E’ Sallusti che perseguita Sallusti
 











Da due mesi e mezzo tutti parlano della condanna di Alessandro Sallusti a 14 mesi senza condizionale, e nessuno ha letto (o capito) la sentenza. Ancora domenica scorsa, dopo la pochade dell’arresto al Giornale, l’accompagnamento a casa, l’evasione sul pianerottolo, il processo per direttissima e il ritorno a casa a favore di telecamere, si son letti commenti ai confini della realtà. Qualcuno parla di "regime" o "Stato di polizia" per l’arrivo dei poliziotti nella redazione del Giornale. Pierluigi Battista freme di sdegno per "la non normalità di un direttore di giornale arrestato nella sua redazione" (Corriere). Ma, per evitare che la polizia "profanasse" la sede del Giornale, sarebbe bastato che Sallusti l’attendesse a casa sua, dove peraltro era stato destinato dal giudice. Se uno l’attende in redazione, è piuttosto ovvio che la polizia non lo cerchi al bar o al circo, ma in redazione. Battista ce l’ha con gli "antipatizzanti di Sallusti...soddisfatti di vedere un odiato nemico dietro le sbarre". Forse dimentica che l’unico a chiedere che Sallusti finisca dietro le sbarre è Sallusti. Prima che il caso finisse in Cassazione, gli avevamo suggerito di rettificare la notizia falsa (che, cioè, il giudice tutelare Cocilovo avesse costretto una minorenne ad abortire contro la sua volontà), scusarsi con la vittima e risarcire il danno in cambio del ritiro della querela, che avrebbe estinto il processo. Cocilovo si disse disponibile, ma Sallusti proclamò di non aver nulla da rettificare e tuonò contro la "sentenza politica".
COSI IL PROCESSO APPRODÒ in Cassazione e il 26 settembre giunse la condanna definitiva. Battista invita gli "antipatizzanti" a "dare anche loro la notizia giusta": a suo dire Sallusti sarebbe stato condannato "perché il direttore responsabile di un giornale, che porta la responsabilità di un articolo diffamatorio senza esserne l’autore, è bollato da una sentenza come soggetto pericoloso" e "delinquenteabituale". E’ quel che dice pure Sallusti, convinto di essere stato condannato per l’"omesso controllo" sull’articolo di "Dreyfus" alias Renato Farina. Evidentemente anche lui ignora la sua sentenza. L’hanno firmata due giudici ipergarantisti: Aldo Grassi (vecchio amico di Carnevale) e Antonio Bevere. I quali ricordano che dal 2007 a oggi "Libero (allora diretto da Sallusti, ndr) non ha mai agito per sanare la falsità della notizia". Anzi, cinque giorni dopo l’articolo di Dreyfus, quando il falso era già stato smentita da Ansa, GrRai e vari quotidiani,rincarò la dose con un pezzo di Carlo Taormina. Il che "rafforza ulteriormente il dolo del reato". Perciò Sallusti è stato condannato fin dal primo grado non per omesso controllo (reato colposo "mai contestato all’imputato"), ma per concorso doloso in diffamazione "animata da coscienza, volontà... e consapevolezza di aggredire la reputazione altrui".
E’ VERO CHE , se lo pseudonimo resta misterioso, l’articolo viene attribuito aldirettore: ma qui Sallusti sarebbe stato condannato anche se Farina si fosse svelato in tempo utile. E sul punto, anche volendo, la Cassazione non avrebbe potuto annullare la condanna: "nessuna censura è stata formulata nei motivi d’appello" dei difensori. La pena, come ha scritto qualcuno, è sproporzionata? In casi normali, sì. Anche per i supremi giudici, il carcere senz’attenuanti è un’"ipotesi eccezionale", ma qui dipende dalla "spiccata capacità a delinquere" di Sallusti (che, con buona pace di Battista, non è un insulto, ma un termine tecnico per definire chi vanta "precedenti penali", e Sallusti aveva già 7 condanne definitive) e dalla "gravità del fatto e del danno". Si può discutere sulla mancata sospensione della pena: ma la Cassazione non poteva farci nulla, perché nemmeno questo punto era "oggetto di impugnazione nei motivi di appello". Cioè la difesa Sallusti non l’aveva contestata, dunque era definitiva già in secondo grado. Insomma, se qualcuno ha fatto di tutto perchéSallusti finisse in galera, è Sallusti: prima pubblicando i falsi di Farina e Taormina senza rettificarli per cinque anni, poi non appellando la mancata condizionale e l’accusa di concorso in diffamazione, infine rifiutando i domiciliari. Per fortuna, non c’è riuscito.Marco Travaglio,l’espresso









   
 



 
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