. Per Attolini “il potenziamento della rete assistenziale sanitaria e sociosanitaria territoriale è stata negli ultimi due anni la bussola che ha guidato gli interventi della Regione Puglia in materia sanitaria. L’urgenza e la necessità di modernizzare un sistema sanitario insostenibile, dispendioso, perché troppo schiacciatosull’assistenza ospedaliera e sui ricoveri inappropriati, era già stata affrontata dal Piano della Salute 2008-2010 ed ha trovato poi conferma in tutti i datie le valutazioni fatte dal Ministero della Salute, in occasione del Piano di Riordino ospedaliero”. In particolare, alcune realtà territoriali esprimevano le maggiori criticità in termini di eccessivo ricorso all’ospedalizzazione e fra questi c’è di certo tutto il territorio della provincia di Foggia, che presenta il maggiore tasso di ospedalizzazione (numero di ricoveri per mille abitanti) di tutta la regione. I numeri parlano chiaro: i cittadini della provincia di Foggia esprimono 223 ricoveri ogni 1.000 abitanti, mentre gli standard Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) prevedono 180 ricoveri ogni 1.000 abitanti. Inoltre, la provincia di Foggia è l’area in cui il numero di posti letto per 1.000 abitanti è il più elevato della regione: anche dopo il riordino ospedaliero, infatti, lo standard della ASLdi Foggia è 4,2 posti letto ogni 1.000 abitanti, mentre la media regionale è di 3,4. Senza considerare la percentuale di mobilità passiva (i ricoveri fuoriregione) che nella provincia di Foggia è più alta che in altre province pugliesi. In sostanza, a fronte di una maggiore disponibilità di posti letto per abitanti, una parte dei cittadini della Capitanata preferisce ricoverarsi in ospedali fuori regione, nonostante la presenza di tre ospedali importanti, di riferimento nella provincia che da soli effettuano il 75% dei ricoveri dell’intera provincia. Va aggiunto, inoltre, che i ricoveri fuori regione avvengono per prestazioni di bassa complessità, come ad esempio l’intervento di cataratta che risulta al primo posto fra i DRG della mobilità passiva dei cittadini della provincia. Una mobilità, quindi, inappropriata, che porta solo ad un aumento dei costi. “Appare chiaro quindi – ha aggiunto Attolini - che l’alta disponibilità di posti letto non solo stimola un utilizzo inappropriato delle strutture ospedaliere e dei ricoveri, ma non consente nemmeno di mettere un freno ad alcuni picchi di mobilità passiva ancora presenti nella nostraregione. E proprio l’evidenza dei numeri è alla base degli interventi posti in essere dall’amministrazione regionale per cercare di correggere le defaillance di un sistema che negli anni ha privilegiato l’ospedalizzazione, a discapito dei territori, dei servizi territoriali e delle reti di servizi diffuse nei distretti. E il primo obiettivo – ha concluso Attolini - è stato quello, appunto, di investire ingenti risorse per consentire il potenziamento dei territori”. Dopotutto“La costruzione dei nuovi nosocomi sta suscitando molte perplessità sulle quali il Governo regionale ha il dovere di fare chiarezza. In particolare, il Piano Regionale della Salute 2008-2010, approvato con L.R. n. 23 del 19 settembre 2008, aveva previsto la realizzazione di alcuni nuovi ospedali in sostituzione di quelli preesistenti, per i quali però non risulta garantita né la economicità di gestione né la sicurezza clinica. In particolare si è dapprima ipotizzato lo strumento del “project-financing” e daultimo il ricorso ai fondi statali per l’edilizia ospedaliera che però presuppongono la sottoscrizione di un apposito accordo di programma Stato-Regione Puglia, ad oggi non ancora sottoscrittoci. Fra l’altro ci lascia perplessi il fatto che il governo regionale abbia rinunciato allo strumento del project-financing che prevede la partecipazione di investimenti privati per fare ricorso a soli fondi pubblici. Ciò appare una vera follia in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. Inoltre, di recente, i Direttori Generali delle AA.SS.LL., a quel che si è appreso dagli organi di informazione, hanno inoltrato progetti preliminari di fattibilità differenti da quelli inviati negli anni 2010 e 2011”. “Considerato che la competente commissione consiliare dovrà