Nel corso degli ultimi anni abbiamo visto diversi tentativi di dare basi teoriche all’austerity, incolpando il debito ed i governi dei problemi creati dal mercato e dalla banche. Tentativi maldestri, pieni di errori marchiani, con numeri costruiti ad arte per ottenere risultati falsi, ma che hanno avuto un’eco importante tra i politici, soprattutto quelli europei, che sono saltati in fretta sul carro dell’austerity per tagliare pensioni e salari con la scusa dell’emergenza economica. Emergenza che poi, puntualmente, si è avverata proprio a causa delle scelte assurde dei governi. Ora, dopo anni di pene, che per alcuni, come l’Italia, continuano a protrarsi, l’economia europea sembra però stabilizzarsi, ridando fiato ai pasdaran dell’austerity. Poco prima delle elezioni tedesche, avevamo visto come il ministro delle finanze Schauble avesse rivendicato con forza i numeri del “successo” europeo. Qualche giorno fa è stato il suo omologo inglese, ilCancelliere dello Scacchiere George Osborne, a rivendicare i magnifici successi dell’economia britannica, ormai sulla retta via grazie al suo governo. In effetti, il Pil della Gran Bretagna, al contrario di quello italiano, non è più in rovinosa caduta e negli ultimi trimestri è tornato il segno positivo. Non solo, ma la disoccupazione nel corso di questi anni – e contrariamente alla dinamica vista nel Sud Europa – è rimasta sotto controllo. Insomma, tutto bene, madama la marchesa. Peccato che si tratti di una lettura parziale, falsa ed intellettualmente disonesta. La disoccupazione non è aumentata quanto si temeva, è vero: ma questo è dovuto ad alcuni fattori strutturali oltre ad altri bluff statistici. Il crollo della produttività ha comportato un calo solo parziale degli occupati, per altro coperto da contratti a zero ore e precariato che hanno spinto i salari verso il basso. Quanto alla crescita, dopo anni di recessione, l’andamento del Pil è piatto. Meglio del passato, manon pare proprio un gran successo. Meglio di diversi paesi europei, ma senza mai aver avuto i problemi strutturali legati alla mancanza di sovranità monetaria dei Pigs. In realtà, come spiegato da Vox.eu, tanto il paragone con gli Stati Uniti quanto quello con tutte le altre crisi finanziarie e bancarie del XX secolo mostrano come la Gran Bretagna abbia avuto una ripresa post-crisi incredibilmente lenta. Nessuno ha mai pensato che la recessione sarebbe stata infinita, i fattori strutturali – la capacità produttiva – avrebbero prima o poi arrestato la depressione. Il problema è proprio il prima o poi, e grazie all’austerity si è prolungata, inutilmente, la caduta dell’economia. Tutti i dati economici sono peggiori di quanto previsto quando il governo Tory vinse le elezioni, la crescita cumulativa del Pil è 1/3 di quanto si fosse previsto nel 2010 e inferiore di tre punti percentuali a quanto sarebbe dovuto essere quest’anno in assenza di politiche fiscali restrittive. Certo, sappiamobenissimo che le previsioni economiche sono fatte per essere corrette. Rimane però aperta la questione dell’utilità dell’austerity, fatta per mettere sotto controllo deficit e debito, mentre è avvenuto esattamente l’opposto con il debito inglese che è passato dal 70 all’85% del PIL. Ciò nonostante non è accaduto quello che temevano – o, almeno, sostenevano di temere – i conservatori, e cioè una reazione negativa dei mercati ed una fuga di capitali tipo Grecia provando senza tema di smentita che tutta la costruzione teorica intorno all’austerity era molto semplicemente una baggianata. Nel frattempo anche dall’altra parte dell’Atlantico i falchi neo-lib sono all’attacco. Di nuovo l’ossessione del debito, portata a livelli così parossistici da chiudere addirittura il governo federale. La parola d’ordine della destra è che i conti pubblici sono fuori controllo e questo rischia di portare al crollo dell’economia e della potenza americana. Agli invasati del Tea Party si sono uniti iconservatori tout court tipo Niall Ferguson, storico di Harvard ed ormai star televisiva e scrittore di best seller. Ferguson sul Wall Street Journal confonde i numeri – come già i suoi stimati colleghi di Harvard Reinhart e Rogoff – e sostiene l’insostenibile, cioè che la dinamica del debito Usa sia fuori controllo. Cosa patentemente falsa, ed infatti ai correnti livelli di inflazione e di tassi sui buoni del tesoro, il Governo americano sta facendo profitti emettendo titoli di debito (gli interessi sono minori del livello dei prezzi). Secondo i calcoli dell’economista di Berkley Brad DeLong, grazie alla corrente dinamica del debito, gli Stati Uniti possono incorrere in un disavanzo primario del 2.3% del PIL mantenendo stabile il corrente livello di debito. Altro che crisi, altro che shut down si tratta proprio del momento di aumentare la spesa pubblica per aiutare l’economia. Per decenni l’economia neoliberale ha usato la matematica per provare la sua correttezza, pur eliminando apiacimento le variabili che non si sposavano bene con le risposte che si volevano. Ora, invece, si truccano e si nascondono i numeri per cercare di giustificare scelte di politica economica i cui fallimenti sono davanti gli occhi di tutti. Parafrasando Marx, miseria dell’ideologia. Nicola Melloni
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