Camusso: ’Sì, Monti è di destra’
 











Susanna Camusso

Mai vista una fase come questa. Sia la ricostruzione post-bellica sia la ristrutturazione degli anni Novanta erano comunque fasi di trasformazione, si intravedeva qualcosa dopo. Ora, niente. Assistiamo alla deindustrializzazione, e basta. Senza futuro. Una stagione di riduzione dell’apparato produttivo che non ha precedenti.
In parte per come sono state lasciate andare le imprese pubbliche: nell’ansia di privatizzare non c’è più stata una politica industriale. In parte per la crisi, che dura da così tanto tempo: non abbiamo neppure recuperato i 5 punti di Pil persi nel 2009». Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, ha riaperto il cantiere della centrale di Corso d’Italia in un dopo ferie tra i più neri per un sindacato: nella contabilità dei posti a rischio sono entrate aziende di prima grandezza, dagli elettrodomestici Indesit ai divani Natuzzi, dalla costruzione delle navi alla siderurgia, dal Sulcis all’Ilva, e praticamente nessunsettore produttivo si può ritenere al sicuro. In tutti i casi, prognosi riservata, e l’inevitabile amara terapia della cassa integrazione.
Partiamo dal Sulcis: sono trent’anni che quelle miniere di carbone rischiano di andare fuori mercato. Non c’è anche una responsabilità del sindacato nell’aver illuso i minatori fino a oggi?
«E’ vero che la Carbosulcis non è un problema nuovo, e credo anche sia vero che il carbone estratto lì ha una componente di zolfo tale che sarebbero necessarie tecnologie forse neanche disponibili oggi. Ma proprio per questo si potrebbe per una volta trasformare quel sito in un laboratorio di sperimentazione: l’Europa è disposta a finanziare un progetto per la cattura dell’anidride carbonica e nel Sulcis non ci sono solo scavatori, ma anche ingegneri, giovani donne, che hanno provato a indicare delle soluzioni».
Questo salverebbe anche i posti dei minatori?
«Intanto è una strada da cercare. Quello che non va bene è pensare solo a trovare gliammortizzatori sociali. Forse l’approccio può anche essere un altro. Ci si può chiedere, per esempio, come mai tutta l’industria, oggi, è impiombata dal fatto che l’energia costa tanto: vale per l’Alcoa, che va via dalla Sardegna, ma anche per le acciaierie a Cremona. E allora, vogliamo deciderci a dotare il Paese di un piano energetico, che abbatta un fattore che mette in difficoltà tutta la nostra industria pesante?».
Non le pare di spostare il tema dal terreno che vi riguarda? Il sindacato non deve fare "benaltrismo": come difenderete voi questi luoghi di lavoro?
«Penso che il governo debba utilizzare la Cassa depositi e prestiti per garantire la difesa di questi luoghi e di questi posti di lavoro. Poi verrà la stagione in cui le aziende potranno essere rimesse sul mercato. Ma oggi la scelta politica da non fare è metterci una croce sopra. Perché alla fine, se aboliamo l’industria di base e non resta più nulla, non si torna indietro».
Propone un mega-salvataggio diStato?
«Un intervento straordinario di tutela delle attività produttive per accompagnarle fuori dalla crisi. Affrontare la situazione una vertenza alla volta non ci porta da nessuna parte».
Immagina la Cassa come una grande Iri?
«No. Anche se senza l’Iri non saremmo diventati il secondo Paese industriale d’Europa. Oggi la Cdp ha le risorse, che sono un requisito raro, e potrebbe avere una funzione non di nazionalizzazione ma di salvaguardia e poi di rimessa sul mercato. D’altra parte, Sergio Marchionne non ha potuto fare l’operazione Chrysler solo perché Obama ci ha messo i soldi?».
E’ Obama il modello che lei propone di seguire?
