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Il Sistema Sanitario Nazionale, progressivamente smantellato e aziendalizzato dai governi dell’ultimo ventennio, offre servizi di scarsa qualità e a costi troppo elevati per le attuali possibilità economiche degli italiani. L’approvazione del maxi-emendamento al Decreto Salute, non servirà, purtroppo, a migliorare le condizioni critiche in cui versa, perché gli “aggiustamenti” apportati, pur contenendo alcune misure migliorative, non andranno ad incidere neanche minimamente sul “ventre molle” del disegno di riordino approntato dal ministro della Salute Renato Balduzzi, vale a dire la drastica riduzione delle risorse destinate al settore sanitario. Grande preoccupazione è stata espressa da Federconsumatori, nella cui dura nota si legge quanto segue: “Ancora una volta ribadiamo che, nonostante la necessità di eliminare di abusi e sprechi, l’ossessione del risparmio non riduce i problemi legati alla controversa questione della sostenibilità del SSNe non può portare alcun beneficio, finendo anzi per accelerare il collasso del sistema stesso. L’attuazione della logica dei tagli rischia di colpire le categorie più fragili, mettendo in discussione la qualità e la continuità delle cure”. Il crescente costo delle prestazioni e la crisi incalzante, stanno spingendo infatti un numero sempre maggiore di persone a rinunciare a visite e controlli. Un dato, questo, che emerge anche dalle elaborazioni del Censis dalle quali si evince che ben 9 milioni di cittadini-utenti non usufruiscono delle prestazioni di cui avrebbero bisogno per assenza di possibilità economiche. In questo quadro, le spese sanitarie, soprattutto se relative a malattie gravi, possono trasformarsi in un fattore determinante nell’impoverimento delle famiglie. Si stima che per compensare le carenze del sistema pubblico, i costi sociali diretti a carico delle famiglie sfiorino i 6.900 Euro per l’ictus e arrivino a superare i 10.500 Euro per l’Alzheimer. Si continua a direche da noi si spende troppo per la sanità pubblica, ma non è affatto vero. Al contrario, nel nostro Paese, la spesa pubblica per questo delicato settore, risulta notevolmente più bassa rispetto a quella raggiunta da altri Paesi europei. Tra non molto, procedendo di questo passo, in tanti saranno costretti a rivolgersi a stregoni e fattucchiere... Il tema è ritornato alla ribalta dopo le recenti dichiarazioni del Presidente Monti sulle difficoltà di reperire risorse per la copertura del fabbisogno sanitario, e sulla necessità di progettare correttivi al sistema di finanziamento. Argomento complesso e delicato, che meritava di essere introdotto diversamente, non con una esternazione incidentale all’interno di un discorso dedicato ad altro e che poi non ha lasciato il tempo per precisazioni. Ha avuto, tuttavia, il pregio di riaccendere il dibattito, quanto a lungo e con quali risultati questo dipenderà dal senso di responsabilità di politici, amministratori e tecnici. Per evitareposizioni ideologiche e non confondere strumenti e fini, è essenziale affidarsi il più possibile a riferimenti oggettivi. In percentuale del Pil, oggi l’Italia dedica alla sanità risorse pubbliche leggermente inferiori rispetto ai Paesi europei più direttamente comparabili, inferiori rispetto agli Stati Uniti. Bisogna però aggiungere alcune osservazioni: — Ormai da tanti anni, quando si parla di spesa sanitaria, in Italia ci si riferisce a quella di parte corrente, mentre è trascurata e sottovalutata la componente in conto capitale; — Una parte consistente della spesa di assistenza continuata ai non autosufficienti non è a carico del Ssn, ma dell’Inps (l’assegno di accompagnamento) e dei Comuni (un universo ancora non completamente censito); — La poca trasparenza dei bilanci di Asl e Ao crea il rischio concreto che porzioni di spesa non vengano correttamente e tempestivamente contabilizzate (si pensi ai debiti commerciali sommersi che si accumulano per ritardi neipagamenti) o aggregate (le unità di