Il 2008 è australiano Al via l’era laburista
 







di Massimiliano Civili




A «Aussieland» il panorama è quello pacifico e soleggiato di sempre in questo periodo estivo e festivo: spiagge affollate, animate da goliardici surfisti mascherati da babbo natale, famiglie riunite nel backyard a cuocere salsicce e cipolla sul barbecue, pub aperti fin dalle prime ore del mattino per consentire agli avventori - anestetizzati dall’alcol - di seguire l’interminabile partita di cricket della nazionale australiana. Partita che è iniziata il giorno di Santo Stefano (il Boxing Day Cricket Test) e proseguita per i cinque giorni successivi. Distratti e un po’ brilli durante queste feste probabilmente pochi aussies si sono accorti che qualcosa - a un mese dalle elezioni vinte dai laburisti - sta cambiando nella chimica sociale e politica del paese. Quattro settimane di governo sono bastate al neo primo ministro labor Kevin Rudd per far intendere che il paese ha inequivocabilmente cambiato rotta. Sono almeno tre i segnali forti dati dal nuovoesecutivo in politica estera e interna.
È cambiato il clima
Anche se la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi nei giorni scorsi in Indonesia, non ha dato le risposte che molti si aspettavano, è arrivato dall’Australia un segnale importante in vista delle future battaglie che il pianeta dovrà affrontare per la sua auto-conservazione: il governo australiano ha infatti finalmente sottoscritto il protocollo di Kyoto. Secondo diversi analisti politici la promessa di Rudd di siglare Kyoto è stata uno degli elementi che ha convinto gli elettori australiani a votare laburista alle consultazioni dello scorso novembre. L’ex primo ministro, l’ultra-conservatore John Howard, per non deludere i vertici della Casa Bianca e le multinazionali che vendono energia altamente inquinante, non se l’era sentita di abbracciare la causa ambientalista. Ma questa scelta gli è costata cara.
Rudd non ha comunque convinto i Verdi: la senatrice dei Greens Christine Milne lo haaccusato di aver contribuito, insieme a Stati uniti, Canada e Giappone, al fallimento dei negoziati di Bali nel corso dei quali non è stato raggiunto l’ accordo che avrebbe dovuto fissare obiettivi concreti e vincolanti per la riduzione dei gas serra. A Rudd l’adozione di una roadmap che apre a un nuovo accordo per sostituire in maniera più ambiziosa il protocollo di Kyoto è sembrata sufficiente. Non è escluso che il primo ministro abbia preferito non esporsi troppo e scelto di rimanere in attesa almeno fino al prossimo anno. L’ipotizzabile cambio di amministrazione degli Stati Uniti potrebbe essere foriero di un ulteriore passo per rendere credibili impegni ancora evanescenti.
A conferma dell’impegno di Rudd per la tutela dell’ambiente è arrivata poi la decisione di monitorare le attività delle baleniere giapponesi nelle acque del mare Antartico. L’Australia si è detta pronta a inviare una propria nave, ed eventualmente aerei militari, per fotografare i «predatori» di balenegiapponesi all’opera nell’Oceano del Sud, zona dichiarata off-limits dalla Commissione internazionale per la caccia ai cetacei. I nipponici avevano intenzione di uccidere più di mille balene, tra cui cinquanta megattere (specie in via di estinzione), in quella che in molti hanno definito la più estesa caccia «per scopi scientifici» di tutti i tempi. La scelta di Canberra di schierarsi al fianco dei movimenti ecologisti ha quasi creato una crisi diplomatica con Tokyo che alla fine, sotto pressione, ha rinunciato alla caccia delle rarissime megattere. Ma non a cacciare le altre balene.
Finalmente le scuse agli aborigeni
Il governo Rudd si è incontrato più volte con i leader aborigeni nell’ambito del processo di formulazione delle scuse formali che il primo ministro - in nome del popolo australiano - si è impegnato a porgere alle vittime della stolen generation. Con questa definizione inglese si fa riferimento alle vittime della White Australia Policy , una pratica in vigore fino apoco meno di quaranta anni fa, quando agenti inviati dal governo prelevavano bambini indigeni dal proprio clan per affidarli a famiglie bianche che avrebbero dovuto «insegnare loro l’educazione». Le precedenti amministrazioni si sono sempre rifiutate di pronunciare il fatidico «sorry». Il ministro per gli affari indigeni Jenny Macklin ha confermato che non solo verranno fatte le scuse ma che il governo è pronto a stanziare dei fondi per risarcire le vittime della «generazione rubata». Secondo diversi esponenti di associazioni a difesa dei diritti degli aborigeni il provvedimento che deciderà l’entità degli indennizzi dovrà essere ben ponderato perché al momento non è ancora chiaro chi saranno i destinatari (solo le vittime o anche i loro discendenti?).
