La Goldman Sachs ha perso
 











Una notizia nella notizia: se Obama ha vinto, la Goldman Sachs e le altre grandi banche della “cupola” del potere finanziario mondiale hanno perso. Non è una deduzione: è un calcolo. La Goldman ha finanziato Romney con 1,8 milioni di dollari (una briciola per la sua ricchezza, tanto per lo sfidante) e ha fatto a Barack un’elemosina da 136 mila dollari. Secondo i dati resi noti dai media americani, in particolare, nel 2008 Jp Morgan, Morgan Stanley, Citigroup e Bank of America donarono complessivamente a Obama 3 milioni e mezzo di dollari e quest’anno soltanto 650.000, mentre hanno firmato allo sfidante Romney uno "Cheque” cinque volte più grasso, da 3,3 milioni di dollari.
I tanti “delusi da Obama”, che al suo insediamento – in piena crisi finanziaria da “bolla” dei derivati -  aveva strapromesso di moralizzare Wall Street e poi ha fatto ben poco, hanno di che rincuorarsi: se le banche vivono la sconfitta di Romney come una propriasconfitta, è buon segno.
Il commento più frequente, in questa caldissima prima mattinata dell’”Obama due” è che ora il presidente dovrà vedersela con la montagna del debito pubblico americano (molto più grande di quella italiana, anche in rapporto al Pil, a calcolarla con i parametri europei) e con la ripresa economica che stenta: tutto vero, ma Obama dovrà anche vedersela con la cupola delle banche, che continuano a incanalare il business solo verso le proprie tasche, senza far nulla per convogliarlo sull’economia reale, che dà lavoro e aumenta il Pil.
Ma per capire quanto sia assoluto il potere che Goldman Sachs, Jp Morgan, Citigroup e altre due o tre sentono di avere negli States basta misurare quanto poco sia bastato che Obama facesse contro di loro – pochissimo rispetto alle speranze e al necessario – per alienarsene le simpatie. Le ha fatte infuriare il Dodd-Frank Act,  la legge di riforma della finanza voluta dalla Casa Binaca che vieta alle banche investimentispeculativi coi mezzi propri, una proibizione per la quale Goldman perderà il 10% degli utili. L’altro scandalo è il calo dei bonus dei manager bancari, connesso al minor margine di guadagno a sua volta indotto da alcuni regolamenti più rigidi sulla governance bancaria, varati negli ultimi quattro anni.
C’è stato addirittura un omaccione della finanza speculativa, il manager degli hedge fung Leon Cooperman, che ha attaccato il presidente accusandolo di voler fare la “lotta di classe” contro le banche. La task-force governativa che sta ancora indagando (su questa materia anche gli americani hanno tempi italiani) sui responsabili della crisi del 2008 ha messo nel mirino la Bear Stearns, cioè la controllante Jp Morgan, e minaccia di estendere ad altri istituti la propria azione: apriti cielo, se si pensa che proprio il capo della JpMorgan, il chiacchieratissimo Jamie Dimon, oltretutto nel ciclone anche per lo scandalo delle manipolazione dell’indice Libor, ha sostenuto anche alCongresso che nuovi regolamenti sul settore della finanza non sarebbero necessari...
Cosa temono, dunque, dall’Obama-bis i padroni del vapore di Wall Street? Temono due ordini di azioni: il primo è quello tattico, che banalmente consiste nello snidare e punire i tanti ladri che speculano sulle loro posizioni contro gli interessi dei clienti solo per massimizzare i propri profitti personali che spesso coincidono con quelli delle banche in cui lavorano; il secondo è quello strategico, cioè la possibilità che la Casa Bianca promuova una riforma globale del sistema, restringendo i margini d’azione della finanza sofisticata, dei derivati tossici, la cui ciclopica dimensione è tutt’altro che diminuita, dal 2008 ad oggi, pilotando un atterraggio morbido in zone più sicure, che riducano gli spaventosi rischi sistemici che ci sovrastano (“ci”, perchè la cosa riguarda tutto il mondo, non certo solo gli Stati Uniti) e insieme riducano i profitti delle banche. Forse Obama non vuole neancheosare tanto, comunque difficilmente ci riuscirebbe perchè non ha dalla sua la rivoluzionaria compattezza politica che gli servirebbe al Congresso per imporre una simile discontinuità, ma è questo che le banche temono come i bambini l’uomo nero. O abbronzato, avrebbe detto qualcuno in Italia...  Sergio Luciano-affaritaliani









   
 



 
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