La cultura europea non si baratta per qualche misero dollaro
 











Non è possibile barattare la cultura e la storia millenaria dell’Europa per un trattato commerciale con gli Usa. È una delle preoccupazioni dei rappresentanti francesi alle profferte dell’amministrazione statunitense di unire le due economie dopo il via libera concesso dai tecnocrati della Commissione europea alla proposta degli americani. Del resto sono trascorsi solo pochi giorni da quando il politologo statunitense Zbigniew Brzezinski ha invitato a realizzare un accordo commerciale bilaterale fra Stati Uniti e Unione europea, allo scopo – afferma lo studioso – di salvare l’economia dell’Europa in pieno declino. L’ex Consigliere nazionale del presidente americano Jimmy Carter (1977-1981) e membro effettivo della Commissione Trilaterale e del Bilderberg aveva sottolineato la necessità di un’intesa bilaterale alla conferenza Globsec (Global Security Forum) di Bratislava dinanzi a un pubblico di importanti uomini della politica e della finanzadell’Europa centrale. Ma l’idea di unire i due continenti divisi storicamente da visioni del mondo contrapposte non soddisfa i francesi. Il governo d’Oltralpe da parte sua ha respinto come suggerimenti “ingenui” quelli di un accordo commerciale transatlantico con gli Stati Uniti, tali da beneficiare l’economia dell’Ue e portarla fuori dalla crisi. Ad intervenire sulla proposta americana è stato in particolare il ministro del Commercio francese Nicole Bricq che ha dichiarato quanto “sarebbe ingenuo pensare che il dibattito, che sarà lungo e difficile ... saprà davvero risollevare l’Europa dall’anemia in corso”. I ministri europei tuttavia sono tenuti a firmare il mandato negoziale della Commissione di Bruxelles entro la metà di giugno. Gli incontri possono durare fino a due anni, anche se il commissario Ue al Commercio Karel De Gucht spera di trovare un accordo in tempo per le elezioni europee del prossimo maggio. Bricq ha voluto precisare che in qualsiasi caso Parigi è pronta adinsistere per l’assoluta esclusione del settore audiovisivo europeo dai colloqui. “La posizione della Francia è che vogliamo l’esclusione dalla discussione degli elementi culturali. Questi non sono negoziabili. Non è una sorpresa. Per cui ho dichiarato che se non avremo l’esclusione, non avremo nessun accordo”, ha precisato. Le richieste francesi – con la tradizionale attenzione alle questioni culturali – indicano il delicato equilibrio dei negoziatori Ue dovranno riuscire a mediare un accordo. I tecnocrati europei da parte loro temono che il mantenimento di determinati settori tenuti lontani dalle trattative potrebbero incoraggiare gli Stati Uniti a stabilire delle “linee rosse” in altri settori. Una contraddizione in termini visto che è sempre Washington a decidere quello che è più vantaggioso o meno per il futuro dei suoi interessi di dominio globale. L’eurocrate De Gucht e Mike Froman, consigliere per il Commercio internazionale del presidente americano Barack Obama, sono statipresenti ai colloqui. La partecipazione di Froman segna la prima volta che un rappresentante del governo degli Stati Uniti ha discusso la politica commerciale Ue-Usa direttamente con i ministri del commercio europei. I tecnocrati di Bruxelles hanno parlato del commercio transatlantico e della partnership negli investimenti con gli Stati Uniti che, dicono, potrebbe valere fino allo 0,5 per cento del Pil dell’Unione europea e in grado di creare fino a 400.000 posti di lavoro. Ma tutto questo vale la fine dell’Europa sul piano politico-culturale? Cosa accadrà – come affermano i francesi – alle nostre peculiarità culturali e nazionali, alle tradizioni locali e patriottiche delle singole nazioni che rappresentano i principi millenari che conformano il Vecchio Continente ai suoi valori storici, filosofici e culturali nel loro insieme? Sarà veramente la fine dell’Europa-colonia, dominata dall’impero a stelle e strisce e dai poteri forti? Oppure i popoli del Vecchio Continente saprannoriprendere in mano la loro storia, i loro principi per combattere e liberarsi dalla schiavitù del dominio a stelle e strisce e costruire finalmente un domani costruito su valori patriottici e di vera giustizia sociale. Un recente documento