Lettera aperta ad Alessandro Sallusti
 











Ad Alessandro Sallusti
Direttore de “Il Giornale”
e p.c.
 
a Ugo Gaudenzi
Direttore di “Rinascita - Quotidiano di liberazione Nazionale”
 
Gentile direttore Sallusti,
ho letto con sgomento l’editoriale di sabato 22 u.s. firmato da Nicola Porro e inerente l’abominio giuridico (prima ancora che giudiziario) di cui è, Suo malgrado, in questi giorni protagonista.
A vantaggio dei lettori ricordo che non solo Lei è stato considerato responsabile di “reato d’opinione” al pari – ricorda Porro nell’articolo – di una infinità di colleghi che sono stati condannati, in solido coi loro direttori responsabili, a pesanti sanzioni amministrative, condanne civili e penali tramutate in sanzioni pecuniarie: in appello la multa che le era stata comminata viene trasformata in una condanna detentiva a 14 mesi.
Non solo. Siccome la “parte lesa” dell’articolo considerato diffamatorio era proprio un magistrato è stato ravvisato, nella sentenza, ilrischio che lei potesse reiterare il reato, esprimere quindi altre opinioni, pensare ancora, e quindi la condizionale è stata sospesa, esponendoLa così al serio rischio di dover traversare, a giorni, le porte del carcere.
Commenta saggiamente il Suo editorialista alla fine dell’articolo: “In cella giovedì non finisce solo il direttore del Giornale. In cella finisce una libertà sacra in una democrazia occidentale”.
Horst Mahler, Alex Möller, Pedro Varela, Ernst Zündel, Sylvia Stolz, Vincent Reynouard, Gerd Honsik. Chi sono costoro? Sono, direttore Sallusti, degli storici, degli studiosi, degli avvocati, che hanno scritto documentati libri, saggi, articoli, mettendo in discussione la versione ufficiale sull’“olocausto” dando vita a quella corrente storiografica conosciuta urbi et orbi come “revisionismo”. Anche loro “colpevoli di pensare”. E anche loro condannati per tale ragione al carcere, proprio qui nelle “democrazie occidentali” di cui si parla nell’articolo. In Austria, inFrancia, in Germania, in Belgio, in Portogallo, in Ispagna, in Isvezia, in Polonia, scrivere e divulgare i propri studi su tale argomento è reato penale.
Eppure, direttore, non ho mai visto perorare la loro causa sulle pagine del Suo giornale. E loro, si badi, non “rischiano” il carcere: loro lo patiscono tuttora, o l’hanno comunque patito. La loro esistenza, le loro famiglie, la loro vita lavorativa sono state distrutte. Solo, ricordi, per aver pensato.
Caro Sallusti, se per Lei dovessero malauguratamente dischiudersi le porte delle prigioni io sarò il primo, mi creda, a scendere in strada a chiedere la Sua liberazione. E non lo farò da collega, da giornalista, o perché sono della Sua “parte”. Lo farò solo ed esclusivamente in qualità di uomo libero.
Ma Lei, direttore, difenda quegli uomini. Lei è responsabile di un grande quotidiano, con centinaia di migliaia di lettori.
Racconti la loro storia, raccolga i loro appelli, dia voce a loro che più non ne hanno, la cui penna èstata spezzata, la cui libertà di pensiero è stata richiusa dietro le sbarre e sepolta sotto la più pesante censura!
Lo dice anche Nicola Porro, chiudendo il suo articolo: “E’ facile difendere un’opinione quando è simile alla nostra. Dovrebbe essere vietato metterla in galera quando non lo è”.
Buona fortuna.
Fabrizio Fiorini









   
 



 
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