’Fermate i Pm, lo dice D’Alema’
 











Chiusa, inflessibile, una macchina che sforna carriere basate sul clientelismo, un potere schermato da qualsiasi forma di controllo da parte sia del governo sia degli elettori. Per gli americani, la magistratura italiana è una bestia nera. E ora che lo scontro sulla giustizia torna a farsi duro, con le telefonate tra il presidente della Repubblica, Napolitano, e l’ex presidente del Senato, Mancino, che hanno scatenato l’ennesima polemica sul tema delle intercettazioni, non è difficile immaginare da che parte sia schierata l’ambasciata di via Veneto.
A rivelare l’insofferenza degli americani sono i cablo della diplomazia Usa rilasciati da WikiLeaks. Il 3 luglio 2003, il giorno dopo il celebre attacco di Berlusconi all’eurodeputato tedesco Martin Schulz in cui venivano criticate le procure italiane, l’ambasciatore Mel Sembler scrive a Washington un rapporto riservato su quella bagarre, sparando anche lui a zero contro l’istituzione «politicizzata,corporativista, preoccupata per prima cosa e soprattutto di autopreservarsi», che «annovera anche un bacino di magistrati di sinistra che sfruttano la propria indipendenza per perseguire apertamente obiettivi politici» e che in alcuni casi «ritengono sia un loro affare (perfino un loro dovere costituzionale) guidare il corso della democrazia italiana attraverso il loro attivismo giudiziario».
L’indipendenza delle toghe è un problema spinosissimo per gli americani: quando la magistratura va a toccare i loro interessi, non sanno come intervenire, perché non c’è un canale diretto come con la politica italiana, sempre pronta a soddisfare le loro richieste. E così quando il funzionario del Sismi, Nicola Calipari, viene ammazzato a Baghdad, e a Roma parte l’inchiesta, l’ambasciata di via Veneto consiglia un’unica soluzione radicale al Dipartimento di Stato: nessuna collaborazione con i magistrati italiani, perché «sono fieramente indipendenti e non rispondono a nessuna entità e autoritàdel governo, neppure al ministero della Giustizia». Mentre Berlusconi, Letta, Fini e l’ex ministro della Difesa, Antonio Martino, sono a portata di mano. E così anche con il caso Abu Omar, l’imam egiziano rapito a Milano in una delle famigerate rendition della Cia. Contro un magistrato come Armando Spataro, che chiede l’arresto e l’estradizione di ventidue agenti della Cia coinvolti nell’operazione, c’è una lunga schiera di big della politica avvicinabili e pronti a dare una mano. Come l’ex ministro leghista della Giustizia, Roberto Castelli, che si rifiuta di inviare in Usa le richieste di estradizione degli agenti Cia. O l’ex sottosegretario del primo ministro Prodi, Enrico Letta, che consiglia all’ambasciatore americano, Ronald Spogli, di «discutere la cosa personalmente con il ministro della Giustizia, Mastella».
Il ritratto della magistratura che Spogli trasmette a Washington è impietoso - «un sistema sfasciato», forse anche «impossibile da riparare» - a tratti sfuma perfinonel maccartismo: «Negli anni ’60 e ’70, i comunisti italiani hanno fatto uno sforzo comune per "infiltrare" la magistratura». Ma quando il problema sono le toghe, gli Usa sanno di poter contare anche sul soccorso rosso. «Nonostante sia considerata tradizionalmente di sinistra», scrive Spogli, «Massimo D’Alema, ha raccontato all’ambasciatore che è la più grave minaccia allo Stato italiano. E che, dopo 15 anni di discussione su come riformarla, non è stato fatto alcun progresso». Stefania Maurizi-l’espresso









   
 



 
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