«Per alcuni settori privati sì. Per quelli che appartengono alla sfera pubblica, i sistemi possono essere altri. Mi chiedo per esempio se è giusto distruggere il campione nazionale della manifattura ferroviaria, l’Ansaldo Breda, mettendolo in vendita, o immaginare che il destino di un gioiello come la Fincantieri sia solo legato allasistemazione finanziaria del suo azionista di controllo Fintecna».
Cominciamo dai privati. Prendiamo Natuzzi, il grande polo del divano in Puglia: lì è la concorrenza internazionale che gli ha piegato le gambe. Sarebbe giusto intervenire o non si tratterebbe di un "salvataggio"?
«Direi piuttosto che è stato sconfitto dalla concorrenza del sommerso. Ecco perché il governo, invece di litigare, dovrebbe decidere subito per una legge sulla trasparenza. Per non parlare dell’edilizia, che potrebbe produrre innovazione, ma è soffocata da una legge sugli appalti con il sistema del "massimo ribasso"che la condanna al nero».
Non si rischia, con un intervento a tutto campo, di far sopravvivere anche aziende decotte?
«Ma chi dice che lo sono? Alcoa dice che ha costi eccessivi e che preferisce produrre in Arabia Saudita. Fincantieri è in crisi ma il resto del mondo investe sulla cantieristica. E quante imprese abbiamo con la cassa integrazione in deroga ma solo perché le banche glihanno bloccato il credito?».
E i risparmiatori postali che danno i soldi alla Cdp che diranno? E l’Europa?
«Si rispettino le regole. Ma non è che in Europa non siano stati fatti investimenti straordinari».
Quale settore, quale regione ritiene più a rischio?
«La Sardegna, che è quella più povera di opportunità. Ma anche l’Ilva, che produce il 40 per cento dell’acciaio che si usa in Italia: lo facciamo fare in Europa? Dobbiamo ammettere che alla famiglia Riva è stata consegnata qualcosa che c’era già, nella disattenzione generale, e con l’idea dominante che tanto l’industria non è il nostro futuro».
Monti ha chiuso la porta alla concertazione. Voi cercate la strada per riproporre la strada dei tavoli a tre. Pensate di riuscirci?
«Sono quattro anni che gestiamo mobilità e licenziamenti, e quando è necessario rinnoviamo i contratti. Ma se si vuole mobilitare il Paese, occorre sapere che le grandi organizzazioni sindacali sono uno dei soggetti della trasformazione. Non lovuoi fare? E’ una scelta politica, ma in Germania la Merkel discute regolarmente con le organizzazioni sindacali».
Come finirà con la Fiat? Scommetterebbe sulla permananza di Marchionne in Italia?
«Scommetto sulla necessità di portare un altro produttore in Italia».
E perché un altro dovrebbe riuscire dove la Fiat non riesce?
«Perché per esempio la Volkswagen in Germania ce la fa».
Il vostro prossimo sciopero, il 28 settembre, è sul pubblico impiego: non le sembra un po’ eccessivo?
«Il governo ha fatto infiniti torti al pubblico impiego, a cominciare dalla spending review, che presuppone che i ministeri siano un luogo di sprechi. Ma se sottraggo risorse, chi risponderà ai bisogni della gente nella crisi?».
Monti non le piace proprio, non lo nasconde.
«Penso che Monti faccia una politica di destra. In Europa predica gli eurobond, qui si accanisce contro occupazione e lavoro. La sua visione è ridurre la presenza del pubblico, con l’idea che il mercato siautoregola, fa gli interessi della collettività ed è buono, mentre invece accelera le disuguaglianze. Potremmo spostare, per esempio, parte dei titoli di Stato dalle banche al pagamento dei superstipendi dei manager e delle pensioni d’oro: magari così si libera qualche risorsa per il credito. Altrimenti, più il Paese è in recessione, più continueremo a pagare, ma siamo arrivati alla carne viva». Paola Pilati









   
 



 
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