spesa del Ssn non hanno una contabilità omogenea); — Le analisi di benchmarking dimostrano l’esistenza di sacche di inefficienza, sia produttiva che allocativa, annidate soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno e in alcune Regioni a statuto speciale del Nord; — Se l’osservazione dei casi reali qualcosa ci deve comunicare, i segnali che arrivano dalle unità di spesa decentrate sono di urgenti bisogni di maggiori risorse, in mancanza delle quali le file di attesa si allungano, le strutture invecchiano, la qualità si indebolisce, anche beni e servizi intermedi cominciano divenire di difficile acquisizione. Tutti elementi che vanno adeguatamente soppesati quando ci si interroghi su quante risorse sarebbero necessarie e quante il Paese è in grado di realisticamente dedicare al suo sistema sanitario. Le difficoltà sono state ovviamente acuite dalla crisi. La caduta del Pil ha di fatto azzerato una decina di anni di bassa crescita, riportandoindietro alla fine degli anni Novanta. E davanti ci sono prospettive di ripresa lenta e incerta. Le cause non sono certo da cercare nella sanità, ma ignorare i contraccolpi sulle possibilità di finanziamento significa costringere il Ssn a “navigare al buio”. L’elevato debito pubblico, che drena ogni anno interessi per circa 5 p.p. di Pil, e la sclerosi che da sempre contraddistingue la composizione del bilancio Italia, suggeriscono che aumentare il grado di selettività della spesa sia una leva importante, forse l’unica attivabile in tempi rapidi, per governare in maniera responsabile e trasparente il trade-off tra fabbisogno e risorse. Selettività significa soprattutto copayment intelligenti, graduati a seconda delle caratteristiche del singolo e del nucleo familiare, e coordinati tra Stato e Regioni (non 21 modelli per quante Regioni e Province Autonome ci sono!). Tenuto conto che il Ssn italiano ha l’impronta universale assoluta con cui è nato circa 35 anni fa, con tutte leprestazioni categorizzate come essenziali e bassi, quasi nulli e scomposti sul territorio schemi di copay, muovere in questa direzione è tutt’altro che una scelta estremista e sminuente le funzioni redistributive ed equitative. Significherebbe microfondarle per garantirle sempre, anche durante anni difficili per l’economia e la finanza pubblica. Una prima lettura delle affermazioni di Mario Monti è questa: serve introdurre selettività. Sin qui le ragioni esposte sono “interne”, nel senso che le difficoltà di reperire risorse per il Ssn rimandano a caratteristiche del sistema economico e del sistema sanitario italiano, amplificate dalla crisi. Ci sono altre ragioni per interrogarsi sull’ammodernamento del finanziamento della sanità, che non riguardano solo l’Italia ma coinvolgono tutti Paesi a economia e welfare sviluppati, senza distinguo per quelli a tradizione bismarkiana e beveridgiana, addirittura tra quelli a prevalenza di finanziamento pubblico via ripartizione (pay-as-you-go)e a prevalenza di finanziamento privato tramite assicurazioni. Queste ragioni hanno a che fare con i trend futuri del fabbisogno. Come bisogna evitare allarmismi, vanno evitati anche i “tranquillismi”. Dal Dopoguerra ad oggi, l’incidenza della spesa sanitaria corrente sul Pil è raddoppiata o più che raddoppiata in Italia e nei Paesi comparabili con l’Italia. Non solo non si ravvedono ancora segnali di saturazione, ma i trend di crescita storici sono avvenuti nonostante le politiche di stabilizzazione che in alcuni casi, come per l’Italia nella fase di ricompattamento delle finanze pubbliche prima dell’ingresso nell’Euro, sono state anche molto incisive (forse il motivo principale per cui si destinano ancora oggi meno risorse della media). Se nei prossimi 50 anni il trend dovesse posizionarsi anche soltanto al di sotto della metà di quello visto sinora, non solo il sistema italiano, ma qualunque sistema sanitario oggi esistente nei Paesi sviluppati, andrebbe incontro a difficoltàenormi per governare in maniera positiva una simile pressione. Scenari