Galeno e il galenismo: il medico filosofo
 











Chi era veramente Galeno? E cos’è il galenismo? Nato a Pergamo nel II secolo d.C., Galeno è il più insigne medico dell’antichità, dopo Ippocrate. “La vitalità dell’opera galenica non finisce di sorprenderci”, afferma Véronique Boudon-Millot, docente alla Sorbona di Parigi. Quella di Galeno è una storia intellettuale dal destino eccezionale. Attraversa i secoli e coinvolge i padri della Chiesa, Avicenna, Boezio, Cassiodoro e Maometto, e più tardi ancora Hobbes e Descartes. Ancora a metà del XVI secolo, la facoltà di medicina di Parigi è irremovibile nella propria fede galenica. Diffusa è l’avversione per la dissezione. Saranno i progressi della chimica, tra la fine del XVII e l’inizio del XVII secolo, ad aprire nuovi orizzonti.
“Se l’anatomo-fisiopatologia galenica è oggi largamente superata dai progressi sotto ogni aspetto strabilianti della medicina moderna, l’eredità di Galeno consiste più sottilmente in quella figura ideale del medico-filosofoabbastanza vicino al suo paziente per farsi amare ma anche per essere obbedito”, scrive Boudon-Millot nella prefazione al documentato e avvincente libro di Giorgio Cosmacini e Martino Menghi: “Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute” (edito da FrancoAngeli).
L’ambizioso progetto di Galeno lo si ritrova nel titolo stesso di una sua opera: “Quod optimum medicus sit quoque philosophus”; vale a dire “che il miglior medico sia anche filosofo”. L’azione del medico non si limita alla salute fisica dei pazienti: si fa carico anche della loro salute mentale e morale. Di qui lo sviluppo di una vera e propria etica della temperanza. Non solo in fatto di alimentazione e di abitudini di vita, ma anche per quanto riguarda i desideri: dall’avidità di ricchezza, riflesso sul piano sociale dell’avidità di cibi e bevande, alle pulsioni erotiche e colleriche. Una proposta di controllo della vita fisica e psicologica del soggetto motivata in modo sistematico con ragioni fisiologiche, vale adire scientifiche. In linea con una tradizione secolare che sanciva l’interdipendenza tra filosofia e medicina: “l’una sorella dell’altra”, dice Tertulliano. L’una e l’altra, infatti, si occupano dell’uomo, in particolare dell’anima e di questioni inerenti l’etica e la teleologia, ossia lo studio dei fini.
Tuttavia, in Galeno il rapporto ideale medico-paziente non si configura più come un libero scambio di benefici tra amici, come aveva teorizzato Seneca. Esso, rimarca Menghi (Università di Pavia), “ è piuttosto un rapporto ‘verticale’ e ‘impari’, quello di un superiore che benefica un inferiore”. La salute era vista come un bene prezioso ma instabile. Proprio come la fortuna. E pertanto da tutelare con ogni precauzione: “è necessario che vivano curandosi continuamente coloro i quali vogliono restare sani”, scrive Musonio Rufo, stoico bandito da Nerone nel 65 d.C. e maestro di Epitteto. In questa diffusa consapevolezza della precarietà della salute al medico si apre la possibilitàdi svolgere un ruolo cruciale. Non solo di prevenzione e terapia; bensì anche di potere, morale e psicologico, sulla vasta categoria dei malati, virtuali o reali che siano. Un potere che replica su scala ridotta quello esercitato dal principe sui suoi sudditi.
In Galeno le attenzioni del medico verso il paziente non sono più l’effetto dell’amicizia. Si configurano invece come un passaggio “verticale” e “impari” di un beneficio che un superiore dà a un inferiore. Il medico galenico, provvisto della sua incontestabile preparazione professionale, può aspirare a ricoprire un ruolo strategico. Conforme a un ordinamento gerarchico che sancisce la natura diseguale del rapporto tra benefattori – dal principe al resto dell’establishment dove si colloca il medico – e beneficati. Sudditi o malati che siano.
Il galenismo è un’ideologia di lunga durata. Domina le università per un millennio e mezzo. Resiste anche a quelle che il grande storico della medicina Mirco Grmek chiama “la premièrerévolution biologique”. Legata ai nomi di Galileo e di Cartesio. Sarà l’età dei Lumi a certificare il definitivo tramonto di Galeno.
Nelle università medievali la medicina è basata sul commento ai testi: ai primi posti quelli galenici. Galeno è il gigante sulle cui spalle i medici devono issarsi per vedere più lontano. Nel suo nome, osserva Giorgio Cosmacini (Università Vita-Salute San Raffaele), “la medicina pratica viene uniformata e unificata alla medicina teorica in una sintesi coerente”. Evitando ogni eccesso di praticismo, la medicina diviene scienza; cioè speculazione con metodo dialettico-disputatorio. Come la scienza del diritto. Con simili premesse, la peste che si abbatte sull’Europa tra il 1347 e il 1350 trova la medicina impreparata. La popolazione europea è decimata. La medicina dotta delle università si dimostra impotente su tutti i piani, diagnosi, prognosi e cura. Il discredito dei medici presso l’opinione pubblica nella seconda metà del Trecento trova espressioneletteraria nell’Invettiva contro i medici scritta da Francesco Petrarca tra il 1352 e il 1355. E nel Decameron di Giovanni Boccaccio, dove i supremi rappresentanti dell’arte medica Esculapio, Ippocrate e Galeno sono irrisi sfacciatamente.
