Nel Bel Paese dell’endorsement
 











Come si fa ad esprimere approvazione, apprezzamento, e perciò appoggio e sostegno, verso un distaccato e compassato professore quale si mostra Mario Monti, senza apparire poco eleganti e provinciali? Serviva ben altro termine che fosse commisurato alla positura anglosassone del personaggio, al suo sus-siegoso atteggiamento, alla sua sobria, anzi algida natura.                                                Ecco quindi che con la stessa celerità con cui, per esempio, dalla sera alla mattina, e con strepitoso successo, non molto tempo fa, in ambito pubblicita-rio fu imposto (chissà da chi, chissà perché?) il musicalissimo show-room al posto della cacofonica "esposizione" nostrana, in maniera analoga ilprovvido e benemerito sistema mediatico italiano si è lanciato nell’endorsement, senza alcuna preliminare spiegazione all’indirizzo delle sue bovine folle di teleuten-ti, e a solo beneficio dei suoi vanitosi salotti televisivi, degli affollati talk-show, degli illuminati redattori e colti lettori della stampa autorevole. Nel giro di non più di un mese, infatti, nel Paese dei poeti, dei navigatori e dei santi, l’endorsement è dilagato, andando a conquistare elettrizzati conduttori, commentatori, analisti, cronisti e direttori, esplicando la sua potenza lessicale nell’ambito del già fantasmagorico mondo della politica.                                         Endorsement, quello di Monti all’indirizzo dei nascenti "movimenti della so-cietà civile" e delle forze politiche centriste, quindiesplicito e pressante en-dorsement di questi all’indirizzo di Monti, mentre l’ "homo televisivus com-munis", non poco perplesso, si interrogava, senza confessare al vicino la sua ignoranza, sul senso di quella nuova ed ermetica parola chiamata a rappre-sentare gli ancor più ermetici giochi che stava escogitando il geniale premier economista del "governo tecnico"; finchè la forzata full immersion (è proprio il caso di dirlo) nell’apprendimento della teoria e della pratica del nuovo ma-gico termine sortiva finalmente i suoi effetti, facendo comprendere a chiun-que che quello era il nome di un grazioso ed ammiccante minuetto tra consu-mati politicanti ed il professore non politico coi suoi sostenitori (anzi, suppor-ters), al fine di presentare nel modo meno indecente possibile la sua "salita" in campo. In effetti, accadeva che proprio mentre si "endorsava" a tutto spia-no (eh, sì, perché, con una geniale trovata, dall’endorsement qualcuno è riu-scito anche a ricavare una forma verbaleitaliana!) sia a destra che a sinistra, il nomato e persino sedicente salvatore dello spread decideva di continuare la sua provvidenziale opera in veste di politico, non più super partes ma inter partes. D’altronde, chi con convinto impegno mostra di sentire la mission e di avere la vocation di salvatore del Paese, è pure normale che si scelga una de-gna location da cui operare.                                                         Dopo di che, è sacrosanto che sia giunto il più autorevole ed ispirato endor-sement, quello maturato per influenza celeste sotto ilCupolone!                                         Ci si lamenta che l’Italia sia ormai da tempo "commissariata". Come evitarlo, se si ha paura persino di usare la propria lingua? Alberto Figliuzzi









   
 



 
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