Spinosa come non mai, la questione aborigena vive forse la sua fase più delicata in questo periodo. Due vicende su tutte hanno lasciato interdetta l’opinione pubblica, che non si è mai emotivamente lasciata troppo coinvolgere daiproblemi dei nativi. La prima scaturisce dalle conclusioni di un’inchiesta condotta dalla precedente amministrazione liberale, secondo cui gli aborigeni del Territorio del Nord fanno un esagerato uso di alcol, materiale pornografico e - soprattutto - abusano sessualmente dei minori. Da qualche mese in quella regione vige una sorta di police state, dopo l’invio, ordinato dall’esecutivo di Howard, di centinaia di agenti di polizia.
La seconda risale a qualche giorno fa e riguarda la decisione di una giudice dello stato settentrionale del Queensland di lasciare a piede libero nove indigeni dopo che, in gruppo, avevano abusato sessualmente di una bambina di dieci anni «consenziente» (secondo la giudice). Questa sentenza ripropone nello stato del Queensland anche il problema delle abitudini sociali (alcolismo e tossicodipendenze) che un numero crescente di nativi ha assunto nel corso del processo di assimilazione. Le contraddizioni esplodono quando la società «civile», chiamata agiudicare eventi che scaturiscono da quelle preoccupanti abitudini, utilizza per imputati «diversi» parametri diversi (come se gli aborigeni appartenessero a un altro pianeta).
Rudd ha annunciato che intende destinare 50 milioni di dollari a programmi di riabilitazione dalle dipendenze da alcol e droghe per le comunità indigene sparse in tutto il paese. La premier del Queensland Anna Bligh si è detta disposta a inasprire la regolamentazione sul consumo di alcolici per gli indigeni.
Le attuali restrizioni, facilmente aggirabili, potrebbero a breve termine diventare divieti assoluti. «Non ci siamo» hanno subito commentato alcuni leader aborigeni: misure come quelle di Rudd e della Bligh «sono già state adottate in passato, con scarsi risultati. Sono misure superate».
Contro il «Workchoices»
Kevin Rudd ha iniziato a smantellare Workchoices, la riforma delle relazioni industriali voluta dal precedente esecutivo. Più della questione ambientale, Workchoices ha avuto un notevoleimpatto sul confronto elettorale e continuerà a essere al centro del dibattito politico nei prossimi mesi. La riforma dei conservatori è una autentica legge antisindacale: le forme di lotta sindacale sono infatti quasi vietate e per poter intraprendere uno sciopero è obbligatorio indire una votazione a scrutinio segreto fra i lavoratori che deve essere dapprima richiesta all’Airc (la commissione australiana delle relazioni industriali), ente che ha il potere di emettere provvedimenti «atti a prevenire o fare cessare forme non protette di lotta sindacale». Workchoices, ribattezzata «Worstchoices« (le scelte peggiori) ha inoltre introdotto i terribili Awas (Australian Workplace Agreements), i contratti di lavoro individuali che impongono al lavoratore di rinunciare alla contrattazione collettiva (e a tutti i diritti annessi) e che consentono al datore di lavoro di licenziare senza giusta causa, se l’azienda impiega meno di cento dipendenti. Quasi la metà degli Awas decurta i compensi peril lavoro straordinario, festivo o su turni, riduce i periodi di riposo e fissa orari di lavoro più lunghi abbassandone le retribuzioni.
Il governo - stando a quanto affermato da Rudd - intende approvare al più presto una legge che impedisca di estendere i contratti di lavoro individuali alle grandi aziende e che reintegri le clausole sul licenziamento senza giusta causa. Ma intende davvero farlo subito? Sembra di no. Non solo per una questione numerica: al senato infatti l’amministrazione uscente di Howard è ancora in maggioranza e continuerà a esserlo almeno fino al luglio del 2008, quando avrà luogo l’avvicendamento tra gli sconfitti e i vincitori delle elezioni politiche. Il ministro delle Relazioni industriali (e vice primo ministro) Julia Gillard ha detto che la controriforma laburista del contratto di lavoro non potrà essere introdotta prima del 2010, offrendo il fianco alle critiche veementi dei sindacati: così, infatti, tanti datori di lavoro saranno liberi di licenziaresenza giusta causa per altri due anni. I sindacati auspicavano che il governo avrebbe optato per un’implementazione progressiva della nuova legge sulle relazioni industriali. La tattica attendistica dei laburisti potrebbe dipendere dagli accordi pre-elettorali con i gruppi industriali e le associazioni delle imprese. Infatti le grandi compagnie stanno cercando di far iscrivere agli Awas quanti più lavoratori possibile prima che la legge venga cambiata.
Il più importante gruppo di telecomunicazioni australiano, Telstra, sta spingendo migliaia di propri dipendenti - già tutelati dai contratti collettivi di lavoro - a firmare nuovi accordi che non garantiscono incrementi salariali. Altri due anni di Workchoices potrebbero risultare letali per decine di migliaia di lavoratori.de Il Manifesto









   
 



 
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