del Centre for Economic Policy Research (CEPR), un think-tank con sede a Londra, ha sottolineato che un accordo commerciale degli Stati Uniti potrebbe aumentare la produzione economica dell’Ue fino a 119 miliardi di euro l’anno. Ma un mancato accordo sulle barriere tariffarie porterebbe a vantaggi economici irrisori pari a circa 23,7 miliardi di euro. In più la liberalizzazione del mercato dei servizi e degli appalti pubblici varrebbe invece un supplemento rispettivamente di 5,3 miliardi e di 6,4 miliardi di euro. Tutto questo non vale tanto quanto la rinuncia alla nostra millenaria cultura. Il cinema europeo e le altre arti non saranno compromessi da un accordo di libero scambio del blocco dei Ventisette con gli Stati Uniti, hanno dichiarato dallaCommissione di Bruxelles, rispondendo alle preoccupazioni francese. I negoziati commerciali tra Ue e Usa dovrebbero iniziare  entro la fine dell’anno. L’obiettivo è quello di concludere un accordo di libero scambio prima dell’ottobre 2014. La Commissione Ue ha sottolineato che anche il settore audio/video sarà incluso nei colloqui. Decisione questa assolutamente contraria alla volontà francese e di decine di registi europei. La Francia dispone inoltre di un ampio sistema di sovvenzione statale per mantenere film francesi e di una televisione fiorente per proteggerli appunto dalle importazioni culturali statunitensi. La scorsa settimana sempre il ministro francese Bricq ha minacciato di far naufragare qualunque accordo di libero scambio Ue-Usa, se verrà toccato il settore audiovisivo. E molti famosi registi europei del cinema come lo stesso regista statunitense David Lynch hanno lanciato una petizione internet da recapitare ai tecnocrati della Commissione, nel tentativo disollecitare l’Unione europea ad escludere almeno il settore audiovisivo dai colloqui. Tra i firmatari più celebri abbiamo il regista e sceneggiatore austriaco Michael Haneke, i registi francesi Michel Hazanavicius, Catherine Breillat, Costa Gavras e Agnes Jaoui, Pedro Almodovar dalla Spagna, i registi britannici Mike Leigh e Ken Loach, i belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne e il finlandese Aki Kaurismaki. La petizione, pubblicata sul sito web lapetition.be, utilizza lo slogan perfettamente calzante “L’eccezione culturale non è negoziabile!”. Gli amministratori del sito affermano che la diversità culturale dell’Europa deve essere protetta, avvertendo che “il mandato negoziale proposto è una rinuncia, una capitolazione e un punto di rottura”. Ma in una dichiarazione di lunedì scorso il commissario Ue al Commercio Karel De Gucht ha precisato: “L’Europa non metterà la sua eccezione culturale a rischio con dei negoziati commerciali. Nessuna disposizione all’accordo di libero scambio con gliStati Uniti nuocerà oppure sarà in grado di danneggiare la diversità culturale europea”. Per De Gucht in sostanza gli Stati membri Ue saranno liberi di mantenere il sostegno statale per le loro industrie audiovisive e “la Francia, in particolare, rimane perfettamente libera di mantenere i regimi di sovvenzione e le quote”. Parole che non danno alcuna certezza. Per cui la Bricq ha tenuto a precisare che le posizioni assunte da Bruxelles in merito ai negoziati sono assolutamente “ambigue”. Come darle torto? È quasi inevitabile che gli eurocrati siano pronti a svendere tutto agli Usa pur di raggiungere un accordo con gli amati padroni dell’impero a stelle e strisce. La Bricq ha preso parte a una serie di incontri presso il Congresso degli Stati Uniti alla presenza di un consigliere del presidente Barack Obama in quel di Washington per conoscere le priorità degli Stati Uniti nei negoziati commerciali con l’Ue. Dal canto suo ha sottolineato che gli Stati Uniti le sono sembrati “piùpreoccupati per la pirateria su Internet che per la eccezionalità culturale”. Washington e l’amministrazione sembrano fregarsene della cultura del Vecchio Continente, forse perché sanno che i tecnocrati europei non faranno una grande opposizione e presto cederanno, come hanno fatto sempre, tranne alcuni fulgidi esempi del passato messi a tacere quasi subito per il coraggio delle posizioni assunte. Andrea Perrone









   
 



 
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