Marx e Keynes: ritorno al futuro per risolvere la crisi
 











Cosa penserebbero Marx e Keynes dell’economia finanziarizzata e marchiata da spaventosi tassi di disuguaglianza che caratterizza questo indigesto inizio di secolo? In quale misura potrebbero utilizzare le categorie analitiche da loro inventate per capire cosa sta succedendo al nostro mondo? Penserebbero di avere sbagliato tutto o troverebbero una qualche conferma, ancorché parziale, alle loro diagnosi e previsioni? Infine, se fosse loro concesso di dialogare, come giudicherebbero le rispettive teorie: le riterrebbero almeno parzialmente confrontabili o del tutto alternative e incompatibili?
Domande oziose, risponderebbe un qualsiasi economista: la scienza – già perché anche l’economia, in barba ai suoi imbarazzanti fallimenti, pretende ancora di essere una scienza – non si fa con i se né con gli esercizi di immaginazione, ma analizzando e interpretando numeri e fatti concreti. Eppure esiste almeno un economista che queste domande ha deciso diporsele e ha pure coraggiosamente tentato di rispondervi. Si chiama Pierangelo Dacrema, insegna Economia degli Intermediari Finanziari all’Università della Calabria ed ha appena pubblicato, per i tipi di Jaca Book, "Marx & Keynes. Un romanzo economico".
Romanzo economico!? Suona strano vero? Del resto, volendo mettere a confronto Marx e Keynes senza trascinare il lettore in una noiosissima successione di dissertazioni astratte sulle rispettive tesi, non restava altra via se non quella dell’immaginazione letteraria. Così Dacrema inscena un sorprendente colpo di teatro: immagina che questi due giganti del pensiero moderno, i quali mai avrebbero potuto incontrarsi nella realtà (il primo è morto nello stesso anno – il 1883 – in cui il secondo ha visto la luce), vengano richiamati in vita da una misteriosa entità (un qualche Dio? Almeno da questo punto di vista il libro di Dacrema potrebbe essere definito un thriller teologico) e fatti incontrare. Il fatale evento avviene una mattinadel 2015 (un futuro troppo vicino per inscrivere il romanzo anche nel genere fantascientifico) al tavolino di un bar parigino e i due, pur non essendosi mai visti, si riconoscono immediatamente, perché l’ente che è tornato a infondere in loro l’alito della vita li ha anche dotati di tutte le conoscenze relative alle rispettive biografie e opere, così come li ha anche aggiornati su tutti i dettagli della storia mondiale successiva ai loro decessi.
Inizia così un eccezionale sodalizio intellettuale: i due, malgrado le radicali differenze di carattere, esperienza ed estrazione sociale sembrano fatti per intendersi alla perfezione per cui, resisi conto di essere stati resuscitati per compiere una missione precisa – cioè collaborare per capire cosa ha inceppato la macchina dell’economia mondiale, trasformandola in un infernale dispositivo di miseria e di morte, e trovare la via per uscire dall’impasse – si mettono diligentemente al lavoro e, trascinati da una sorta di macchinaspaziotemporale che li catapulta di volta in volta nei centri nevralgici della grande crisi (da Parigi a New York, da New York a Londra, da Londra a Washington, da Washington a Dublino per approdare infine a Bangor), acquisiranno un po’ alla volta tutti gli elementi 1) per capire i rispettivi errori teorici; 2) per mettere a frutto e integrare le rispettive intuizioni corrette; 3) per incamminare il mondo sulla retta via (per compiere quest’ultima missione saranno trasformati in docenti di economia all’Università di Bangor, da dove inizieranno a diffondere il nuovo verbo).
Ovviamente Dacrema non poteva risparmiare al lettore ogni fatica: i dibattiti fra Marx e Keynes sono inevitabilmente ricchi di dettagliati riferimenti teorici, ma l’impegno per seguire le loro argomentazioni è addolcito dalla forma (una sorta di rielaborazione del genere dei dialoghi filosofici caro alla tradizione platonica) e dai siparietti psicologici che caratterizzano l’interazione – non sempre idilliaca –fra due figure tanto diverse (per costruire questa parte del libro, per certi versi la più succulenta, Dacrema deve avere macinato centinaia e centinaia di pagine biografiche sulle figure dei due protagonisti, e solo per questo merita il nostro plauso).
E la soluzione? In ossequio all’etica del critico di narrativa thriller, sarebbe meglio non svelare chi è l’assassino. Tuttavia, data la natura atipica del caso in questione, faremo un’eccezione, limitandoci a dire che i due detective sembrano alla fine concordi nell’attribuire al denaro – a un denaro “impazzito” e sviato dalla sua originaria funzione di medium dello scambio – la colpa della catastrofe che stiamo vivendo, per cui la seconda vita della coppia sarà destinata alla elaborazione dei principi di una economia post monetaria.di Carlo Formenti

 


 









   
 



 
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