Non possiamo continuare a tollerare una situazione in cui il finanziamento della ricerca non è assegnato in modo concorrenziale, in cui i posti non sempre sono distribuiti in base al merito, in cui difficilmente i ricercatori possono accedere alle sovvenzioni o ai programmi di ricerca oltre confine e da cui ampie zone d’Europa restano escluse». Sono le parole di Máire Geoghegan-Quinn, commissaria europea alla ricerca e all’innovazione, che chiede di abbattere le barriere tra gli Stati per realizzare uno spazio europeo della ricerca. Uno spazio in cui l’unico giudice sia il merito e che sia misurabile, come sosteneva anche Michael Young, che nel 1958 coniò il neologismo "meritocrazia". AGLI APPELLI PRESSANTI , che arrivano anche dall’Europa, l’Italia continua a rispondere con la sua cultura anti-merito. Si inizia con la scuola, dove copiare il compito del compagno è tollerato e non è considerato un fatto riprovevole. Anzi, lo sciocco è chi noncopia. E si continua per tutta la vita quando, nonostante l’odio contro la casta, ci si rivolge a un politico per chiedere una raccomandazione, un posto di lavoro, una promozione, un trasferimento, per saltare la lista d’attesa in ospedale. Lo dico per esperienza personale: purtroppo è raro che le persone mi cerchino per presentarmi un progetto in cui credono mentre è più comune la richiesta di un aiuto personale, e quando rispondo che l’unica raccomandazione che mi sento di fare è chiedere a ogni commissione di scegliere il migliore, leggo delusione negli occhi del mio interlocutore, non apprezzamento. Questa mentalità è così diffusa che fa sì che la nostra società sia profondamente diseguale e soffra di una scarsissima mobilità sociale proprio per la mancanza di cultura del merito che non permette ai migliori di correre, e magari vincere, quella gara verso l’alto, qualunque sia la loro base sociale di partenza. La conseguenza è visibile anche nel fatto che l’Italia da anni ormairimane saldamente ancorata agli ultimi posti nelle classifiche internazionali per efficienza, qualità dei servizi, stima nei dipendenti pubblici. Il merito, infatti, non serve solo al singolo individuo quale giusto e doveroso riconoscimento dell’impegno e delle sue capacità personali ma è fondamentale per fare funzionare meglio l’intero sistema. Il settore dell’aeronautica rappresenta un valido esempio: ogni pilota d’aereo possiede un log-book, un libretto sul quale vengono annotati i dettagli di ogni volo, gli errori, i rischi, le manovre giuste, in pratica tutta la storia professionale. Su quella base si valutano le qualità del singolo pilota ma si studiano anche i punti deboli e gli elementi di fragilità del sistema. E così non solo si correggono ma si prevengono gli errori. Perché non immaginare un sistema simile anche per la sanità? Se per esempio si potesse conoscere tutto ciò che un medico ha fatto dal suo primo giorno in ospedale, quelle informazioni diventerebbero unbiglietto da visita importantissimo, ma anche un elemento di valutazione, trasparente e oggettivo, per la sua carriera e più in generale per l’efficienza e la sicurezza del servizio sanitario. LA CULTURA DEL MERITO non si può imporre per decreto e quando il governo sostiene che la spending review servirà a rendere più efficiente l’amministrazione pubblica dice una bugia, perché servirà solo a fare cassa. Per incidere sull’efficienza e per premiare i migliori servono tempo e strategia, iniziando con la raccolta dei dati e con la loro analisi. E poi serve una motivazione intrinseca, che non è data dalla prospettiva di un aumento di stipendio o da uno scatto di carriera ma dalla convinzione che ogni sforzo personale possa avere un effetto positivo su tutti. E’ così ambizioso iniziare a considerare la parola merito non come un insulto? O smettere di pensare che sia una prerogativa esclusiva del mondo anglosassone? E’ vero, la cultura del merito non ce l’abbiamo nel sangue ma dobbiamoinfonderla nelle nostre vene, soprattutto in quelle dei giovani affinché non si sentano predestinati a non cambiare mai.Ignazio Marino-l’espresso
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