essere convocata per esprimere i necessari pareri circa le scelte da adottare in merito alla ubicazione e realizzazione dei nuovi nosocomi si chiede che vengano notificati tutti gli atti relativi alla realizzazione deglierigendi nuovi presidi ospedalieri. In particolare: le note dell’Assessore alla Salute con le quali si inviano le Linee Guida ai Direttori Generali per la presentazione dei progetti preliminari; tutti i progetti inviati dalle Direzioni Generali alla task-force regionale in ossequio alle direttive assessorili e relativi pareri; le lettere di convocazione delle Conferenze dei Servizi Regione-ASL-Conferenze dei Sindaci per l’individuazione dei siti nei quali ubicare detti nosocomi e verbali dei pareri espressi; la copia dei verbali delle Conferenze dei Servizi –ASL-Conferenze dei Sindaci; e ogni utile documento riguardante l’argomento. Agli esoneri sospetti nei reparti- C’è chi ha chiesto l’accompagnamento per accudire un parente malato. Oppure l’infermiere che soffre d’insonnia e si è fatto dispensare dal turno notturno. Qualcuno con un mal di schiena non può più stare in corsia e si fa trasferire in ufficio. La casistica degli operatori sanitari è variegata, spesso fantasiosa. Percarità: il ricorso agli esoneri è un diritto che molti esercitano con scrupolo ma rischiano di pagare l’abuso che di quel diritto fanno i furbetti. In tempi di vacche grasse, qualche manager avrà anche chiuso un occhio, ma in tempi come questi in cui il blocco del turnover costringe i medici della Asl di Lecce ad accumulare ore di recupero per un anno di fila, la caccia all’imboscato è diventata una priorità. Senza squilli di tromba. Ed è più diffusa di quel che traspare dalle parole del direttore generale della Asl di Bari, Domenico Colasanto, che davanti all’ennesima gravidanza a rischio, ha spedito tutto "alle autorità competentiperché valutino il caso". Nella sua Asl, il 42 per cento del personale ha un qualche esonero che gli dà diritto di essere a mezzo servizio, comunque di non fare le 36 ore settimanali previste dal contratto. "I picchi di esoneri - svela il segretario dell’Usppi, Nicola Brescia - nella Asl di Bari si verificano a Monopoli, Terlizzi, Corato e Molfetta. NellaAsl quasi il 30% usufruisce della 104 (la legge che riconosce il diritto di astenersi dal lavoro per tre giorni al mese per accudire un parente malato), o stranezze del tipo che in troppi si ammalano alla vigilia di un ponte". Al Policlinico la situazione appare sotto controllo. "Sulla 104 siamo in una situazione ordinaria, ma periodicamente verifichiamo che il titolare del diritto continui a essere titolare, non sia nel frattempo morto il parente", afferma il direttore amministrativo Vito Montanaro. "Anche su altri aspetti - aggiunge - non credo ci siano comportamenti opportunistici. Ogni tre mesi comunque monitoriamo i casilimite". Al limite, invece, è la situazione di Taranto, l’unica approdata formalmente in Regione, con l’audizione del manager, Fabrizio Scattaglia che in commissione spiegò di avere, su un totale di 4200 dipendenti, 621 con la 104, altri 600 per i quali le commissioni medico-collegiali hanno stabilito funzioni diverse rispetto a quelle per cui erano statiassunti, più 12 in distacco sindacale, tanto da indurre il capogruppo del Pdl Rocco Palese a chiedere la revisione di quegli elenchi. "Bisogna capire - affermano dall’assessorato che ha avviato un monitoraggio sugli imboscati in tutte le Asl - che l’esonero facile si ripercuote negativamente sull’assistenza che dobbiamo garantire ai cittadini". E questo accade anche quando, col piano di riordino ospedaliero, è capitato che siano stati trasferiti reparti per accorparli ad altri negli ospedali rimasti aperti, ma non il personale rimasto nella struttura declassata. A. Cassano-Piero Ricci-repubblica Nel settore della spesa sanitaria e, in particolare, di quella farmaceutica, il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Bari, a conclusione di complessi ed articolati accertamentiha constatato un danno alla Regione Puglia per quasi 10 milioni di euro segnalando all’autorità giudiziaria contabile 12 presunti responsabili. L’attività di controllo svolta su delegadella locale Procura della Corte dei Conti