Aldo Santarpino, ovvero anatomia e cura del pianoforte
 







di Rosario Ruggiero




Non di rado il bagliore dei risultati conseguiti da certi uomini finisce col mettere in ombra alla nostra vista quanto, alle spalle del protagonista, ha concorso alla straordinarietà della sua impresa. Così dell’eccezionale scalatore si trascurerà l’importanza dell’attrezzatura adottata e di quanto e quanti hanno contribuito alla sua preparazione. Similmente di ogni altro campione sportivo o dell’uomo di genio, di cui non di rado si ignora tutto ciò che ha permesso la sua formazione e la nascita delle sue idee.
Nel campo specifico della musica, l’importanza del tecnico addetto alla messa a punto dello strumento musicale per una esecuzione pianistica traspare chiaramente dalla irriducibile ostinazione con la quale massimi virtuosi esigono tecnici di loro gradimento quanto non addirittura esclusivamente il proprio tecnico di fiducia.
Tra questi richiesti maghi della messa a punto del pianoforte, Aldo Santarpino, incarnazione di un’altissimacompetenza tecnica del pianoforte iniziata sei lustri fa quando, studente di pianoforte, ma con un’innata passione per la meccanica, decise di votarsi ai segreti tecnici del suo strumento. Così, a quindici anni, grazie all’interessamento di un musicista, fu a Pescara, da Angelo Fabbrini, esperto tra i maggiori del mondo, tecnico personale di Arturo Benedetti Michelangeli, per un periodo di apprendistato che durò qualche mese, quindi l’assunzione ed il lavoro alle dipendenze del grande tecnico per qualche anno e periodi di ulteriore affinamento professionale a Cremona e presso prestigiose fabbriche costruttrici come l’italiana Schulze Pollmann, la Bösendorfer di Vienna, la Bechstein di Berlino e la Steinway di Amburgo. Oggi, in proprio, cura e fornisce personalmente pianoforti per importanti manifestazioni internazionali come il Ravello Festival, i concerti napoletani dell’associazione “Alessandro Scarlatti”, i grandi eventi al teatro di San Carlo, al teatro lirico di Cagliari, aiteatri Verdi e Augusteo di Salerno, lavorando per musicisti del calibro di Martha Argerich, François-Joël Thiollier, Ramin Bahrami, Michele Campanella, Evgeny Kissin, Grigory Sokolov, Jörg Demus, Chick Corea, Stefano Bollani, Danilo Rea e tanti altri ancora.
Ma in che consiste il ruolo di un tecnico del pianoforte, più noto ai più con il termine riduttivo di accordatore, e quali sono gli interventi oggettivi e quali quelli soggettivi, cioè legati al gusto personale del pianista, che egli fa su uno strumento?
«Ai massimi livelli – ci spiega – ogni intervento su un pianoforte, anche il più semplice e scontato, e stiamo parlando di strumenti dal costo che sfiora o supera centomila euro, non è mai in valore assoluto, ma legato al programma da eseguire, all’ambiente in cui si svolgerà l’esecuzione, al gusto personale dell’interprete ed alla sua particolare tecnica esecutiva, al punto che personalmente, nelle circostanze più importanti, studio i concertisti che non conosco prima dioffrire loro la mia assistenza tecnica. Sostanzialmente dividerei il lavoro in accordatura, ricerca del timbro, messa a punto della meccanica e regolazione dei pedali».
Di che si tratta?
«Per accordatura intendiamo la ricerca della giusta tensione di ogni corda del pianoforte perché produca esattamente il suono dell’altezza voluta, che sia il do, il re, il mi, o qualunque altro. Per adempiere a ciò, al di là di criteri particolari per i quali le corde vanno accordate con un ordine preciso, esiste un apparecchio elettronico che segnala quando la corda produce il suono richiesto con esattezza matematica. L’operazione diviene così più semplice, veloce e sicura. Ma si osserva che fisiologicamente l’orecchio umano gradisce un’accordatura diversa da quella rigorosamente matematica, preferendo i suoni gravi più bassi di quelli previsti scientificamente, e quindi indicati dall’apparecchio elettronico, ed i suoni acuti più alti. Anche complessivamente una tale sorta diaccordatura migliora la percezione della musica eseguita. Da qui l’esigenza di un’accordatura “umana”, realizzata ad orecchio, e di conseguenza la necessità di doti personali del tecnico di sensibile percezione dei diversi suoni e capacità di assecondare le eventuali richieste di pianisti particolarmente esigenti in proposito».
Circa la ricerca del timbro?
«Ogni pianoforte ha un suo proprio timbro che lo rende diverso da ogni altro e che si potrà definire dolce, caldo, stridente, metallico, cupo o luminoso. Questo timbro viene fuori dalle caratteristiche progettuali del pianoforte in questione, dalla scelta dei materiali di cui è costituito e dal tocco del pianista che lo suona, ma è possibile modificarlo anche attraverso una operazione di messa a punto che consiste nel lavorare con opportuni strumenti, opportuna sapienza ed, ancora una volta, opportuna sensibilità personale e capacità di esaudire le espresse richieste del pianista, sulla testa di ognuno degliottentotto martelletti che battono sulle diverse corde».
