Analisi controcorrente sul nucleare iraniano
 











Nel discorso pronunciato davanti all’Assemblea generale dell’Onu, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che, al massimo entro la prossima estate, gli iraniani “potrebbero avere uranio arricchito in quantità sufficiente a costruire un ordigno nucleare”. L’Iran, che - a differenza di Israele - ha aderito al Trattato di non proliferazione nucleare e ha aperto le porte agli ispettori dell’Aiea, afferma da sempre di aspirare al nucleare esclusivamente per scopi civili.
Che Teheran intenda dotarsi della bomba atomica, quindi, resta un sospetto avanzato dagli Stati Uniti e da Israele ma non suffragato da prove convincenti. Tuttavia, lo scenario rappresentato da un Iran atomico non sarebbe così catastrofico come sostengono i detrattori della Repubblica islamica. Anzi, forse sarebbe pure auspicabile. È questa, in sintesi, la tesi contenuta in un articolo pubblicato sul n.58 di Aspenia, la rivista dell’Aspen Institute Italia. L’autore èKenneth N. Waltz (foto in alto), professore emerito di scienze politiche all’Università di Berkeley e noto studioso delle relazioni internazionali (suo è il volume, edito da Il Mulino, Teoria della politica internazionale).
Un Iran provvisto di armi nucleari, secondo Waltz, “sarebbe probabilmente l’esito migliore, quello con le maggiori chance di ripristinare la stabilità in Medio Oriente”. A determinare l’attuale instabilità nella regione, infatti, sarebbe “il monopolio dell’atomica da parte di Israele, che resiste da ben quarant’anni”: la forza “necessita di contrappesi” come avviene nel resto del mondo, dove non “esiste una potenza nucleare solitaria e priva di argini”. Tra le paure che circondano l’ipotesi di un Iran atomico c’è quella relativa alla presunta irrazionalità dei governanti della Repubblica islamica. Waltz riconosce, invece, che la dirigenza di Teheran è composta di “ayatollah perfettamente sani di mente e determinati a sopravvivere, come qualsiasi altro leader”.Costoro non userebbero mai l’atomica contro Israele, perché si esporrebbero a “una massiccia rappresaglia, capace di distruggere quanto lo stesso regime ha di più caro”.
E vedrebbero nella bomba uno strumento capace di garantire la sicurezza e l’indipendenza del proprio Paese. Del tutto infondato è anche il timore che Teheran, una volta ottenuta l’atomica, possa fornirla ai gruppi terroristici. Tale mossa si ritorcerebbe infatti contro l’Iran, in quanto uno Stato “non può mai controllare interamente o anche solo prevedere il comportamento dei gruppi terroristici che sponsorizza”. Se si dotasse di ordigni nucleari, Teheran “avrebbe tutte le ragioni per mantenere il pieno controllo del proprio arsenale. Dopo tutto, costruire la bomba è rischioso e dispendioso; non avrebbe molto senso trasferire il prodotto di quell’investimento a soggetti inaffidabili o ingestibili”. Né un Iran nuclearmente armato giustificherebbe la paura di una corsa alla bomba atomica in Medio Oriente. “Se unIsraele atomico non ha innescato una corsa agli armamenti allora – osserva Waltz -, non vi è ragione perché un Iran nuclearizzato debba farlo oggi”. Significativo è il precedente rappresentato da India e Pakistan, i quali nel 1991 s’impegnarono – mediante un trattato – “a non attaccare le rispettive installazioni nucleari. L’accordo scaturiva dalla consapevolezza che il pericolo maggiore non risiedeva nel deterrente atomico avversario, ma nell’instabilità derivante dai tentativi di neutralizzarlo. Da allora, anche in presenza di forti tensioni e di aperte provocazioni, i due Paesi hanno saputo preservare la pace”.
Insomma, l’atomica iraniana sarebbe una fonte di sicurezza, stabilità e pace per la regione mediorientale. E dovrebbe essere vista con favore anche nelle capitali europee, potenziali bersagli – come ebbe ad ammettere Martin van Creveld, docente di storia militare alla Hebrew University di Gerusalemme, in un’intervista del 2003 – delle testate atomiche israeliane. Francesco Algisi

 









   
 



 
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