I dati della crisi Il 2012, in Lombardia, non ha affatto segnato una possibile uscita dalla crisi con segnali di ripresa; anzi, aumentano il ricorso agli ammortizzatori sociali, la mobilità e i licenziamenti che si vanno ad aggiungere alla pesante riduzione di occupazione che in questi anni (prima ancora del 2008) ha caratterizzato la situazione economica e sociale della Lombardia. Il 2013 inizia ancora peggio con tutti i dati in significativo peggioramento. Le prospettive sono negative e prevedono un ulteriore calo della produzione industriale e la conseguente riduzione del tessuto produttivo e commerciale. Gli effetti della crisi in Lombardia li abbiamo misurati mensilmente in questi 5 anni attraverso i numeri altissimi delle ore di cassa integrazione (una media di 250 milioni di ore annue) e con oltre 50.000 licenziamenti all’anno. In Lombardia gli effetti della crisi si sono fatti sentire con particolare gravità per le caratteristiche diuna regione ad alto tasso di manifatturiero e per la responsabilità, nazionale e locale, di una politica disattenta, incapace di riconoscere e affrontare la crisi con politiche, scelte e risorse pubbliche innovative in favore della ripresa e dello sviluppo, a sostegno dell’impresa e del mondo del lavoro. I dati INPS di gennaio 2013, rielaborati da Dipartimento politiche Contrattuali della CGIL Lombardia, che fanno registrare una rilevante crescita delle ore di cassa, confermano purtroppo che la strada per ritornare quantomeno alla situazione economica e occupazionale pre crisi non sarà né breve né facile, e saranno necessarie politiche economiche e sociali alternative rispetto a quelle recessive messe in campo sinora a livello europeo e nazionale. In questa realtà, che segnala ancora una volta la profondità della crisi e della sua trasformazione, i dati dovranno essere verificati in rapporto e in conseguenza all’applicazione dell’ASPI (Assicurazione sociale per l’impiego)introdotta dalla “riforma” Fornero, che entrando in vigore con l’inizio dell’anno, dovrebbe interagire con gli strumenti in corso riferiti ai nuovi eventi di disoccupazione. A livello di Cassa Integrazione crescono per la prima volta tutte le tipologie. Complessivamente nel mese di gennaio 2013 si registra una significativa crescita delle ore autorizzate di CIG del 56,94% (21.250.320 ore), una crescita della cassa ordinaria del 49,99%, della cassa in deroga del 39,58% e della cassa straordinaria del 79,86%. Complessivamente i licenziamenti, cioè le indennità di mobilità e di disoccupazione come previsto dalle leggi, nel primo mese di gennaio 2013 rispetto a gennaio 2012 sono stabili ma con numeri sempre elevati. I dati ufficiali indicano in 7.070 i licenziamenti complessivi: ben 3.059 (+ 29.89%) con la legge 223/91 (indennità di mobilità), e 4.010 (meno 20,67%) con la legge 236/93 (indennità di disoccupazione). Si riduce del 90% il dato dei frontalieri con un sololicenziamento. I dati di gennaio 2013 vanno letti assieme ai dati dell’intero 2012. Complessivamente nel 2012 si è registrata una crescita delle ore autorizzate di CIG del 7,47% (238.363.723 ore), una significativa crescita della cassa ordinaria del 51,86% (97.988.774 ore) e della cassa in deroga del 21,03% (57.285.447 ore); diminuisce la cassa straordinaria del 21.03% (83.089.502 ore). La cassa in deroga rappresenta, ormai stabilmente, qualcosa come il 24% del totale, e nel 2012 circa 13.000 imprese con oltre 90.000 lavoratori hanno utilizzato questo strumento di sostegno al reddito senza il quale le aziende avrebbero proceduto ai licenziamenti. Oltre il 40% sono imprese del settore artigiano. Il 41%, a dimostrazione del peggioramento di queste situazioni di tutti i settori produttivi e del terziario, ha richiesto gli ammortizzatori per la prima volta. Avere totalizzato oltre 238 milioni di ore di Cassa, per la Lombardia, significa avere oltre 124.000 posti di lavoro a rischio, cherischiano di andare ad aggiungersi all’elevatissimo numero di posti di lavoro già persi. Complessivamente i cosiddetti licenziamenti, cioè indennità di mobilità e di disoccupazione, nel 2012 crescono, rispetto al 2011, del 26,09%; il totale complessivo dei licenziati quest’anno è di ben 61.765. I dati ufficiali indicano in 19.405 i licenziati con la legge 223/91 (indennità di mobilità), con un aumento percentuale del 12,83% sul 2011, mentre i licenziati col la legge 236/93 (indennità di disoccupazione) sono 42.196, con un aumento del 33,11%. Dati significativi e preoccupanti, che testimoniano di come in molte realtà la cassa integrazione non sia stata in grado di contenere l’occupazione o di evitare la chiusura. Il tasso di disoccupazione lombardo è in crescita continua, e ha ufficialmente superato il 7%. Dal primo luglio 2011 al 30 giugno 2012 c’è un calo del meno 7% delle assunzioni, mentre le cessazioni nello stesso periodo si attestano a meno 2,2%. Cresce in maniera esponenzialela