Povera Italia se gli italiani sono sempre più poveri. Soltanto nel 2011, il numero di italiani sprofondati nel rischio povertà è stato infatti di 2,5 milioni. Un dato inquietante per un Paese come il nostro nel quale l’arte di arrangiarsi ha sempre costituito una risorsa e nel quale i legami familiari erano risultati fondamentali nel fare superare le difficoltà che di volta in volta si presentavano. Alla crisi economica, con una recessione che ormai dura da 5 anni ,si è aggiunto in Italia l’aumento delle tasse che ha ramazzato buona parte dei pochi risparmi del ceto medio. E per milioni di persone è stata notte fonda. Il numero di italiani a rischio povertà è così passato da 4,2 a 6,7 milioni. Lo stato di degrado sociale ed economico, che è sotto gli occhi di tutti, è evidenziato da una ricerca dell’Istat e del Cnel, che è stata l’occasione per presentare il nuovo indice denominato Bes, ossia “Benessere equo e sostenibile” che, d’ora in poi, saràaffiancato al Pil. Il Bes pone l’attenzione su quello che viene indicato“stato di grave deprivazione”. Esso si realizza quando si manifestano quattro o più sintomi di disagio economico su un elenco di nove. Come l’impossibilità di affrontare spese impreviste, il non poter permettersi una vacanza, e i risparmi obbligati sul riscaldamento di casa. Un dato che nel Sud è particolarmente grave se solo si pensa che il Bes è passato dal 12,1% del 2010 al 19,3% del 2011. Un rischio povertà che si manifesta non solo nelle fasce di popolazione più disagiate, ma anche tra coloro che nel 2010, avevano livelli di reddito prossimi o leggermente superiori, alla media. Per un numero crescente di famiglie il sistema di ammortizzatori sociali e la solidarietà familiare non sono più bastati per compensare gli effetti dell’erosione del reddito disponibile sul tenore di vita. Alle difficoltà palpabili si è poi aggiunta la percezione di non potersi permettere un pasto di adeguato di carne, pesce oequivalenti ogni due giorni. La strada per arrivare a definire il Bes è passata attraverso un questionario distribuito ad un campione di cittadini le cui risposte sono poi state elaborate da una apposita commissione. Il concetto di “benessere” e il come esso viene percepito dai cittadini rappresenta una nuova modalità di approccio nell’analisi sociale in quanto non valuta il miglioramento assoluto di una società ma tiene conto delle disuguaglianze che implica e misura il costo di tale mutamento in riferimento al deterioramento della ricchezza complessiva nazionale per le generazioni future. E sono proprio i giovani la categoria più penalizzata della società. Perché il loro presente è grigio e il loro futuro appare nero soprattutto perché sta calando drasticamente il loro livello di istruzione e di formazione rispetto alla media europea. Gli italiani infatti fanno sempre meno consumo di cultura e sono ultimi in Unione europea per numero di laureati con il del 20,3% di personedi 30-34 anni a fronte del 34,6% della media Ue. E se un indicatore come la lettura di libri è rimasta invariato, sono in netta flessione il numero di italiani che vanno a teatri, ai musei, alle mostre e ai concerti, e quello di chi acquista quotidiani. Così, in prospettiva futura è cresciuto il numero dei giovani, una categoria che comprende la fascia tra 15 e 29 anni, che non lavorano e non studiano salita al 22,7% nel 2011. Dagli indicatori del Bes emerge con evidenza che l’estrazione sociale e il tasso di istruzione della famiglia di provenienza continua a incidere troppo sui livelli di istruzione e sulle competenze dei giovani. In Italia c’è poca mobilità sociale italiana e la scuola pubblica non riesce ad assolvere al suo ruolo di riequilibrio economico e sociale per gli studenti che vengono da famiglie svantaggiate. Una deriva sociale che è particolarmente accentuata al Sud e per le donne che ne pagano le conseguenze anche in termini occupazionali. Una deriva economica esociale che ha accentuato la diffidenza e la sfiducia nella classe politica italiana, come peraltro ha ben dimostrato il risultato delle ultime elezioni politiche. Un senso generale di sfiducia che si ripercuote anche sul piano delle relazioni personali tanto che a fine 2011 appena il 20% della popolazione riteneva di potersi fidare degli altri. Un dato che scende al 15,2% al Sud e che è ben al di sotto della media dell’Ocse che è pari al 33%. A testimoniare che la crisi sta facendo saltare tutti quei meccanismi di solidarietà che ancora resistevano. E questo è uno dei più tipici indicatori del declino del nostro Paese.Filippo Ghira
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