Il Consiglio europeo non ha partorito decisioni vincolanti per i Paesi membri ma soltanto delle assunzioni di impegni di carattere generale sulla realizzazione di un mercato unico dell’energia e sulla necessità di intensificare la lotta all’evasione fiscale con lo scambio continuo di informazioni sui conti correnti bancari. Il vertice straordinario dei 27 Paesi dell’Unione, ai quali si era aggiunta la Croazia che dal primo luglio sarà a pieno titolo il 28emo Paese membro, non ha comportato quindi decisioni straordinarie ma soltanto espressioni di buona volontà. Per definire in maniera più dettagliata le cose da fare, saranno necessarie altre riunioni entro la fine dell’anno. Sul fronte fiscale è stato deciso che Austria e Lussemburgo dovranno rivedere le proprie normative in materia bancarie che ne fanno dei veri e propri paradisi fiscali. Ma I due paesi hanno condizionato il loro benestare a un accordo con i cinque Paesi solo formalmente sonoal di fuori dell’Unione Europea (Andorra, Liechtenstein, Monaco, San Marino e Svizzera) ma che di fatto funzionano come una stanza di compensazione per operazioni che devono rimanere occultate. Ma appare chiaro che, al di là delle dichiarazioni di facciata, che chi metterà non pochi ostacoli sull’evasione fiscale e sui controlli bancari sarà la Gran Bretagna. E’ noto infatti come Londra disponga di non pochi paradisi fiscali in Europa (Jersey, Guernsey e Gibilterra) e nei Caraibi (Cayman) attraverso i quali transitano anche operazioni di riciclaggio e di ripulitura di capitali sporchi, spesso legati al narcotraffico. Oltre che quelle degli attacchi contro i titoli di Stato dei Paesi europei in difficoltà con i conti pubblici (come Italia e Spagna) e di riflesso contro l’euro. Una peculiarità che assicura ai britannici un non indifferente potere da far pesare nei convegni internazionali. Oltretutto, la Gran Bretagna non ha alcun motivo di lasciare l’adorata sterlina per passareall’euro che ai suoi occhi rappresenta il simbolo dello strapotere tedesco, e quindi il peso dell’Europa continentale. A questo si aggiunge poi il rifiuto di Cameron di introdurre anche in Gran Bretagna la Tobin Tax per colpire con un piccolo salasso tutte le transazioni finanziarie. Un colpo non indifferente per l’Unione Europea considerato che per la City londinese si realizza circa il 70% delle operazioni sui titoli espressi in euro. Una situazione allucinante e ridicola perché dimostra che l’euro, nonostante le sue potenzialità, resa una moneta debole, priva come è di un retroterra finanziario che sia autonomo dalle pressioni del dollaro e della sterlina. E’ presumibile quindi che la Gran Bretagna cercherà in tutti i modi di fare posticipare decisioni che, se attuate concretamente, finirebbero per danneggiarla ed inficiare una sua precisa rendita di posizione. Si evidenzia ancora una volta il ruolo di cavallo di Troia della Gran Bretagna all’interno dell’Unione Europea. Semprecon una gamba dentro e con un’altra fuori, gli inglesi hanno cercato sempre di trarre i maggiori profitti assumendo i minimi rischi e nascondendosi dietro le norme procedurali pur di rallentare l’assunzione di impegni che non avevano alcuna volontà di rispettare. Torna così, ancora una volta attuale, la fondatezza del no di Charles De Gaulle che si oppose strenuamente, all’inizio degli anni sessanta, all’entrata di Londra nella Comunità Europea. Un no derivante sia dalla sua valutazione della Gran Bretagna come quinta colonna anglofona e americana nella Cee. Sia dalla considerazione che con Londra tra i piedi si sarebbe accentuata l’impostazione federalista e tecnocratica propria dei Padri (si fa per dire) “storici” della Cee come Jean Monnet (l’uomo che distribuì i soldi del Piano Marshall in Europa - foto), Altiero Spinelli e Robert Schuman. Alle idee e imposizioni di costoro, il Generale contrappose il principio confederale della “Europa delle Patrie” che venne poi tradita dai suoiepigoni come Pompidou, Giscard, Chirac e ancora di più Sarkozy. Oggi questa impostazione di De Gaulle mostra tutta la sua attualità in una fase nella quale la costruzione europea mostra tutta la sua inadeguatezza per la pretesa di mettere insieme Paesi così diversi e di imporre a tutti lo stesso modello economico e giuridico. Un modello che si muove nel solco della massima efficienza, infischiandosene se le cure da cavallo imposte a questo o a quel Paese, invece di curare finiranno per ammazzare il paziente. Una cura, anzi una eutanasia, che ha mostrato tutto il suo vero volto in Grecia portando all’esasperazione i cittadini, che senza più niente da perdere, hanno dato l’assalto ai Ministeri e alle sedi delle banche, ritenute, non a torto, le prime responsabili della speculazione finanziaria e dei disastri che ne sono derivati. I milioni di disoccupati senza speranze e senza prospettive in Europa dovrebbero rappresentare un serio campanello d’allarme per i capi di governo europeiche, pur prendendo posizione su questa deriva economica che ha tutte le potenzialità per risolversi in una vera e propria rivolta sociale diffusa, continuano a baloccarsi con le loro fumosità istituzionali e con la deteriore tendenza a preoccuparsi più che altro della solidità del sistema bancario, finito nelle pesti per la propria voracità. I mille miliardi prestati (ma al tasso dell’1% sono regalati) dalla Bce alle banche europee ne sono la più evidente dimostrazione. Soldi che dovevano essere utilizzati per fare credito alla economia reale, imprese e famiglie, e quindi per favorire la ripresa e sostenere la domanda interna. Soldi utilizzati invece per ricapitalizzarsi e rifarsi dalle perdite su investimenti sbagliati e su speculazioni vere e proprie. Da qui la stretta creditizia che ha penalizzato le piccole e medie imprese, che in Italia sono quelle che fanno innovazione, e che ha comportato una disoccupazione di massa che ha colpito in particolare i giovani. Questo in Italia èil problema più eclatante ed Enrico Letta è riuscito a fare passare la sua linea. A giugno, al prossimo vertice del Consiglio Europeo se ne parlerà. Resta da vedere se si andrà al di là del solito chiacchiericcio inconcludente. In campo energetico sono stati riaffermati gli obiettivi di completamento del mercato interno dell’energia entro il 2014 e dello sviluppo delle interconnessioni entro il 2015, come recita un comunicato “in modo da porre fine all’isolamento di Stati membri dalle reti europee di distribuzione del gas e dell’energia elettrica”. Gli Stati membri dovranno attuare il cosiddetto “terzo pacchetto energia” e rendere la rete accessibile a tutti gli operatori del settore e garantire l’approvvigionamento continuo di energia a prezzi accessibili. Allo stesso modo si dovrà ridurre la dipendenza energetica esterna (da Paesi Russia, Algeria e Libia) della UE e stimolare la crescita economica e proseguire nello sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile. Unaconcessione alla montante ideologia verde ma che, visto lo stato del settore e le sue prospettive, rimarrà a lungo nel libro dei sogni. Andrea Angelini
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