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Conti presto fatti: col rigore inevitabili nuovi tagli e nuove tasse |
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Sostiene Monti che il Def (Documento di economia e finanza) approvato ieri è «un contributo work in progress». E’ generoso, perché in realtà di «progress» non c’è granché: numeri alla mano, è già tutto deciso. E non saranno rose e fiori. Infatti, a meno di rovesciare il tavolo, stracciare tutti gli accordi internazionali (dal fiscal compact al pareggio di bilancio) e disdire gli impegni presi con l’Europa, il prossimo governo non avrà altra strada che rimettere mano ai conti con una nuova manovra correttiva, che ormai quasi tutti danno per scontata. In altre parole: o nuove tassse o nuovi tagli. O tutt’e due. I paletti entro cui si dovrà muovere la politica economica del prossimo governo sono quelli noti: rapporto deficit/Pil entro il 3% e pareggio di bilancio strutturale. Solo che, secondo quanto sostiene Monti nel Def, all’appello mancano 25 miliardi entro il 2017. Questo perché l’Imu introdotta dall’esecutivo tecnico “scade” nel 2015. E allorale alternative sono due, anzi tre: tornare all’Imu pensata dal governo Berlusconi (che vale “solo” 10 miliardi e dunque resterebbe un buco di 15 miliardi); rivedere l’imposta sulla casa (come promesso in campagna elettorale da tutti i partiti; e allora il buco sarebbe ancora più grande); oppure lasciare tutto così com’è, con buona pace delle promesse elettorali. E non è una decisione che si possa rinviare: le leggi di stabilità (l’ex finanziaria) valgono tre anni; dunque già in autunno dovranno dirci se la cancellazione/revisione dell’Imu era una barzelletta; oppure se al suo posto saranno introdotti nuovi tagli e/o nuove tasse. Il danno e la beffa. Certo, per restare dentro i paletti di cui sopra si può sempre sperare che aumenti il Pil. Il Def sfoggia ottimismo: “solo” un -1,3% nel 2013 e addirittura un +1,3 nel 2014. In sostanza un miracolo, cui è difficile credere se nel 2012 i licenziamenti in Italia sono stati un milione (davvero si pensa di recuperare tutti questi posti dilavoro in meno di due anni?) e se la disoccupazione continua a salire in tutto il Vecchio continente (come certifica oggi la Bce). Mentre all’orizzonte non si vede neanche l’ombra di riforme, né belle né brutte, per la crescita. E comunque non basterebbe. Perché quest’anno ci sono alcune spesucce che non possono essere rinviate: cassa integrazione, missioni internazionali, contratto dei precari della pubblica amministrazione. In tutto, servono altri 7-8 miliardi. E poi c’è l’Iva: tutti dicono di voler evitare l’aumento previsto a luglio, ma dove trovare i necessari due miliardi? Morale: servono tra i 20 e i 30 miliardi. Le strade sono solo due: o si prosegue sulla via europea del rigore e allora saranno necessarie nuove tasse e/o altri tagli (recessione assicurata); oppure si cambia strada. Magari copiando da Obama e dalla sua “politica dei due tempi” al contrario: prima lavoro e crescita; poi riforme. Romina Velchi
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