Come spesso accade è il Corriere della Sera a dettare l’agenda politica della classe dirigente italiana. Pochi giorni fa, il quotidiano di via Solferino, ha rivelato il prossimo rientro di capitali dalla Svizzera. E va da sé che le varie commissioni si siano attivate subito: “fate presto”. Il timore è che, pur di fare in fretta, le cose si facciano male. Veniamo ai fatti: Svizzera e Italia si sono accordati, come già fecero più volte in passato, per il patteggiamento fiscale del rientro di capitali nel nostro Paese. Una trattativa chiamata ‘voluntary disclosure’ (collaborazione volontaria), iniziata il 25 luglio con una circolare dell’Agenzia delle Entrate, che prevede, in sintesi, per l’evasore l’esclusione del penale se accetta di pagare tutto il dovuto al fisco, giustificando la provenienza di quei soldi. Ma di che “portata” di evasione parliamo? Da quanto si apprende dai tecnici ministeriali, il target è mirato su patrimonida regolarizzare compresi tra i 500mila/1 milione di euro – che poi sono il grosso della popolazione, quel tessuto imprenditoriale, cioè, che magari abita e lavora vicino al confine svizzero e che, pur di non fallire, preferisce depositare i propri soldi oltre confine. Parliamo dunque di una cifra che si attesta intorno ai 50 miliardi. Non poco in effetti. Quanto “rischia” di pagare l’evasore pentito che, buon anima, decide di regolarizzarsi? Se i capitali esportati risalgono a dopo il 2005, la tassazione sarà del 50% (sanzioni comprese), mentre se i capitali risalgono a prima verranno tassati del 10-15% (c’è chi ipotizza il 12,5 o 20% -vedi articolo sul Sole 24 Ore di mercoledì 22 Gennaio 2014). <<L’aliquota inferiore si spiega con il fatto che, nel secondo caso, si tassa solo un capital gain presunto del 3% annuo che poi va compensato con le minusvalenze>> afferma Roberto Bagnoli sul Corsera. Resta se attestare queste minusvalenze (cioè diminuzione dellaredditività, o perdite) ad attività finanziarie o produttive. Non c’è da stupirsi se queste perdite coincidano con scommesse finanziarie sbagliate. Il che sarebbe interessante, visto che i soldi utilizzati per speculare in attività finanziarie sono stati oscurati al fisco italiano, lo stesso che oggi si dimostra molto più permissivo con chi è quasi certamente un grande speculatore piuttosto che con chi ha evaso somme per destinarle ad attività produttive o di risparmio. Parliamoci chiaro: in ballo ci sono, oltre ai 50miliardi “regolarizzabili”, altri 150 miliardi fuori controllo, di cui circa l’80% in Svizzera, il restante in altri paradisi fiscali. Con questa tecnica “light” di recupero capitali, l’evasore, precedentemente avvisato dalla banca elvetica con una letterina nella quale si “consiglia” l’autodenuncia, restituirebbe al fisco una più che minima parte [sopra le percentuali]. Facciamo due conti: rispetto a un’ipotetica cifra di 50 miliardi si recupererebbero 5/7 miliardi dieuro. Non poco, senza ombra di dubbio. In cambio, però, di regolarizzare – e quindi perdere la possibilità di recuperare – quei 45/43 miliardi. Bene. E i restanti 150 miliardi? Non se ne parla. Troppo complicato. Si dirà, già quando nel 2011 si parlò di un prelievo extra sulle aliquote degli scudi nell’era Tremonti-Berlusconi, molti capitali si volatilizzarono dalla Svizzera. Vero. Tuttavia non si capisce come si possa essere tanto morbidi con chi ha causato un danno erariale immenso. Ma la vicenda del rientro di capitali evidenzia anche altri aspetti curiosi, e taciuti ai più. Pare che il governo svizzero, come clausola per l’accordo, abbia preteso una sorta di canale privilegiato per le banche elvetiche nel nostro sistema bancario nazionale. Non difficile pensare, dato che è ormai noto a tutti quanto stia soffrendo il settore bancario italiano, che gli istituiti elvetici vogliano entrare nei consigli d’amministrazione o aumentare le loro quote nei capitali delle banche.Un investimento in vista della tanto annunciata – quanto imminente – iniezione di liquidità dalla Bce? Staremo a vedere. Intanto è certo, tuttavia, che il voluntary disclosure in salsa tedesca abbia fatto quanto meno un flop. Il volume dei depositi di contribuenti tedeschi in Svizzera prima dell’avvio del programma di recupero fiscale di Berlino ammontava a 120 miliardi di euro. Alla fine della disclosure il gestito da Ubs –uno dei principali gruppi svizzeri- è addirittura aumentato del 16,5%. 20 miliardi in più, circa. Sarà la fretta, sarà la voglia della politica di vantare un minimo recupero sull’evasione, ma questa operazione di rientro dei capitali rischia di diventare l’ennesima farsa che, nel lungo tempo, non farà altro se non peggiorare la situazione. Possiamo permettercelo?Oscar Strano
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