di proiezioni focalizzati sull’invecchiamento della popolazione, e senza adeguato spazio per i driver extra-demografici (elasticità della domanda al Pil, effetto “Baumol” sui costi, ricerca e innovazione, formalizzazione delle cure ai non autosufficienti, etc.) sono a rischio di sottostimare in maniera significativa le future esigenza di spesa. Eppure sono questi gli scenari incorporati negli annuali Programmi di Stabilità dei Partner Ue. Di fronte all’incertezza dei trend, l’altra caratteristica chiave (dopo la selettività), su cui solo adesso si cominciano ad approfondire i confronti e a cui Mario Monti alludeva, è la combinazione di ripartizione e accumulazione reale nel finanziamento. Per alcuni Paesi, come l’Italia, questo cambiamento implica l’iniezione di quote di accumulazione reale da affiancare al pay-as-you-go pubblico. Per altri Paesi, come gli Stati Uniti, implicherebbe la trasformazione delpilastro di finanziamento privato, già esistente, da un modello incentrato su contratti assicurativi (il pooling assicurativo è un pay-as-you-go su scala minore) ad uno con uno spazio maggiore e sufficiente di accumulazione reale. Accumulazione reale significa investimenti ad hoc di lungo termine, gestiti in maniera tale da permettere, con i loro frutti, la copertura di esigenze di spesa sanitaria futura. Un ribilanciamento di pay-as-you-go e accumulazione reale, questo è lo snodo su cui ragionare. Per dettagli sulla ratio di questo ribilanciamento, e soprattutto sui collegamenti tra il ribilanciamento e la selettività nell’universalismo, si rimanda ai consigli di lettura in calce. Il discorso diverrebbe lungo e anche complesso. Qui in conclusione si desidera sottolineare alcuni distinguo, spesso ignorati nel dibattito e invece essenziali per giudicare con equilibrio e imparzialità le riforme del finanziamento: — Ricercare l’affidabilità delle proiezioni di spesa, guardando al dilà del driver dell’invecchiamento, non è, in sé, una posizione tesa a sminuire e ridimensionare il sistema sanitario pubblico. Anzi, il contrario. Far trovare, improvvisamente, il sistema sanitario pubblico non all’altezza dei compiti, questo sì che lo metterebbe a repentaglio; — La selettività dell’universalismo microfonda i flussi di redistribuzione delle risorse. Più capaci si è di capire da dove i flussi provengono (persone e anche Regioni) e a chi sono destinati (persone e Regioni), più alta è la qualità del sistema redistributivo e al sua capacità di essere adeguato ai bisogni; — Studiare soluzioni di ribilanciamento tra pay-as-you-go e accumulazione reale non ha, di per sé, nessun collegamento obbligato con la sostituzione dell’offerta pubblica (strutture del Ssn) con operatori privati (cliniche, ambulatori, specialisti sotto convenzione). Anzi, l’effetto potrebbe essere addirittura l’opposto: più risorse dedicabili alla sanità, sia per esigenze correnti che capitali,eviterebbero spostamenti sull’offerta privata causati dalle file d’attesa, o dall’incapacità a coprire adeguatamente alcuni Drg, o dalla ricerca di sistemazioni di vitto e alloggio più confortevoli. Diversificare il finanziamento non vuol dire dedicare le risorse del nuovo canale ad accumulazione reale ad operatori privati. Di sicuro gli operatori privati vedranno aumentare il loro ruolo, se il Ssn si troverà in difetto di risorse sufficienti per fronteggiare i fabbisogni; — Adottare un canale di finanziamento ad accumulazione reale non implica ridurre le potenzialità redistributive e coesive. Tutto dipende da come lo si disegna, da come lo si incentiva, da come lo si collega con la selettività dell’universalismo, da come lo si rapporta la pay-as-you-go pubblico di base. Più risorse canalizzabili, in maniera sostenibile, sulla stessa finalità, la salute, sono una opportunità, con esiti che dipendono dalle scelte si fanno. Che dipendono da noi. Sarà un tema ricorrente nei prossimianni. Prepariamoci a discuterlo nelle modalità più trasparenti e libere da “campanilismi” ideologici. Fabio Pammolli, Presidente