Due Popoli… un solo Stato
 











L’assemblea delle Nazioni Unite ha riconosciuto, sia pure non ammettendola a pieno titolo, la Palestina come entità statuale, sessantacinque anni dopo il riconoscimento dello Stato di Israele.
Netanyahu vede concretarsi il suo isolamento internazionale e i suoi avversari politici interni ne approfitteranno certamente nel finale di questa serrata campagna elettorale.
Il ministro della Difesa Ehud Barak,fino a ieri principale sostegno del premier nel governo, ha annunziato il proprio ritiro dalla scena politica, aiutando così il suo ex partito – il laburista – che conta mandare all’opposizione Benjamin Netanyahu e sopratutto l’impalatabile ministro degli esteri Liebermann .
Non si può dire che a Israele non sia stato concesso abbastanza tempo per trovare – in atmosfera protetta – un modus vivendi con gli arabi e che questi non abbiano ricevuto ogni genere di pressioni per sedersi al tavolo della pace.
La scelta americana è anche un chiarosegnale che la protezione Usa non è eterna e comunque subordinata agli interessi americani e che è ormai tempo di parlare concretamente di pace.
Incassando questo quasi riconoscimento, Mahmud Abbas hanno una duplice opportunità: possono minacciare di ricorrere alla CPI (corte penale internazionale) in caso di attacchi militari israeliani contro il territorio – o le persone – del nuovo stato. Finire alla CPI , con accuse di crimini di guerra , per Israele ed il sostegno che riceve dalla Diaspora, sarebbe esiziale.
Questa nuova situazione consentirebbe di valorizzare il porto di Gaza per la levata del blocco, con possibilità di accedere alle royalties dei giacimenti marini di gas che il servizio geologico americano ha identificato tra Leviathan e il delta del Nilo.
Certo, ogni elemento è da negoziare, ma le basi ci sono tutte , compresa la bomba sotto la poltrona dell’attuale governo, mirante a facilitare le cose.
Conclusa questa delicata fase politica, la rappresentante Usaall’Onu , Susan Rice, ha certamente le carte in regola per succedere alla Hilary Clinton alla segreteria di Stato e presentarsi nel mondo arabo come colei che non ha posto il veto al riconoscimento della Palestina.
Finora la Palestina era solo uno dei 22 membri della Lega Araba (che conta anche 4 osservatori tra cui India e Brasile), ma adesso inizierà a svolgere attività in seno alla comunità internazionale, e ad essere accolta nelle Agenzie delle Nazioni Unite, dove qualche palestinese ha già posizioni personali di rilievo , ma adesso avrà diritto a qualche posizione apicale.
D’altronde le principali ripercussioni le vedremo nel mondo arabo e negli equilibri interni alla Lega Araba ed al suo controllo, sempre egiziano ma ora in mano al Qatar ed ai sauditi.
Per gli Usa, si tratta di un primo passo mirante ad alleggerire la pressione sui propri cittadini e interessi petroliferi ormai bersagli tradizionali di tutti gli arabi e islamici scontenti .
Il vero pericolo è che gliarabi considerino l’evento come un antipasto, mentre il governo Obama a gennaio è probabile riprenderà con un nuovo governo israeliano la sua politica tradizionale di voler spingere i duellanti al negoziato diretto.
Intanto il presidente della Ue, Manuel Barroso ha convocato, mirabile tempismo, una conferenza stampa per presentare un “blueprint for a deep and genuine Emu ( European Monetary Union ndr): launching a European Debate” .
Mi direte: che c’entra. Niente, appunto.
Su 193 stati appartenenti alle Nazioni Unite, 139 hanno votato a favore della risoluzione, nove contro – tra cui Stati Uniti e Canada Panama e Repubblica Ceca – mentre, sorpresa dell’ultim’ora, Gran Bretagna e Germania capeggiano la pattuglia dei 41 stati che dopo 65 anni di dibattiti non hanno ancora un’idea chiara di quale atteggiamento tenere.
La spaccatura tra i 27 rimane, ma è meno profonda.
Il voto è per Abbas un duplice personale successo, in quanto i paesi in cui la Palestina ha unarappresentanza sono 80 e quelli che l’hanno riconosciuta come Stato, 132. I votanti a favore 139.
L’Onu si è resa conto che se si vuole tenere in piedi la tesi, a mio parere non vitale, dei “due Stati” era necessario che gli Stati fossero due.
Il rappresentante palestinese andrà dunque a prendere posto accanto al seggio dell’altro rappresentante con status di paese osservatore (anch’esso coinvolto nella parte più delicata della trattativa: Gerusalemme): lo Stato Città del Vaticano.
Gerusalemme diventerà l’item più sensibile della nuova fase di contenzioso e la vicinanza fisica tra due delle tre parti direttamente coinvolte, è destinata ad avere una influenza sullo svolgerai degli eventi e anche sui media audiovisivi.
Ha ragione Netanyahu quando dice che la stipula della pace si è allontanata. Israele, dopo l’elezione del nuovo governo a gennaio, dovrà rivedere la propria strategia generale e in particolare quella negoziale.
Il fatto che solo nove paesi su 193 si sianoopposti alla risoluzione e tra questi paesi da operetta tipo la Micronesia, le Isole Marshall e Panama, evidenzia il grado di isolamento cui la politica oltranzista di Netanyahu ha portato un paese che era nato tra la simpatia generale delle nazioni.
Uno dei due “negozianti”, privo di status e di ruolo, col territorio diviso e circondato, privo di esercito, senza un proprio spazio aereo, senza commercio autonomo, finanziariamente sorvegliato e subordinato al rivale, adesso ha veste giuridica e dignità politica per sedersi al tavolo della trattativa ed avrà modo di far valere – sia pure non ancora in sede multilaterale – tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite, inclusa quella del ritorno di Israele ai confini del 1967, rimasta finora lettera morta.
Per converso, adesso che esiste un nascente e riconosciuto Stato palestinese, sarà più difficile al leader nazionalista arabo di turno di ergersi a difensore dai palestinesi: adesso questi hanno un loro stato, una voce e unostrapuntino nel consesso delle Nazioni.
I loro dirigenti non verranno più visti come i “kapò” dell’occupante.
Il “negoziato di pace asimmetrico” è adesso meno asimmetrico e questo si tradurrà certamente in una riduzione degli atti terroristici e darà più capacità di leadership al non carismatico Abbas e meno consensi ai razzi di Hamas .
Due sono gli elementi depotenziati dalla risoluzione di oggi: l’ipotesi di ricorsi a interventi militari rivelatisi più volte ingannevolmente risolutivi e la possibilità di continuare a costruire nuovi insediamenti di colonizzatori nei territori che l’Onu (e gli Usa) ha ripetutamente riconosciuto come non appartenenti allo Stato di Israele.
Entrambi questi strumenti sono passibili di provocare un ricorso del nuovo stato presso la corte penale internazionale.
Gli Usa paventano denunzie contro le spedizioni punitive fatte in risposta ai razzi, ma la minaccia di ricorso contro la costruzione di nuovi insediamenti ha una valenza strategicaben più importante.
Prima della tornata negoziale tra Israele e Palestina, é verosimile che inizi un processo di unificazione tra i due tronconi palestinesi separati e questo potrebbe essere il campo di prova su cui misurare l’impegno italiano per la pace, anche se una vera pace potrà essere assicurata , a mio avviso, con una soluzione di tipo sud africano: due popoli, uno stato. Laico e democratico.Antonio de Martinida “ilcorrieredellacollera”










   
 



 
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