precarietà del lavoro: negli anni 2011 e 2012 le assunzioni a tempo determinato sono state circa il 75% ed in città come Milano sono ormai al 90%. La Lombardia, la principale regione industriale del Paese, ha pagato e sta tuttora pagando, in termini durissimi la crisi ed il suo corollario di ristrutturazioni, delocalizzazioni e chiusure di imprese manifatturiere: siamo ancora dentro una crisi che continua a far sentire le conseguenze sul sistema produttivo e occupazionale. In questi 4 anni, circa il 25% del tessuto produttivo lombardo è andato in fumo e le conseguenze occupazionali sono state ancor più pesanti: in molti casi la crisi è stata utilizzata per realizzare operazioni di ristrutturazione occupazionale ed industriale (delocalizzazioni, esternalizzazioni ecc.). La cassa integrazione, in aumento, rispecchia la caduta della produzione industriale. Una panoramica della crisi. La crisi ha investito pressoché tutti i settori e le imprese di ognidimensione e tipologia. Una analisi della crisi che ha investito il settore manifatturiero lombardo permette di individuare alcuni parametri che consentono di raggruppare le situazioni in base alle condizioni e alle ragioni che hanno determinato lo stato di crisi. Delocalizzazioni Sono individuabili almeno tre tendenze: la classica delocalizzazione verso i Paesi a basso costo del lavoro (Est Europa; Asia, Nord Africa). Questo processo ha investito distretti industriali come il tessile (si vedano i casi della Valle Seriana e della Val Camonica, e del mantovano per la calza); a sua volta la crisi di un distretto come quello del tessile si è portata dietro anche le produzioni ad esso legate come il meccano-tessile (crisi della Promatech). Un discorso analogo vale anche per l’industria dell’elettrodomestico con le delocalizzazioni in Cina (Candy) e in Polonia (Indesit). Ma anche settori diversi da quelli maturi (come possono essere considerati tessile edelettrodomestico), in questo caso l’high tech, sono soggetti a spostamenti nei paesi a basso costo del lavoro come è il caso di Nokia. Un secondo caso di delocalizzazioni è quello di produzione ad elevato valore aggiunto, che incorporano livelli elevati di innovazione tecnologica, che si spostano nei Paesi che realizzano forme di politiche industriali (emblematico il caso dell’Alcatel verso gli USA). Infine, non mancano i casi di delocalizzazioni in settori in espansione ma caratterizzati da una notevole intensità di lavoro, come il caso della Medtronic del settore biomedicale, oggetto di spostamento in Messico. Addirittura la Regione Lombardia, con i famigerati bandi per l’internazionalizzazione delle imprese, si è resa responsabile di forme di finanziamento di delocalizzazione delle attività produttive. Grandi Gruppi Nazionali. E’ il caso del Gruppo FIAT, presente con stabilimenti Iveco e Fiat Power Train la cui tenuta dipende dalle (non) scelte dei(non) piani industriali del Gruppo. O il caso delle aziende della galassia di Finmeccanica (Oto Melara; Alenia…). E’ chiaro che una situazione di crisi di questi Gruppi si porta dietro una crisi più generale che coinvolge gli indotti e le filiera di fornitura, vedi il caso dell’automotive e affini. Nei confronti di questi grandi gruppi nazionali è mancata qualsiasi capacità di intervento della Regione Lombardia. Multinazionali Sono i casi della Yamaha, della Nokia, dell’Alcatel, della Whirpool, ma anche della Ideal Standard, IBM, Tenaris, Tamoil ecc. Nei confronti delle multinazionali e delle loro strategie la Regione Lombardia ha alzato bandiera bianca sostenendo che non si possono condizionare o discutere le loro scelte. Settori Industriali di Base. Su tutti i casi della chimica e della siderurgia rispetto ai quali, sia a livello nazionale che regionale, manca qualsiasi elemento di programmazione o di intervento pubblico. Inquesto modo i destini di grandi siti petrolchimici, raffinerie, chimica di base e fine, impianti siderurgici (Marcegaglia, Tenaris, Lucchini, Arvedi ecc.) rimangono esclusivamente in balia del mercato e delle scelte di allocazione delle produzioni dei gruppi privati che magari hanno acquistato gli impianti nella fase di svendita delle privatizzazioni. Distretti, filiere, sistemi produttivi locali. Sono meno presenti rispetto ad altre regioni del Paese (vedi il Nord Est, l’Emilia), ma anche nel caso lombardo manifestano tutta la debolezza di una produzione troppo sbilanciata sui settori del Made in Italy, con produzioni per loro natura povere che necessitano di scarsi livelli di ricerca e sviluppo e di innovazioni tecnologiche. Fa eccezione solo il settore della meccanica e dell’automazione sul quale però si rende necessaria u proposta di radicale riforma. Settori ad elevata innovazione e a forte componente R&D Si tratta di settori comel’high tech, le TLC, il chimico-farmaceutico (Sanofi, Merck, Prassis ecc) rispetto ai quali l’assenza di programmi di R&D