L’Iowa incorona Barack Obama
 







di Matteo Bosco Bortolaso




Lobama Barack

È un vento freddo e glaciale, quello dell’Iowa, ma soffia verso il cambiamento degli Stati uniti. Change è stata una delle parole più pronunciate nella gelida notte delle primarie dello stato granaio, il primo ad indicare la via che gli Usa percorreranno da qui a novembre, quando si deciderà il nuovo inquilino della Casa Bianca. Barack Obama, il 46enne senatore nero dell’Illinois, si è imposto da mesi come «il candidato del cambiamento», contrapponendosi a una Hillary Clinton che sottolineava invece la propria esperienza e le poche sorprese che una sua candidatura avrebbe riservato. Le sorprese, però, sono arrivate: Obama, forte del 37,6% dei voti, ha stravinto sulla Clinton (29,5%), che si è piazzata addirittura dietro John Edwards (29,8%), terzo incomodo del campo democratico. Anche tra le fila repubblicane - dove la situazione è comunque molto fluida - si è affermato un volto nuovo, quello del cristiano evangelico Michael Huckabee. Lo ha aiutato il sostegno deifedeli dell’Iowa, del walker texas ranger Chuck Norris e del basso suonato quando era ospite dal comico Jay Leno: il predicatore venuto dal nulla ha sbaragliato Mitt Romney, il mormone milionario, con il 34,3% dei voti contro il 25,3%. «Un giovedì notte, in Iowa, il fervente cristiano è passato dalla condizione di rimandato a settembre a quella di assassino di giganti», sentenzia il New York Times.
Pure David-Obama ha battuto Hillary-Golia, ma la sua era una battaglia iniziata tempo fa, quando l’ex first lady di ferro sembrava imbattibile. Il senatore nero ha stravinto grazie ai volontari che lo hanno sostenuto: molti più rispetto al previsto e molti giovani. A Urbandale, quartiere benestante della capitale Des Moines, quattro anni fa in un caucus democratico c’erano solo 150 persone. Giovedì sera i partecipanti erano saliti a 325. E le persone in più non hanno votato per Hillary, che aveva arruolato cinquemila autisti per trasportare i suoi sostenitori, composti soprattutto dadonne anziane ben poco propense a spostarsi nel gelo dello stato granaio per poi rimanere ore in un’atmosfera simile ad un’assemblea di istituto di una scuola pubblica italiana. Nel celebrare la vittoria, Obama è salito su un podio dove campeggiava la scritta change, annunciando che chi ha votato per lui «sta scegliendo la strada della speranza» e «che il cambiamento sta arrivanto negli Usa». Il senatore nero ha promesso che garantirà assistenza sanitaria a tutti, farà lavorare fianco a fianco democratici e repubblicani, metterà fine alla guerra in Iraq e considererà l’11 settembre «come una sfida, non come una scusa per minacciare la gente». Nel suo quartier generale a Des Moines, Obama ha sfoderato la retorica abituale e certe volte addirittura un’aria presidenziale, ma pur sempre sognatrice: «Le persone che amano questo paese, lo possono cambiare».
Lui stesso si è proclamato protagonista dalla parabola a stelle e strisce: nonostante little sleep and little pay (tanto lavoro, pocosonno e paga misera), il giovane Obama si realizzò nelle strade di Chicago «organizzando e lavorando» proprio come i suoi sostenitori. E alla fine «arrivano notti come questa». Mentre la folla in delirio gridava «O-ba-ma!, O-ba-ma!», il vincitore ha ricordato le sue radici multietniche (madre bianca del Kansas, padre nero del Kenya, patrigno dell’Indonesia) scandendo, scatenando un boato della folla, che la sua è «una storia che può accadere soltanto negli Stati uniti d’America».
La Clinton ha accettato la sconfitta in un discorso affiancato da madre, figlia, marito, il generale Wesley Clark, comandante durante la guerra in Kosovo, madame diplomatie Madeleine Albright e l’ex presidente del partito democratico Terry McAuliffe. Nomi familiari all’establishment della capitale Usa, lontani dall’idea del cambiamento. Non a caso sul podio dal quale parlava l’ex first lady c’era scritto ready for change, ma anche ready to lead (pronti per il cambiamento, pronti a governare). Capendo cheera la prima parte del messaggio ad attecchire, la Clinton ha sottolineato che ha «intenzione di cogliere il cambiamento e sarà il cambiamento a indicare un presidente democratico nel 2009». Facendo i nomi degli altri candidati del suo partito, la senatrice di ferro ha detto che «assieme abbiamo presentato la tesi per il cambiamento e abbiamo reso assolutamente chiaro che l’America ha bisogno di un nuovo inizio».
L’altro vincitore del gelido stato granaio, Michael Huckabee, ha festeggiato davanti ad un enorme striscione con proclamava I like Mike, una frase che ricorda I like Ike, il movimento che sosteneva Dwight Eisenhower a metà del Novecento. Il pastore ha esortato a vincere ancora «non con l’odio del nemico, ma con l’amore di chi ti sostiene».
Ora, tanto per Obama quanto per Huckabee la strada è in salita. In campo repubblicano, ad esempio, Romney e McCain affilano le armi in New Hampshire mentre la vecchia volpe Giuliani ha preferito puntare su stati come Florida e SouthCarolina. «Qualcosa di differente vincerà queste elezioni - ha spiegato l’ex sindaco-sceriffo - e noi speriamo che questo qualcosa sia la nostra strategia». Gli «altri», ha spiegato Giuliani, «non mi preoccupano». «L’11 settembre - ha detto - lì c’era da preoccuparsi».de Il Manifesto









   
 



 
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