e Direttore del CeRM-Nicola C. Salerno, Senior Economist del CeRM Demography, Sustainability, Growth Sulla base dei dati dei Programmi di Stabilità dei Partner Ue (release 2012), si mette in evidenza come il peso del finanziamento a ripartizione delle prestazioni pensionistiche e sanitarie (acute a ltc), oggi a livelli critici, sia destinato, senza riforme di struttura, ad aumentare al di sopra di soglie insostenibili per i sistemi economici. Bisogna intervenire per tempo, ribilanciando il finanziamento a ripartizione con iniezioni di quote di accumulazione reale. Su questo punto CeRM ha da tempo avanzato una proposta precisa e operativa: quella del Fondo Welfare, di cui si ripropongono in sintesi funzionamento e caratteristiche e positive. La scelta della lingua (Inglese) non giunge casuale: si tratta, infatti, di problemicomuni a tutti i Paesi a economia e welfare sviluppati. Come valida per tutti, e a tutti rivolta, la proposta del Fondo Welfare.(...) I trend della spesa sanitaria e le ragioni del finanziamento multipillar con componente ad accumulazione reale Nei prossimi decenni tutti i Paesi ad economia e welfare sviluppati dovranno fronteggiare spese sanitarie fortemente crescenti, con trend potenziali che nel lungo periodo, al 2050-2060, potrebbero raddoppiare o più che raddoppiare l’incidenza della componente pubblica sul Pil. Così emerge dalle più recenti proiezioni Ecofin, Ocse e Fmi.Non si tratta di casi scolastici di proiezione, dal momento che la dinamica storicamente osservata dal Dopoguerra ad oggi ci ha già posto di fronte ad aumenti di questa proporzione e anche più forti. Alla domanda «Dove va la spesa?», la risposta che appare più responsabile è «È questo l’ordine di grandezza del potenziale di crescita sul Pil», oltre che delle pressioni che potranno giungerealle finanze pubbliche e all’equilibrio socio-economico. E si deve anche considerare che la dinamica storicamente osservata ingloba gli effetti delle politiche di governo e stabilizzazione della spesa. Corrispondentemente, la dinamica potenziale, sottostante i profili di incidenza della spesa sul Pil dal 1960 ad oggi, è stata addirittura superiore. Se per la spesa effettiva si deve parlare di incidenza sul Pil raddoppiata e, in alcuni casi, aumentata di multipli sino a tre e oltre, per la spesa potenziale l’aumento sarebbe stato molto più intenso. Di fronte a tali prospettive, le conclusioni di questo scritto non voglio essere negative ed allarmiste. Al contrario, è necessario che il policy maker si attivi subito affinché gli strumenti a disposizione siano all’altezza di governare e bilanciare costantemente il trade-off tra sostenibilità finanziaria e adeguatezza delle prestazioni. Il solo finanziamento a ripartizione che contraddistingue la maggior parte dei sistemi sanitari nonpotrà reggere l’impatto; ma non potrà essere risolutivo neppure l’affiancamento di finanziamenti privati che si affidino a soluzioni di pura mutualità o di assicurazione. Criteri di finanziamento, in ambito pubblico o privato, che si affidino esclusivamente o prevalentemente al concorso, anno per anno, di tutti gli assicurati per finanziare il fabbisogno espresso nello stesso anno, inevitabilmente produrranno effetti distorsivi e depressivi. È impensabile, infatti, che la massa reddituale disponibile anno per anno possa sostenere il confronto con una spesa a finanziare che crescerà a ritmi così forti. E assieme agli effetti distorsivi/depressivi è certo che emergeranno fenomeni di razionamento e restringimento del perimetro delle prestazioni offerte (sia nel pubblico che nel privato), oppure rinunce dei diretti interessati a dotarsi di coperture sanitarie (nel privato). Tutti i Paesi, con sistemi a prevalenza pubblica o privata, e tra i pubblici sia quelli di tradizionebismarckiana che beveridgiana, dovranno affrontare ristrutturazioni profonde nei meccanismi di finanziamento del loro welfare. Un punto cardine dovrà essere la diversificazione multipilastro del finanziamento, per