Fra i valori posti in queste ultime settimane come baluardi per la disastrata situazione italiana, a difesa della trasparenza amministrativa e politica, c’è quello della “terzietà”. Un principio più volte ribadito nelle sedi istituzionali nonché scandito copiosamente dalla stampa e dagli altri media nazionali e internazionali. Insieme a quello del rigore, della sobrietà e della credibilità, è stato uno dei dogmi del governo tecnico ormai giunto alla sua fase finale. Una terzietà che è piovuta proprio dall’alto, da quel colle, il Quirinale, così “elevato” (50 metri dal livello del mare) da cui promana tutto l’equilibrio del Paese, essendo la sede e la simbologia dell’uomo super partes per eccellenza: il presidente della Repubblica. Tale presidente pro tempore, Napolitano Giorgio, si è reso conto (caldeggiato dagli Usa, dalle banche e dalla Merkel) di come la crisi italiana fosse al baratro e l’8 novembre 2011 ha invitato, decisamente, Berlusconi afarsi da parte. Il giorno dopo ha conferito la nomina di senatore a vita a Monti e 3 giorni più in là, ha concesso allo stesso la presidenza del Consiglio. Le affermazioni di Monti riguardo l’assicurazione della sua terzietà sono molteplici, tante risalgono alla prima fase del suo esecutivo. Una dichiarazione recentissima, del 28 dicembre scorso, quando ormai le carte erano scoperte, ribadiva ancora la sua posizione equidistante e disinteressata con le seguenti parole. “Su questo punto esistono precedenti di governi politici o tecnici, il cui presidente del Consiglio ha molto attivamente e schieratamente partecipato alle elezioni. La mia terzietà nell’esercizio dei poteri limitati che competono al governo in questa fase, posso assicurare che non verrà minimamente messa in gioco. Credo di aver dimostrato nell’esercizio delle competenze in questi mesi di essere al di fuori delle influenze di parte. Ho persino detto ai miei colleghi in un Consiglio dei ministri, pur avendo presoatto del venir meno del sostegno di una delle tre forze che ci sostenevano, continuiamo nell’esercizio dei nostri compiti a essere il governo di quella maggioranza”. Durante i primi mesi del suo incarico, ha sempre negato un proprio coinvolgimento politico, rimarcando, più volte, quanto l’impegno fosse limitato nel tempo, di carattere puramente tecnico ed equidistante da posizioni ideologiche. Le domande, su un eventuale assenso a proseguire nella successiva legislatura, si facevano più insistenti con l’approssimarsi della conclusione naturale della legislatura; poi il “banco” fatto saltare dal Pdl ha accelerato gli eventi e le dichiarazioni hanno mostrato, sempre più, una disponibilità latente, sino alla conferma dell’impegno attivo e militante in piena regola, in contraddizione con quanto giurato nei mesi precedenti. Nella conferenza della fine d’anno del 2012, Monti ha dichiarato “Non mi schiero con nessuno, vorrei che partiti e forze sociali si schierassero sulle idee e speroche anche la nostra agenda possa contribuire a dare più concretezza ai dibattiti e mi auguro che le idee nell’agenda possano essere condivise da una maggioranza in Parlamento”. Ha aggiunto “Non ho simpatia per i partiti personali. Mi interessa di più se l’agenda Monti serva a far chiarezza o ad unire gli sforzi”. Parole dell’altro ieri. Ora il Professore è presente, con delle liste ben precise. Il nome? “Con Monti per l’Italia” al Senato, “Scelta civica/Con Monti per l’Italia” alla Camera. Non c’è dubbio: deve essere repentinamente terminata l’antipatia per i partiti personali. Sulla posizione personale, Monti ha voluto precisare in punta di lama, con tutto la sofistica possibile; una delle sue ultime affermazioni è stata la seguente “Io non sono super partes ma extra partes, io presento un’agenda erga omnes”. A suon di latinismi, il Professore ha bisogno di affermare, con ridondanza, la propria estraneità. Un distacco del tutto smentito dalla propria corsa politica, decisa esevera contro gli avversari, anche a suon di battute ed epiteti (ne sanno qualcosa Berlusconi, Bersani e Brunetta). Una salita in politica agevolata anche dalle parole, non più “terze”, di Napolitano, con un esempio lampante già nel discorso solenne, a reti unificate, di fine anno. Pochi giorni prima, però, Napolitano ha dissipato i timori del Pdl su una campagna elettorale di Monti condotta in posizione privilegiata, da presidente del Consiglio pur dimissionario ma ancora in sella. Sciolte le camere, l’inquilino del Quirinale, si è prodigato a riferire all’interessato circa i dubbi del centrodestra. Il particolare curioso è di come le richieste, affinché Monti mantenga una parvenza di terzietà in questa ultima fase in cui è “salito” in politica, siano provenute da molti schieramenti, non solo da quel Pdl e da Berlusconi che con lui avevano il dente avvelenato. La richiesta di equidistanza è stata formulata anche da Bersani, segno che i rapporti tra i due nuovi protagonisti dellaprossima legislatura mostrano tutti i limiti. Bersani non ha nascosto le sue forti perplessità di imparzialità anche in quei giorni in cui si è parlato di una possibile candidatura di Monti al Quirinale. Lo stesso scetticismo lo ha palesato anche Oscar Giannino leader di Fare per fermare il declino (Fid). Su posizioni identiche, si trovano la Lega e l’Idv. La terzietà, come valore assoluto e costituzionalmente rilevante, è stata messa a dura prova anche dai magistrati che, pur rinunciando in termini corretti e puntuali alla carriera professionale, hanno abbracciato la vocazione politica. Estranei, equanimi e imparziali fino a un determinato giorno, poi, da quello successivo, immersi nell’agone politico con scelte precise di campo e conseguenti amicizie e inimicizie. Gli apripista in tal senso sono stati Di Pietro e De Magistris, gli ultimi sono Ingroia, Grasso e Dambruoso. Una situazione che ha spinto i più maliziosi ad argomentare addirittura di un “partito dei magistrati”.“Un’anomalia”, secondo le parole recentissime di Mario Torti, presidente della Corte di appello di Genova. Il sospetto è che il termine “terzi”, nel governo di Monti sia servito soltanto (quasi) a definire il ministro degli Affari Esteri, il cui nome è, per l’appunto, Giuliomaria Terzi di Sant’Agata. Un dubbio può sorgere spontaneo: la terzietà di cui si vanta Monti e a cui aspira, che rivendica ostentando perché stuzzicato, forse non ha il significato che tutti intendono, quello proprio. Forse Monti lo intende in una sua accezione molto particolare: essere “terzi” in quanto terzo polo. Ecco spiegato l’equivoco: il vocabolo non è più considerato come sinonimo di imparzialità ma rivendicazione della propria coalizione, del proprio terzo polo. Con una buona dose di sarcasmo, questa sarebbe l’unica spiegazione possibile del significato di un termine che, da mesi, Napolitano e Monti ci ricordano di continuo. Il Professore vuole essere “terzo” a tutti i costi; per sua sfortunapotrebbe non esserlo: con il suo “polo” (stimato a un 15% circa, in discesa), potrebbe arrivare quarto, dopo quello di centrosinistra, quello di centrodestra e dietro Grillo (al 13% ma in ripresa). Insomma, in tutte le accezioni politiche possibili, sembra difficile identificare la “salita montiana”. Per paradosso, a essere davvero “terzo” ed estraneo a questa situazione di scempio politico, economico e sociale è, in realtà, il popolo italiano, ancora sottoposto a misure inique e pesanti, senza aver peso rilevante e decisionale. Quanto può ancora durare? Marco Managò
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