L’anniversario dell’11 settembre a Bengasi ha visto la morte dell’ambasciatore Stevens e di altri tre funzionari americani. Gli Stati Uniti vedono il fallimento di tutta la linea politica dell’esportazione della democrazia portata con le bombe intelligenti e i cambiamenti dei regimi, auspicati da una improbabile, una autentica messa in scena mediatica, della Primavera araba. La democrazia così come è stata portata dagli angloamericani, anche da noi, già aveva il fiato grosso, negli anni Settanta. E la stessa politica atlantica è stata profondamente rivista un decennio dopo, tra il 1989 e il 1991, con la fine del Patto di Varsavia e dell’Urss: la MNato si è trasformata da dispositivo di “difesa” a strumento di offesa e di intervento in Europa (Balcani) e nel nostro Vicino Oriente. Il mondo così come è stato pensato e voluto a Jalta, dai vincitori, è profondamente cambiato. Tra il 1944 e il 1948 non vi erano grandi o medi Stati indipendenti,come l’India ancora “perla inglese” dello sconfinato impero britannico, e la Cina giunta soltanto alla vigilia di alzare la testa con Mao dopo 150 di umiliazioni date, ancora, dagli inglesi e loro “amici” europei. Umiliazioni e spartizioni di aree commerciali culminate con la guerra delle Nove potenze tra cui il regno d’Italia e la concessione commerciale di Tient Tsin (45 ettari di zona portuale, un enclave di fatto) nella omonima città porta d’accesso del Celeste impero. Da un’America (gli Usa) dove gli afroamericani non avevano diritti, i Vincitori imponevano i diritti umani al mondo intero, e alla Vecchia Europa, dove la rivoluzione francese aveva portato persino nello Stato della Chiesa (il peggio governato, simile alla Tunisia del Bey) il principio del rispetto della persona e lo stato civile anziché i pur meritori, per gli studi storici, “stati delle anime” delle parrocchie. Ed ora gli Stati Uniti hanno autonomamente provocato un’altra gatta da pelare in piene elezionipresidenziali. Oggi, si direbbe, agli occhi del mondo intero: gli americani non sanno più difendere i loro cittadini, i loro funzionari, a un braccio di mare da Roma, dall’Italia, da Lampedusa già oggetto di una braccio di ferro tra Gheddafi e Reagan con l’Operazione El Dorado Canyon, voluta la notte del 14 marzo 1986. Gheddafi rivendicava a sud la linea Azouz col Ciad verso il massiccio del Tibesti, a nord le acque del Golfo di Sirte, decine e decine di chilometri avanti. E allora veniva scatenato dagli F111, il bombardamento su Tripoli. Morirono una quindicina di civili tra cui Hanna la figlia adottiva del Colonnello Gheddafi di soli 15 mesi e un numero imprecisato di militari libici. Si andava facendo strada una nuova opinione pubblica mondiale che inorridiva allora, alla vista di morti civili, europei spauriti in effetti, ancora dal passato della guerra 1939-45. Tutti, noi europei (e giapponesi di certo), coltivavamo il terrore di un boom definitivo e globale - l’atomico:che responsabilità sulle nostre coscienze! Oggi, la stessa opinione pubblica sembra già assuefatta, la casta politica euro-occidentale non dice più nulla sul political correct. Dal lancio degli Scud libici contro la base radar del sistema Loran della Nato a Lampedusa, è stato un proliferare di precisione tattica, gli Usa e la Gran Bretagna in primis hanno raffinato la tecnica chirurgica con le cosiddette bombe intelligenti. E in piena campagna elettorale americana l’ambasciatore Chris Stevens, già preoccupato per la propria sicurezza a Tripoli, si era trasferito nella pacifica (sic!) Bengasi: e da alcuni stralci del suo diario pubblicati dalla CNN si mostrava insicuro anche lì. Una sindrome da comando militare italiano dopo l’armistizio dell’8 settembre? E cosa potrà mai fare ora Zio Sam? Raffaele Panico
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