Hekmatyar, l’altra offensiva
 







di Emanuele Giordana




Sette e quaranta del mattino, quartiere di Wazir Akbar Khan, davanti al ministero degli esteri e a un passo dall’ambasciata pachistana. A due da quella americana. Un’autobomba alla cui guida c’è un kamikaze si scaglia contro tre Hammer americani, blindati a prova d’esplosione. Lo scoppio uccide due civili e danneggia gravemente almeno un paio dei tre veicoli militari anche se, avvertirà poi il colonnello David Johnson della coalizione a guida Usa, nessuno dei soldati risulta più che ferito.
Lo scoppio risuona per tutta Kabul. La gente non sembra farci molto caso in questa città abituata a considerare a rischio l’orario tra le sette e le dieci del mattino, preferito dai «martiri della fede». Quando arriviamo sulla scena del delitto, gli americani sono già lì. Sembrano tollerare che ci siano anche gli afghani ma comandano loro. Sono nervosi per quest’attacco che li ha appena colpiti nel cuore della capitale - nella zona delle ambasciate - anchese, come al solito, chi ha pagato di più, tra morti e feriti, sono i civili. Due giovani curiosi litigano con un soldatino afghano. Si spintonano. «Hei», grida dalla torretta di un Hammer un elmetto americano. Indica i due, «You and You! Go away!». Con tutti quei mitra spianati non si scherza. «Andatevene!». Eseguono ma vien da pensare che i talebani debbano essersi guadagnati altri due fan. Ce ne andiamo anche noi. I colleghi della Rai tornano più tardi. Mostrano, nel girato, un bel buco, vetri in frantumi e il palazzo seriamente danneggiato. Degli Hammer resta qualche brandello metallico appeso a un albero. Alcune donne raccolgono i cocci di quel che in casa è andato rotto. Si volta pagina. Domani è un altro giorno,
Per noi invece comincia il lavoro. E ce n’è, perché l’attentato lo rivendicano in due. Il portavoce di Gulbuddin Hekmatyar, signore della guerra che, secondo alcuni, sarebbe anche dietro la strage degli innocenti di qualche settimana fa a Baghlan negata dai talebani.Ma non passa qualche minuto, che chiamano i taleb. «Non è Hekmatyar, siamo noi». Ma ecco che il portavoce dell’Hezb-e islami si rifà vivo. Rilancia. Non solo siamo noi ma abbiamo le prove, il suicida si chiama Ahmajan e viene da un sobborgo di Kabul. Carte alla mano. Afferma che, d’ora in poi, Gulbuddin rivendicherà ogni azione. Cambio di strategia. E se c’era qualche dubbio sulle divisioni nel fronte della guerriglia ecco la prova dello scontro interno. Intanto apprendiamo che la «Lexus» esplosa col suo autista era stata segnalata. Sin dal giorno prima, confidano fonti di polizia. Dunque l’intelligence funziona. Oppure gli spioni interni sono in aumento. Anche all’interno dei talebani dunque si aprono brecce. Non solo sul fronte Nato, dopo che l’incontro di qualche giorno fa in Olanda ha confermato che tra i membri della forza multinazionale c’è tensione.
Nel pomeriggio passiamo all’ospedale di Emergency. Non ci sono i feriti della mattina ma c’è ancora un poveraccio colpito sabatoscorso a Paghman dall’esplosione che ha ucciso il soldato italiano e altri civili del posto. Mustafa è un negoziante che anni fa è saltato su una mina perdendo due dita della mano e una gamba. Adesso è tutto ustionato. Ci conferma che gli italiani avevano lavorato per tutta la settimana ma non ricorda nulla dell’esplosione che lo ha ferito. Non può dunque confermare quanto riportato da alcune agenzie di stampa e, pare, denunciato da una famiglia al ministero dell’Educazione. Vale a dire che gli italiani non avrebbero sparato solo in aria ma colpito almeno due ragazzi col «fuoco amico». Una versione respinta al mittente dal nostro contingente e su cui non ci sono riscontri. Del resto la bomba umana ha sparato centinaia di minuscole schegge di metallo che uccidono come proiettili. Anzi, dice lui, gli italiani sono amici. Come che sia l’intelligence afghana, ieri sul posto, ha aperto un’inchiesta e, secondo indiscrezioni, il presidente Karzai si sarebbe appellato all’Isaf per maggiorcautela quando ci sono civili di mezzo. Mentre ce ne andiamo notiamo un poliziotto che piantona un talebano ferito. Dorme davanti al letto di Mustafa. Ironia del destino. Eppure, dice il medico di Emergency, è difficile che i due possano litigare. «In questo disgraziato paese - dice - la guerra è un’occasione di lavoro. Non importa da che parte». *Lettera 22









   
 



 
09-10-2015 - WikiLeaks svela l’assalto del Tpp alla salute e alla libertà della rete
26-02-2015 - Ucraina, Putin: taglio del gas da Kiev a regioni dell’est puzza di genocidio
22-02-2015 - Obama al summit antiterrorismo: "Non siamo in guerra con l’islam ma con chi lo strumentalizza"
12-02-2015 - Maratona al vertice di Minsk. Putin: "Raggiunto accordo per il cessate il fuoco"
10-02-2015 - Il Cremlino: "Se gli americani armano Kiev ci sarà un’escalation del conflitto"
09-02-2015 - Ucraina, Putin: "Non accetteremo ultimatum". Kiev denuncia: "Nel week end 1500 soldati russi hanno varcato la frontiera"
05-02-2015 - Ucraina, Kerry: Russia deve "impegnarsi subito" per fermare la guerra. Putin mobilita i riservisti
09-01-2015 - Un 11 settembre francese? Chi ha ordinato l’attentato contro Charlie Hebdo?
23-12-2014 - Ttip, a chi conviene il trattato commerciale tra Europa e Stati Uniti?
22-12-2014 - Lauti stanziamenti Usa anti-Assad
19-12-2014 - Obama e i giovani neri di Ferguson
18-12-2014 - Putin: "Misure adeguate contro la crisi, economia in ripresa entro due anni
17-12-2014 - Cuba-Usa, svolta nei rapporti: liberato il contractor Gross, scambio di agenti segreti
15-12-2014 - Guerra in Ucraina: viaggio da Sloviansk a Kiev dove il diritto alla salute è negato
14-12-2014 - Libia, chiuso il più grande porto petrolifero: rischio blocco del gas italiano a Mellita

Privacy e Cookies