Più tardi, il nuovo mondo scoperto da Cristoforo Colombo trasmette al vecchio continente un morbo nuovo, la sifilide. Il “mal francese” è diffuso dalle truppe di re Carlo VII, sceso in Italia nel 1494 per rivendicare i diritti della corona di Francia sul reame di Napoli. I medici, con mentalità galenica, imputano la malattia alle perturbazioni climatiche e meteorologiche. Sebbene ne sia ben evidente la trasmissione sessuale. Intanto, il giovane medico Paracelso, laureatosi all’università di Ferrara nel 1515, crea farmaci chimici e mette a punto un suo apparato terapeutico: altrettanto inefficace di quello galenico. Per lui non è Galeno, ma l’esperienza la vera fonte del conoscere. Girando per l’Europa, va dicendo “non è mai ancora uscito un medicodalle università”. Il modello formativo dei medici non può più essere il commento ai testi. A Basilea nel 1527 getta nel grande falò acceso in piazza per la festa di san Giovanni i libri di Avicenna e di Galeno. Dichiara le due somme autorità decadute dal rango di maestri. La rivoluzione anti-intellettualistica di Paracelso esalta la verità dell’esperienza diretta, contro la falsità del sapere libresco. Le reazioni sono immediate. Le gerarchie accademiche, adirate per il rogo dei libri, accusano il medico piromane di ciarlataneria e, peggio, di eresia. Le gerarchie politiche e religiose, sia cattoliche che protestanti, procedono alleate nel condannare il medico eretico. Reprimono un proselitismo giudicato eversivo. Paracelso è costretto a peregrinare. Ovunque in Europa trova nemici. I farmacisti, inviperiti contro colui che disprezza i medicinali, accusano il medico alchimista di magia nera.
Tre anni dopo il rogo di Basilea il medico veronese Girolamo Fracastoro studiando il “malfranzese” mette in dubbio la dottrina galenica “aerista”. E propone un nuovo modello esplicativo. Fondato sul meccanismo del contagio. La sifilide, la peste, la tisi, il tifo petecchiale sono malattie contagiose. Uomo del Rinascimento, Fracastoro riprende il pensiero di Lucrezio. Lucreziana, rileva Cosmacini, è la “modellistica particellare dei minimi di materia indivisibili e invisibili”. Conforme inoltre alla fisica di Epicuro. La filosofia di Aristotele e la medicina di Galeno sono spiazzate. Un antico sapere deve essere riformulato.
L’osservazione della natura diventa il criterio di riferimento. Andrea Vesalio (1514-1564), giovane medico fiammingo nativo di Bruxelles, perfeziona a Padova le tecniche della dissezione su cadaveri. E rileva i numerosi errori di Galeno sull’anatomia. Nel 1543 pubblica a Basilea il “De humani corporis fabrica”: fondamento metodologico e teorico-pratico della rivolta contro Galeno. Vesalio è il protagonista di una rivoluzione scientifica non menoimportante di quella compiuta nello stesso periodo da un ex studente polacco di Padova, Niklas Kopernik (1473-1543), Copernico, autore del “De revolutionibus orbium coelestium” nel quale non più la terra, ma il sole è posto al centro dell’universo.
La medicina di Galeno resiste fino al Seicento. Quando la metodologia galileiana, con le sue “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni”, penetra in campo medico. L’inglese William Harvey (1578-1657), che ha studiato a Padova negli anni in cui Galileo v’insegnava, applica il metodo galileiano del calcolo alla fisiologia. Scopre la circolazione sanguigna. Nella seconda metà del Settecento l’ambizione dei medici è quella di “fare come Newton”. Cioè scoprire proprietà e formulare leggi che corrispondano nel campo medico-biologico alla “forza d’attrazione” formulata da Newton. In Francia la Rivoluzione cancella le facoltà di medicina e vara le Ecoles de santé. Non conta più il commento ai testi ma la clinica ospedaliera, al lettodell’ammalato, l’igiene e la ricerca chimica per farmaci di provata efficacia. Il galenismo batte in ritirata.
Eppure di fronte ai ritrovati tecnologici della medicina moderna torna attuale l’invito di Galeno: “il miglior medico sia anche filosofo”. I principi etici di temperanza, giustezza ed equità devono orientare lo sviluppo tecnico-scientifico per trasformarlo in progresso medico e socio-sanitario.  Pasquale Rotunno









   
 



 
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