Mentre il governo israeliano scalpita (almeno a parole) per un attacco militare contro l’Iran, i suoi alleati occidentali, Usa in primis, cercano di calmarne i bollenti spiriti, con una serie di rassicurazioni, inviti e moniti. Uno scontro che dalle stanze diplomatiche si sta spostando sulle pagine della stampa, attraverso dichiarazioni, indiscrezioni e smentite più o meno esplicite. Un paio di settimane fa, secondo quanto riportato di recente da Haaretz, la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva avuto una dura conversazione telefonica con il premier israeliano Benyamin Netanyahu, nel corso della quale avrebbe intimato a Israele di non lanciare un attacco contro le infrastrutture nucleari iraniane. Sempre in questi giorni, il quotidiano Yediot Ahronot ha riferito di un incontro al vetriolo – con tanto di “fulmini e saette” – tra Netanyahu e l’ambasciatore Usa in Israele Dan Shapiro, che avrebbe apostrofato duramente il premier israeliano a causadelle sue critiche alla politica di Barack Obama. Nelle stesse ore il capo di Stato maggiore Usa, il generale Martin Dempsey, ha dichiarato in conferenza stampa di “non voler essere complice” di un intervento armato israeliano che, ha spiegato, “chiaramente rallenterebbe, ma non distruggerebbe il programma nucleare dell’Iran”. Bocconi amari da mandare giù per Netanyahu e il suo ministro della Difesa Ehud Barak, tra i più accaniti sostenitori di un attacco anche all’interno dello stesso esecutivo israeliano, nonostante il parere contrario di molti generali. Ma il governo di Tel Aviv sa bene di poter contare comunque su una discreta influenza nelle capitali occidentali, specialmente alla Casa Bianca, dove il presidente democratico è impegnato in una dura campagna elettorale contro il repubblicano Mitt Romney, che rischia di soffiargli i voti delle influenti lobby filo-israeliane con la sua accesa retorica a difesa di Israele. E così nei prossimi giorni, nel giro di neanche unasettimana, sbarcheranno in Israele ben quattro ministri degli esteri europei: l’italiano Giulio Terzi, il tedesco Guido Westerwelle, il norvegese Jonas Gahr Store e il bulgaro Nikolay Mladenov. Mentre la stampa israeliana parla anche di una possibile visita del capo della Cia, David Petraeus. Sempre dalla stampa israeliana arrivano nuove indiscrezioni che confermerebbero la volontà del presidente Obama di “abbandonare” Israele nella sua guerra contro l’Iran. Nei giorni scorsi lo Yedioth ha riportato di un negoziato segreto tra la Casa Bianca e l’Iran, nel quale il governo statunitense avrebbe promesso a Teheran di non partecipare a un eventuale attacco di Israele contro le installazioni nucleari iraniane. In cambio Washington avrebbe voluto la garanzia che l’inevitabile rappresaglia iraniana avrebbe risparmiato le basi statunitensi nel Golfo Persico. Indiscrezioni che hanno obbligato la Casa Bianca a una rapida e decisa smentita, liquidando l’articolo come “falso e completamentescorretto”. Per tutta risposta, in quelle stesse ore, fonti dell’amministrazione Obama hanno rivelato al New York Times che il presidente democratico sta applicando una serie di misure per costringere Teheran a proseguire sulla strada dei negoziati, rassicurare Tel Aviv ed evitare un attacco israeliano. Tra queste misure figurano anche le imponenti esercitazioni navali in programma tra il 16 e il 27 di questo mese nelle acque del Golfo Persico, che dovrebbero coinvolgere altre 25 nazioni alleate. Inoltre, stando a quanto riferito dal Nyt, la Casa Bianca sta considerando una serie di azioni sotto copertura accantonate in precedenza, e, soprattutto, una nuova dichiarazione da parte del presidente Obama sulla possibilità di un intervento militare. Tuttavia proprio su questa dichiarazione i consiglieri del presidente sarebbero divisi: secondo alcuni, gli israeliani hanno bisogno di essere rassicurati pubblicamente sull’appoggio statunitense a Israele, mentre altri sostengono – nonsenza ragione – che da Tel Aviv stanno cercando di forzare il presidente a prendere un impegno militare non necessario e potenzialmente dannoso per gli stessi Usa. Ferdinando Calda
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