Italia in vendita
 











Ormai i nodi stanno venendo al pettine. Telecom Italia sta per diventare Telecom Spagna, con il controllo che sta per passare agli spagnoli di Telefonica, mentre nei prossimi giorni Alitalia dovrebbe infine cadere nelle mani di Air France, con qualche anno di ritardo, qualche spesa per il contribuente e qualche manovra di potere per i soliti noti capitalisti italiani. E poco dopo anche Ansaldo, sbriciolata in tre pezzi, rischia di finire sotto controllo estero, come spiegato oggi dal Sole24ore.
Nulla di nuovo, si potrebbe dire. Ed in effetti del declino del capitalismo italiano abbiamo parlato più volte, mentre il governo e la politica in generale si ostina a non fare nulla. La posizione del precedente esecutivo era chiara: è il mercato, bellezza. In parole povere, se stiamo in Europa, se privatizziamo, è chiaro che il controllo delle nostre compagnie possa finire anche in mano straniera. Il mercato, si sa, porta efficienza, quindi se compratoristranieri sono interessati alle nostre aziende non potremmo altro che ricavarne benefici per i nostri consumatori. Questa è la storiella. Senza capo né coda, purtroppo.
Per prima cosa è certo vero che Telecom sia in difficoltà, con un indebitamento altissimo. Peccato che Telefonica non abbia conti migliori, anzi. E questo dovrebbe dar da pensare parecchio, quando parliamo di un settore dove gli investimenti – costosi – sono indispensabili per migliorare la qualità del servizio. Servizi non futili, tanto per capirci. Internet in Italia funziona decisamente peggio che nel resto d’Europa, la banda larga raggiunge solo una minoranza della popolazione, il collegamento fuori città è quello che è. Parliamo di un settore strategico per lo sviluppo industriale e dei servizi – un bene pubblico. Lasciato in mano a privati, per di più stranieri, senza interessi strategici nello sviluppo economico del Paese. Le conseguenze sono facilmente immaginabili.
Non va tanto meglio per le altre aziendecoinvolte. Il trasporto aereo, in un mondo globalizzato, è ovviamente strategico, ed è un veicolo per la politica industriale del paese, non proprio una priorità di Air France. Chiaro che non era una priorità neanche per la cordata di capitalisti italiani, che non avevano alcun interesse nel settore, salvo rinsaldare quel pessimo legame politica-imprenditoria fatto di marchette e appalti. Mentre Ansaldo, società leader del settore, verrebbe di fatto scorporata, con conseguenze immaginabili per investimenti e ricerca.
Il problema vero, però, non è tanto il passaggio di queste aziende a concorrenti stranieri, quanto il marcio che permea quasi tutto il grande capitalismo italiano. Telecom, Alitalia e Ansaldo vivono una stagione di grande crisi, senza piani strategici di sviluppo ed investimento. Le privatizzazioni sono state fatte favorendo amici ed amici di amici. Non sono state create vere public company, ma società che venivano controllate attraverso scatole cinesi, quote diminoranza e patti di sindacato. Piccoli o relativamente piccoli esborsi per i nuovi padroni del vapore, in cambio di controllo totale, senza neanche dover ricorrere a delle OPA, senza tutela per i piccoli azionisti. Telecom, per esempio, era un colosso del settore negli anni 90, passata di mano due volte in pochi mesi tra fine dei governi D’Alema-Amato ed inizio del governo Berlusconi, e si è ora ridotta ad una società indebitata senza un capitale sufficiente a confrontarsi con le sfide dei prossimi anni. Ed ora pronta per essere presa, a prezzo di saldo, da Telefonica, nuovamente non attraverso un OPA ma semplicemente controllando la cassaforte del gruppo, Telco.
In Italia pare che non si sia ancora capito come funziona davvero il capitalismo. Anche l’Economist ha scoperto che in tutte le economie emergenti lo Stato, con un chiaro piano di sviluppo, fa la parte del leone. In Francia la direzione politica dell’economia è da sempre una garanzia di difesa del sistema industriale delpaese. Nella stessa America, il potere politico non esita a mettere il veto su cessioni di assett strategici ed il governo promuove con forza gli interessi dell’industria a stelle e strisce. In Italia, invece, i capitalisti preferiscono fare i rentiers e il capitalismo di sistema di Medio-Banca e IRI si è trasformato nella difesa degli interessi di bottega del singolo, a tutto svantaggio del paese, con l’aiuto di una politica imbelle e collusa. Per ritrovarci, alla fine, con un pugno di mosche. Nicola Melloni

 









   
 



 
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