si è incentrata, relativamente al periodo giugno 2006-dicembre 2008, sul rispetto delle norme contenute nell’accordo regionale per la distribuzione dei farmaci previsti dal cosiddetto piano "ospedale - territorio" siglato nell’ottobre 2005 tra l’agenzia regionale per la sanità e Federfarma Puglia. L’accordo nelle intenzioni della giunta regionale dell’epoca avrebbe dovuto consentire un notevole abbattimento della spesa farmaceutica convenzionata. Sostanzialmente, prevedeva che l’ex Asl Ba/4 acquistasse i medicinali oggettodell’accordo usufruendo degli sconti riservati al servizio sanitario nazionale che, in taluni casi, potevano raggiungere anche il 50% e che le confezioni di medicinali acquistate fossero depositate presso i magazzini dei distributori per la successiva consegna alle singole farmacie convenzionate che dovevano provvedere a dispensarli dietro riconoscimento di apposito compenso. Qualora il grossista di riferimento fossestato momentaneamente sprovvisto dei farmaci in questione avrebbe dovuto procurarselo richiedendolo a un altro grossista della rete regionale. Solo nel caso in cui il farmaco richiesto dall’assistito fosse risultato indisponibile presso l’intera rete regionale il farmacista, previa acquisizione e produzione della documentazione attestante la mancata fornitura, era tenuto a dispensarlo secondo l’ordinario canale distributivo in regime di convenzione. Le informative della Guardia di Finanza trasmesse alla magistratura contabile farebbero emergere che ilrisparmio di spesa ottenuto sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello che si sarebbe potuto realizzare visto che non tutti i farmaci oggetto dell’accordo sono stati acquistati dall’Asl delegata ed effettivamente immessi nella "catena distributiva" ed altri sono stati dispensati dalle farmacie in assenza della documentazione attestante l’indisponibilità. "L’Usppi-Puglia Sanitaservice, attraverso il segretarioregionale Nicola Brescia, ha chiesto l’intervento urgente dell’assessore regionale alle politiche della salute Attolini e del governatore Vendola in ordine a controlli e attività ispettive nelle società in house “Sanitaservice” specialmente nella Asl/Ba". Lo denuncia in una nota il segretario regionale dell’Usppi Nicola Brescia , che spiega: "Dopo il caso delle divise prese in affitto dalla Sanitaservice di Bari e costate di più di quanto sarebbe costato comprarle nuove, oggi la stampa denuncia alcune stranezze alla Sanitaservice di Lecce, dove una parte del personale, dopo la internalizzazione e quindi l’assunzione da parte della società, guadagnerebbe di più pur lavorando di meno rispetto a quando lo stesso personale svolgeva lo stesso servizio per la stessa Asl, ma in qualità di dipendente di società esterna. I due episodi denunciati dalla stampa a Bari e Lecce – conclude la nota -, siaggiungono al faro acceso anche dalla magistratura sulla Sanitaservice di Foggia. E’D’OBBLIGO, OGGI, MANDARE ISPETTORI REGIONALI A CONTROLLARE QUELLO CHE ACCADE NELLA GESTIONE DI QUESTE SOCIETA’. Usppi: la Regione Puglia salvi i dipendenti Cbh-Il governatore della Regione Puglia Vendola e l’Assessore Regionale alle Politiche della Salute Attolini, intervengano per scongiurare il taglio di un centinaio di posti di lavoro da parte della Cbh. A chiederlo è il segretario regionale del sindacato Usppi Nicola Brescia. Il segretario regionale Brescia prende le distanze dai tagli decisi dalla Asl, che riducendo le prestazioni in convenzione con il gruppo Cbh priveranno, a loro giudizio, i pazienti di numerosi sevizi. “La Regione – accusa – sembra rinunciare a chiedere ad una azienda accreditata per un considerevole numero di attività sanitarie, l’erogazione di questi sevizi, probabilmente non appetibili dal punto di vista imprenditoriale,ma assolutamente utili asoddisfare il bisogno di salute di una fascia di popolazione altrimenti destinata a non ricevere prestazioniessenziali. Il segretario Brescia dell’Usppi chiede che i criteri per i tagli dei posti letto siano oggettivi, trasparenti e condivisi con il territorio. Di qui, la richiesta al governatore pugliese e all’assessore regionale alle politiche della salute di farsi carico della vertenza, sensibilizzando il prefetto .
|