affiancare al criterio a ripartizione pubblico (pay-as-you-go), a quello privato di mutualità pura, e a quello assicurativo privato (pooling supportato da riserve matematiche), il criterio basato su investimenti reali di lungo termine sui mercati (l’accumulazione reale). Un punto che, nei meccanismi fondamentali, si presenta tel quel sia per la sanità che per le pensioni. Finché l’affiancamento del privato al pubblico avviene rimanendo nell’ambito della messa in comune di risorse prodotte anno per anno, per far fronte alle esigenze di coloro che esprimono, in quello stesso anno, richieste di prestazioni, la diversificazione multipillar non è in grado di produrre cambiamenti strutturali. Il fattore, in grado di fare la differenza sul piano strutturale, è l’inserimento disufficienti quote di accumulazione reale, tramite programmi di investimento reale di lungo termine. Laddove ripartizione, mutualità e pooling utilizzano redditi già prodotti (intervengono ex-post, per dedicare alla finalità sanitaria quote di risorse già prodotte), i programmi di investimento entrano nei processi di generazione delle risorse e le preparano per tempo. Tramite una idonea gestione di portafoglio, i risparmi andrebbero a selezionare le migliori opportunità di rendimento a livello internazionale, potendosi rivolgere anche ai Paesi più giovani, quelli dove le fasce di età attive saranno ancora per molto tempo più numerose di quelle anziane (una sorta di riequilibrio internazionale degli effetti dell’invecchiamento). Diminuirebbe la pressione sugli attivi, si guadagnerebbe base imponibile al Fisco nazionale e, nella misura in cui i risparmi trovassero valide opportunità di investimento all’interno, si darebbe impulso alla capitalizzazione dell’economia e allacrescita. Ovviamente l’accumulazione non è una panacea; le mancano alcune proprietà positive e salienti sia della ripartizione (è il canale più adatto alla coesione inter e inter generazionale e alle finalità redistributive) che della mutualità e della copertura assicurativa (contro grandi eventi avversi, l’accumulazione potrebbe non essere capiente o, se lo è, potrebbe venire in larga parte assorbita). Inoltre, un eccesso di accumulazione reale esporrebbe troppo al rischio di mercato e potrebbe essere esso stesso fonte di instabilità dei mercati (in concomitanza con i flussi di investimento e di disinvestimento). Dal «giusto dosaggio» delle modalità di finanziamento dipenderà anche la possibilità di dare copertura finanziaria agli altri istituti di welfare a carattere redistributivo (famiglia, figli/minori, conciliazione vita-lavoro, accesso/mantenimento casa di abitazione, contrasto povertà, etc.), che non possono prescindere dalla copertura pubblica e dal finanziamento aripartizione. Se la ripartizione sarà «monopolizzata» dalla sanità, in aggiunta al carico di finanziamento assorbito dalle pensioni, poco o nullo spazio rimarrà per dare copertura agli altri istituti di welfare e agli altri bisogni. Sostenibilità finanziaria e sostenibilità sociale sono intrinsecamente connesse e passano per il crocevia di un multipillar che, nel mix di finanziamento, abbia una sufficiente quota di accumulazione reale delle risorse. Il «giusto dosaggio» delle modalità di finanziamento sarà un aspetto cruciale delle politiche sanitarie e welfariste dei prossimi anni. ===== Il CeRM è da tempo impegnato sulle tematiche delle proiezioni della spesa sanitaria e del disegno dell’assetto regolatorio e del mix di strumenti di finanziamento più adatto ad affrontare quel trade-off, tra sostenibilità economica e adeguatezza delle terapie, che nei prossimi anni diverrà sempre più stretto. Questo Quaderno è fa parte di una serie di contributi, nel contempo diapprofondimento e di divulgazione, in cui rientrano anche: ::: Spesa sanitaria: quali ipotesi per quali proiezioni? Ecofin e Ocse a confronto ::: ::: Il pilastro complementare a capitalizzazione in sanità: Tredici buone ragioni per i fondi aperti per il welfare ::: ::: La sanità in Italia - Tra federalismo, regolazione dei mercati e sostenibilità delle finanze pubbliche ::: ::: L’integrazione pubblico-privato nel finanziamento della sanità e dell’assistenza alla persona ::: ::: La spesa sanitaria pubblica in Italia: dentro la scatola nera delle differenze regionali - Il modello SaniRegio ::: Il pilastro complementare a capitalizzazione in sanità: Tredici buone ragioni per i fondi aperti per il welfare La spesa sanitaria è, all’interno del welfare system, quella che pone i più urgenti problemi di sostenibilità finanziaria. Senza interventi di policy e riforme strutturali, la sua tendenza fisiologica all’aumento di incidenza sul PIL si tradurràinevitabilmente in restrizioni all’accesso e troncamenti della domanda di prestazioni. Al tema è dedicato il capitolo 2. del Rapporto CERM “La sanità in Italia” (di prossima pubblicazione nei tipi della collana AREL - Il Mulino), che presenta e confronta proiezioni di medio-lungo termine della spesa. Sullo stesso tema ritorna la Nota CERM “Sostenibilità e adeguatezza del modello di welfare”. Entrambi questi lavori sono allegati in calce al presente documento, costituendo parti di un unico progetto. Questa Nota sui fondi aperti di welfare parte dall’esigenza di rinnovare l’assetto di finanziamento della sanità, che non può rimanere integralmente a carico dei redditi da lavoro delle persone attive (la ripartizione o pay as you go), se si vogliono evitare effetti depressivi sull’occupazione, gli investimenti, la produttività, che, oltre che bloccare lo sviluppo economico, si ripercuoterebbero sulla stessa sanità con risorse disponibili sempre più scarse rispetto alle esigenze. È indubbioche l’assetto di finanziamento debba muovere verso il multipillar, affiancando al pay as you go un canale privato a capitalizzazione reale, in grado di valorizzare i risparmi, sostenere gli investimenti produttivi e generare risorse da dedicare alla finalità sanità. Meno chiari e ancora al centro di dibattito sono la strutturazione e il funzionamento concreto del pilastro di finanziamento privato. Questa Nota desidera avanzare una proposta operativa: il fondo aperto a capitalizzazione per il welfare, offrente prestazioni sia pensionistiche che sanitarie, operante attraverso l’accumulazione finanziaria dei contributi su conti individuali degli aderenti, e collegato con coperture assicurative collettive per i rischi sanitari maggiori e la non autosufficienza. Sono numerose la caratteristiche positive che questo strumento potrebbe esprimere, sia rispetto al monopillar pubblico, sia rispetto ad un multipillar in cui la componente privata si sostanziasse esclusivamente o principalmente dicoperture di natura assicurativa in senso stretto. Si elencano queste caratteristiche e si sollecita un dibattito aperto e concludente. La sanità e la barriera della produttività Ci è stata richiesta una riflessione sul futuro dell’effetto "Baumol" in sanità. Questo effetto consiste nel fatto che, se i guadagni di produttività nello svolgimento di una attività sono lenti mentre le remunerazioni di coloro che la svolgono seguono la dinamica reale media della massa retributiva nel sistema economico, il costo unitario di quella stessa attività cresce nel tempo. Sinora, l’effetto "Baumol" ha coinvolto numerose prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, in primo luogo quelle di assitenza continuata alla persona inabile/disabile. Quale rilievo avrà in futuro questo effetto? Il tema è di particolare rilevanza, dal momento che l’effetto "Baumol" ha implicazioni di prim’ordine sugli andamenti della spesa sanitaria e sulle proiezioni di medio e lungo-termine. Si sa ancoratroppo poco, e forse non se ne saprà mai a sufficienza, per dire, senza tema di smentita, che cosa accadrà ai sistemi sanitari da qui a 20, 30, 50 anni. Certo è che le evidenze che oggi possediamo e l’analisi economica sull’interazione dei vari fattori ci segnalano la chiara tendenza all’aumento dell’incidenza della spesa sui PIL dei Paesi avanzati, se non interverranno profonde riforme strutturali. All’interno di questa tendenza alla crescita, riteniamo che un’influenza di prim’ordine continuerà ad arrivare dall’effetto “Baumol”, che allo stato attuale delle conoscenze (scientifiche, tecnologiche, economiche, organizzative), non solo non è possibile dichiarare superato, ma che anzi potrebbe in futuro presentarsi con maggiore incisività. Se ne offrono sintetiche argomentazioni nell’Editoriale.