Per quanto riguarda invece la parte meccanica?
«La meccanica di un pianoforte, ossia tutti i meccanismi che permettono la percussione del martelletto sulla corda e lo smorzamento del suono di questa ad opera degli smorzatori, è di una complessità inimmaginabile per un profano. Le regolazioni possibili sono infinite e sono rivolte alla omogeneità di risposta di tutta la tastiera alle sollecitazioni delle dita del pianista, all’assenza di giochi superflui, alla velocità di discesa e salita dei tasti, alla eguaglianza di scorrimento durante tutta la loro corsa, all’ampiezza di intensità di suono producibile dallo strumento, dalla massima alla minima, e quanto più. Anche qui i segreti gelosamente custoditi ed i continui aggiornamenti tecnici e tecnologici che si succedono sono innumerevoli».
La regolazione dei pedali?
«Sostanzialmente è in termini di comodità di uso per il pianista, ma pure in questocaso può non essere solo questo».
Qualche aneddoto tecnico in proposito?
«Un episodio che può dare la misura dell’indefesso arricchimento professionale che esige la mia attività. Fu con il pianista François-Joël Thiollier, musicista dalla non comune conoscenza del proprio strumento. In occasione della preparazione del pianoforte per un suo concerto mi chiese espressamente una regolazione che a me giungeva nuova. Ho già detto che la meccanica che permette la produzione di un suono al pianoforte è estremamente complessa. Questa meccanica fa sì che ogni volta che si abbassi un tasto, venga lanciato un martelletto contro le corde e contemporaneamente uno smorzatore, ossia un particolare oggetto che poggia sulla corda, si allontani da essa perché la corda possa vibrare liberamente. Abbandonando il tasto, questo torna in posizione di riposo e lo smorzatore torna a premere sulla corda fermandone il movimento. Così il pianoforte suona al pigiare i suoi tasti, tace alasciarli. Ma il pedale destro, abbassato, fa sì che tutti gli smorzatori si allontanino dalle corde così che pur abbandonando la tastiera le corde in movimento, libere dagli smorzatori, continuino a vibrare, e con esse i suoni nell’aria, con la possibilità di effetti sonori tanto personali da rendere l’uso del pedale destro del pianoforte letteralmente autentica anima di tante esecuzioni pianistiche. Rilasciando il pedale destro, tutti gli smorzatori, almeno quelli il cui tasto non è mantenuto abbassato, “simultaneamente” tornano a poggiare sulle proprie corde, fermandone il suono. E proprio questo mi chiese Thiollier, che gli smorzatori, al rilasciare il pedale, non tornassero simultaneamente sulle corde, ma in rapidissima successione, dai suoni più acuti ai più gravi. Questo perché così, nell’aria, sarebbero rimaste per un minimo tempo preziose risonanze che avrebbero arricchito l’esecuzione del maestro. Il problema era, a mio avviso, assai laborioso da risolvere. Si trattava diregolare ogni singolo smorzatore perché cadesse in leggero ritardo su quello del suono più acuto che lo precedeva. Sul momento non potetti soddisfarlo, ma poi, dopo studi e ricerche, venni a conoscenza della possibilità di soluzione quasi immediata del problema, ossia sollevare di pochi millimetri uno dei due punti, quello più vicino ai suoni acuti, su cui, all’interno del pianoforte, poggia l’intera fila degli smorzatori, mediante un semplice foglio di carta, sì che questi, una volta sollevati dall’uso del pedale, anziché trovarsi tutti equidistanti dalle rispettive corde, fossero invece in leggerissima pendenza sì da tornare a posarvisi, al rilasciamento del pedale, non contemporaneamente, ma a cascata, in rapidissima successione. Da allora in poi, in virtù dell’applicazione di questa strategia, il maestro Thiollier ammicca compiaciuto alla  mia preparazione del suo pianoforte, con soddisfazione di entrambi».
In definitiva, il fascino della sua attività?
«Sicuramente un fascino di carattere tecnico e scientifico, ma pure artistico, come condivisione di un esito di arte, e soprattutto umano, permettendo di conoscere fra le quinte persone di eccezionale sensibilità che forse, proprio per questo, sono portatrici di atteggiamenti maniacali, labilità emotive, insospettabile arroganza e sgradevolezza o, almeno apparentemente, olimpica, ammirevole serenità e calma, che colpiscono, dando non di rado luogo ad episodi e situazioni che, vi assicuro, da soli meriterebbero di essere scritti in un intero libro».  









   
 



 
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