Morti sul lavoro
 











L’ultima vittima è del 21 gennaio. Nel cantiere alle porte di Varese dell’autostrada Pedemontana è morto un operaio di 53 anni, schiacciato da un masso all’interno di una galleria. E’ la ventiseisima persona dall’inzio dell’anno. Le cronache locali del Paese sono punteggiate di croci bianche: nei campi, nelle fabbriche, nei cantieri si muore senza sosta. Nel 2012 sono stati 509. Come se in dodici mesi una grande azienda avesse perso tutti i propri dipendenti. E’ il triste bilancio tracciato dell’Osservatorio sicurezza sul lavoro di Vega Engineering, con un monitoraggio nazionale sull’emergenza delle mortibianche.                                                                                         Ma mentre i numeri dell’Inail raccontano di un calo costante dei decessi (nel 2011 sono stati stimati in 920) e degli infortuni sul lavoro, c’è una discrepanza tra i dati ufficiali e le morti non registrate. Sono oltre 1100 per il 2012 se si aggiungono gli operai, i braccianti, i muratori deceduti dopo incidenti e sulle strade. Perché i numeri delle stime ufficiali sono spesso sottostimati rispetto alle "vittime del lavoro" che non entrano in nessunastatistica: soprattutto chi si spezza la schiena in nero. Una tragedia di vite umane quotidiana che non segue i confini geografici ma le regole economiche della produzione.                                                                           Tant’è che le regioni con il maggior numero di vittime sono la locomotiva Lombardia (69 morti nel 2012), la ricca Emilia Romagna (61), la vivace Toscana e poi l’ex miracolo del Nord Est con il Veneto (42) e la Sicilia delle imprese agricole (40). Le regioni invece in cui il fattore di rischio - basato sull’incidenza delle morti sul numero degli occupati – è più elevato sonol’Abruzzo (55,2 contro la media nazionale di 22,2), il Trentino Alto Adige (40,3), la Valle D’Aosta (35,2) e la Calabria (32,9).                  Al Nord come al Sud si sottovalutano i rischi e le norme di sicurezza che potrebbero salvare centinaia di lavoratori e far risparmiare alle casse dell’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) milioni di euro. Non c’è da stare allegri neanche per i dati delle singole province: il maggior numero di morti bianche sono quelli registrati a Modena e Brescia (19), ma sono seguite a stretto giro da Torino (15), da Roma (14), da Salerno e Bergamo (13) e da Bolzano e Verona (11). C’è tutta l’Italia nella narrazione di un dramma che non conosce confini e che non entra in nessun programmaelettorale.                            Rimangono gli appelli del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «In materia di sicurezza sui luoghi di lavoro c’è molto da fare, anche dal punto di vista del sistema dei controlli e delle sanzioni», aveva ribadito per l’ennesima volta lo scorso giugno. Niente da fare, l’Italia rimane maglia nera in Europa. Nonostante il decremento delle vittime nel 2012 rispetto all’anno precedente (meno otto per cento), i numeri della strage silenziosa rimangono sconvolgenti: mentre state leggendo questo articolo probabilmente un contadino si è infortunato o un muratore è caduto daun’impalcatura.                                                                                               Sembra un romanzo ma è il Paese (reale) del lavoro. Perché i settori a maggior rischio sono l’agricoltura (in cui si conta il 35,2 per cento del totale di decessi) e l’edilizia (23,6 per cento). Ecco allora che una caduta dall’alto e il ribaltamento di un veicolo in movimento sono le cause più frequenti di mortalità, rispettivamente nel 24,6 per cento e nel 19,1 per cento dei casi totali. Anche gli stranieri paganoil prezzo della mancanza di regole: sono 57, con l’11,2 per cento del totale, la metà è stato registrato nel Centro del Paese, con un picco di lavoratori romeni che non sono più tornati a casa. E le quote rosa? Le donne che hanno perso la vita al lavoro sono fortunatamente solo nove, mentre la fascia d’età più colpita è quella che va dai 45 ai 54 anni (135 vittime da gennaio a dicembre) e degli ultrasessantacinquenni (108). Rispetto alla popolazione attiva sono proprio gli "over 65" a pagare il prezzo più alto. Mentre migliaia di ragazzi aspettano di entrare nel mondo del lavoro. Michele Sasso-l’espresso

 









   
 



 
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