(...) La riforma del Welfare, il Paygo, i nuovi Ammortizzatori del Mercato del Lavoro n attesa che sia ufficializzato il Programma di Stabilità dell’Italia 2012 (all’internodel Documento di Economia e Finanza), sui dati del PdS 2011 (integrati con gli effetti della riforma pensioni "Fornero") si calcola il peso su attivi/occupati del Paygo necessario a finanziare prestazioni sanitarie acute, prestazioni di tipo long-term care (Ltc) e pensioni. La pressione su attivi/occupati è alta ed è destinata a rimanere tale anche nel medio-lungo periodo. Senza interventi sulla struttura del welfare system, non si intravedono spazi per uno stabile finanziamento di nuovi moderni ammortizzatori del mercato del lavoro che, per loro natura e finalità, non possono prescindere dalle risorse ottenibili via Paygo. I dati elaborati a partire dal Programma di Stabilità mostrano come, per dedicare al mercato del lavoro risorse ‘fresche’ e strutturali raccolte tramite la ripartizione, non si possa fare a meno di liberare porzioni di finanziamento a ripartizione oggi assorbite dal sistema pensionistico e dal sistema sanitario (prestazioni acute e diLtc). Da questo vincolo di risorse movimentabili tramite la ripartizione deriva la necessità che l’ammodernamento degli ammortizzatori del mercato del lavoro sia concepito il più possibile come un tassello di una riforma sistemica e organica di tutto il welfare, e legato alla trasformazione multipilastro di pensioni e sanità e, con riferimento a quest’ultima, anche alla realizzazione di un universalismo di tipo selettivo. Tale visione di insieme è sempre mancata in Italia, e questa assenza si deve purtroppo registrare anche oggi. L’intervento sulle pensioni del Governo “Monti” non ha compiuto progressi sul fronte della riduzione dell’aliquota di contribuzione obbligatoria , ha eluso ogni riferimento alla trasformazione multipilastro, e non ha avuto collegamenti espliciti e funzionali con l’ammodernamento degli ammortizzatori del mercato del lavoro. Medesima valutazione per quanto riguarda la sanità, lì dove non si sono compiute né scelte verso la selettività dell’universalismo ,né concreti progressi verso la trasformazione multipilastro . Tutti tasselli che si influenzano a vicenda, che si reggerebbero positivamente l’un l’altro in prospettiva riformista, e che restano davanti, da affrontare. Se da un lato l’urgenza della crisi non ha favorito la messa a punto di un intervento ad ampio respiro, dall’altro lato l’investitura di un Governo tecnico si giustifica proprio per la capacità di intervenire in tempi stretti sulla base di conoscenze già accumulate sui problemi e sull’agenda più adatta a risolverli. Suggerire una linea di policy che recuperi la visione di insieme adesso, mentre il disegno di legge sul mercato del lavoro è in discussione parlamentare e la manovra sulle pensioni già fatta, è difficile. Fatto sta che si deve prendere consapevolezza che la riorganizzazione strutturale del nostro welfare system, e la connessa riqualificazione della spesa per welfare, non possono dirsi compiute né dall’ultimo intervento sulle pensioni, né dalleinnovazioni, pur di rilievo, contenute nel disegno di legge sul mercato del lavoro. Il percorso è ancora lungo e i mesi che ci separano dalla scadenza delle legislatura andrebbero messi a frutto per predisporre un disegno di legge di riforma complessiva del welfare, dettagliato per quanto riguarda la fase di transizione, e da lasciare come preziosa eredità al prossimo Governo, qualunque esso sia.
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