Il bue che diceva cornuto all’asino. Nello specifico la Deutsche Bank che aveva messo sotto accusa il Monte dei Paschi di Siena come esempio di finanza allegra e indebitata e come espressione di quella Italia nella quale la tendenza alla spesa facile e al clientelismo hanno portato il debito pubblico a superare la soglia del 127%. Ma se Atene piange nemmeno Sparta può ridere. Pure la prima banca privata tedesca è infatti finita sotto accusa per le perdite accumulate a causa di speculazioni sui derivati. E quello che è ancora più grave è che i banchieri tedeschi, che si erano sempre fatti un punto di onore di una gestione corretta e trasparente, hanno in tal modo dimostrato di essere anche loro dei banchieri. Soggetti che hanno come pietra angolare il raggiungimento del profitto, costi quel che costi, e senza preoccuparsi della strada scelta. I dirigenti della Deutsche Bank non si sono preoccupati insomma di avere il via libera degli azionistiper esercitarsi in quel gioco dei bussolotti che ha causato perdite tutte ancora da accertare nella loro reale dimensione. L’indagine è stata aperta dalla Bundesbank, la banca centrale tedesca che avrebbe accertato perdite tra i 4 e i 12 miliardi di euro, mica bruscolini, che sono maturate su operazioni sui derivati nel periodo 2007-2009, quindi prima e durante la crisi finanziaria nata negli Usa. La lieta novella è stata comunicata al mondo dal Financial Times, voce ufficiale della speculazione della City che, in simili occasioni, non può che mostrare tutto il suo gaudio nel raccontare che pure i crauti, considerati il nocciolo duro del sistema dell’euro, hanno assunto le logiche comportamentali dei tanto criticati Paesi dell’area Sud. Il FT ricorda a tale proposito che l’inchiesta è la conseguenza diretta di una analoga inchiesta aperta nel dicembre scorso dalla Securities and Exchange Commission, l’organo di vigilanza degli Usa sui mercati finanziari e sulla Borsa. A giudiziodella prima banca tedesca, che ha manifestato la più ampia disponibilità a collaborare con la Sec, si tratterebbe soltanto di chiacchiere prive di fondamento e diffuse da tre ex dirigenti dalla banca, i quali non sarebbero stati allontanati per la loro opposizione alle operazioni sui derivati ma perché considerati non più all’altezza. Una vicenda sulla quale la Deutsche Bank aveva aperto una indagine più di due anni fa che si è risolta in un nulla di fatto. Oltretutto, questa è la difesa ufficiale, non solo i tre dirigenti non avevano partecipato a tali operazioni ma la banca era riuscita a cedere a terzi i derivati acquistati per assicurarsi su investimenti finanziari considerati a rischio. Le perdite sarebbero il frutto di una sopravalutazione di quei titoli ai quali in bilancio era stato attribuito un valore di 129,8 miliardi di euro che non teneva conto del crollo dei listini azionari che in quella fase si stava realizzando in maniera eclatante. L’inchiesta avviata dalla Secaveva avuto un forte impatto in Germania ed era stata utilizzata dai partiti di sinistra, Spd, Verdi e Linke, ai quali si erano uniti i Pirati, per innescare una politica contro il sistema di potere economico e politico che lega le banche alla coalizione formata dai democristiani della Cdu-Csu e ai liberali della Fdp. Un anticipo della campagna elettorale che vedrà i tedeschi chiamati alle urne il 22 di settembre. I n particolare i socialdemocratici hanno messo sotto accusa gli aiuti di Stato alle banche per salvarle dalla bancarotta e coprire i debiti che hanno superato abbondantemente i 20 miliardi di euro. Lo Stato federale è divenuto azionista della Commerzbank con una quota del 25%. Una svolta giustificata in nome del principio della “economia sociale di mercato” tanto cara ai democristiani e originata, quantomeno sul versante cattolico-bavarese, dalla dottrina sociale della chiesa. In buona sostanza questo “infortunio” della Deutsche Bank è l’espressione di una debolezza delsistema economico tedesco, all’interno del quale le banche, oltre a concedere credito alle imprese, ne sono divenute pure azioniste e sottoscrittrici di obbligazioni che non solo vengono rivendute alla clientela ma vengono anche tenute in portafoglio. Un sistema che crea un legame ferreo tra imprese e banche e che implica la commistione tra credito a breve e quello a lungo termine. E’ il cosiddetto sistema di “banca mista” che può funzionare finché l’economia tira e i destini dell’una si legano fruttuosamente a quelli dell’altra. Ma che mostra tutta la sua debolezza e pericolosità quando ci si trova in una fase di recessione come l’attuale. C’è da ricordare che il sistema “misto” venne cancellato in Italia dalla Legge Bancaria del 1934 con la quale si stabilì una separazione netta tra le banche ordinarie che facevano credito alle imprese con soldi raccolti a breve termine, quindi sempre monetizzabili, e le banche di investimento che raccoglievano capitali a lungo termine e cheinvestivano in azioni e obbligazioni di imprese industriali. Una svolta necessaria perché la crisi del 1929 aveva moltiplicato in Italia i suoi effetti a causa delle commistioni tra imprese e banche. La Fiat di Agnelli aveva cercato di scalare in Borsa il Credito Italiano e utilizzarne i fondi per coprire i costi della riconversione da una produzione di guerra ad una di pace. E lo stesso aveva fatto l’Ansaldo dei Perrone con la Banca Commerciale. Un istituto questo molto legato al mondo tedesco e mittel-europeo. Purtroppo, la Legge del 1934, una legge sacrosanta, venne cancellata nel 1994, in nome dell’apertura al Libero Mercato. Le conseguenze, in Italia, così come in Germania, le abbiamo davanti ai nostri occhi. Banchieri che hanno smesso di finanziare l’economia reale e che disperdono le risorse della banca, quindi i soldi dei correntisti, in operazioni spericolate e in vere e proprie speculazioni, tanto da essere costretti, per evitare il fallimento, a chiedere l’intervento delloStato e della Bce. Una deriva che non si può certo definire “sociale” perché solo le perdite vengono addossate alla comunità. Filippo Ghira
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