e, soprattutto, della loro industrializzazione, rappresenta una carenza determinante (oltre all’atteggiamento delle aziende) nel determinare le situazioni di crisi. Settori che dipendono da Piani di Sviluppo. Il caso più eclatante è quello del trasporto pubblico il cui declino si traduce in una carenza di domanda di mezzi ed infrastrutture, ma anche di servizi. Derivano da questo disimpegno delle istituzioni (Governo e Regioni in primis) i casi di crisi della RSI (riparazione carrozze ferroviarie) e della Wagon Lits. Aree industriali dismesse. I casi più eclatanti sono quelli delle aree ex Alfa di Arese e ex Celestica di Vimercate rispetto ai quali non si è realizzato nessun intervento di re-industrializzaizone con il rischio di consegnare alla speculazione urbana dette aree. Una crisi di struttura La crisidella Lombardia ha radici lontane; l’attuale crisi mondiale ha soltanto radicalizzato e accelerato tendenze già in atto. Tra il 1996 e il 2008 la regione ha accumulato un gap di crescita pari a quasi 16 punti percentuali di Pil rispetto alla media Ue. Mentre la crescita media del Pil dell’Ue è pari a 2,1%, quella della Lombardia è pari all’1%. Quindi è dal 1996 che in Lombardia, si osserva un progressivo allontanamento della regione dai livelli Comunitari in termini di tassi di crescita del reddito (Pil). Un ritardo che trova ragione nella struttura produttiva pesantemente nella produzione di beni e servizi intermedi e di consumo. La media di crescita del Pil della Lombardia è rimasta costantemente più bassa di quella europea e, spesso, più contenuta di quella nazionale. La mancata crescita della Lombardia non è imputabile alla carenza di investimenti fissi lordi: questi, fino al 2005, hanno avuto tassi di crescita significativamente più alti della media europea; ma ilproblema è che la produttività degli investimenti lombardi si è rivelata molto più bassa di quella della media europea. Il sistema produttivo regionale si è trovato costretto ad adeguare la propria dotazione tecnica, mentre ha rinunciato agli investimenti di anticipo della domanda. Tra il 1996 e il 2005 le imprese lombarde hanno cercato di recuperare il ritardo dalle imprese europee adottando le innovazioni tecnologiche, ma l’incapacità di generare sul territorio queste innovazioni hanno ridimensionato l’effetto moltiplicatore degli investimenti. Questo si è tradotto in un forte vincolo estero: cioè la necessità di importare da altri Paesi quanto non si realizzava in Lombardia. Per questo gli investimenti non hanno generato l’effetto moltiplicatore ma, anzi, hanno pesantemente condizionato la bilancia commerciale lombarda con l’estero. Dopo il 2005 si è manifestato un trend diverso che ha aggravato la situazione precedente: la forte decrescita degli investimenti Lombardia,manifestando l’impossibilità della struttura produttiva di soddisfare la domanda delle imprese (macchine utensili, nuovi materiali, chimica fine, tessile non tessile, tecnologie Fer di III generazione), nonché tutti i limiti di una specializzazione produttiva che realizza beni e servizi particolarmente soggetti alla variazione di prezzo. Una particolare spiegazione del fenomeno è legata alla specializzazione produttiva: si tratta cioè di una struttura che produce beni e servizi dello stesso livello dei Paesi a margine del sistema produttivo, connotati da un elemento di forte concorrenza giocata sul basso costo del lavoro. La struttura produttiva è particolarmente sensibile ai beni di consumo, mentre risulta deficitaria nei beni intermedi. Nei beni capitali si osserva un trend equivalente a quella della Germania, ma la dipendenza tecnologica condiziona la possibilità di crescita di questo particolare comparto. Se in ogni euro di investimento è potenzialmente creatore di lavorobuono, per la Lombardia diventa reddito e lavoro buono nei paesi da dove importiamo gli investimenti di beni e servizi. La capacità della Lombardia di produrre know how è molto bassa: la regione contribuisce in modo impressionante all’impoverimento tecnologico dell’Italia. Infatti, sia quando l’Italia ha saldi della bilancia tecnologica dei pagamenti positiva o negativa, la Lombardia registra sempre valori pesantemente negativi. Se nel 2001 il saldo negativo della Lombardia nella conoscenza era pari all’85% di quello nazionale, nel 2007 rappresenta il 123%. Per tutte queste ragioni non regge l’ipotesi di una fuga delle multinazionali dovuta a presunte rigidità del mercato del lavoro; se l’ipotesi fosse vera la Germania dovrebbe conoscere una situazione non molto dissimile da quella lombarda. Per questo va sottolineato che sono da ricercare nella struttura economica le ragioni del progressivo decremento degli Ide (investimenti diretti esteri) nel sistema economico lombardo, lamaggior parte dei quali, oltretutto, è di carattere finanziario (Borsa di Milano). Matteo Gaddi
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