Lettera Ue bacchetta l’Italia: "Non avete una strategia". A rischio 40 miliardi di fondi
 











Ricerca, innovazione, agenda digitale, competitività, sviluppo tecnologico, cultura: l’Italia non ha una strategia. E per questo la Commissione europea,nella lettera inviata al governo Renzi un mese fa e finora inedita, rimanda a settembre il piano italiano sui nuovi fondi europei, quelli relativi al settennato 2014-2020. Respinge al mittente cioè proprio l’Accordo di partenariato, quel documento chiave che ogni paese è chiamato a predisporre e che l’Italia ha inviato il 22 aprile scorso.
Indispensabile per sbloccare i singoli programmi, nazionali e regionali. Senza l’assenso di Bruxelles su questo particolare Accordo si ferma tutto, non arrivano i soldi e non si inizia a spendere. Una partita che vale per l’Italia 41 miliardi e mezzo in sette anni. Cifra che raddoppia con il cofinanziamento nazionale. E che ora dunque si congela. Con lo svantaggio per l’Italia di partire male e in ritardo sui fondi strutturali, pure stavolta. Ma Bruxelles ècategorica. Senza un piano e una strategia chiari ed efficaci, appunto, l’assenso non c’è. Anche perché - ed è questa la critica più forte - l’Italia ha gravi problemi di governance. La sua pubblica amministrazione non è efficiente e ben funzionante. E quando il motore è inceppato, non si può sperare che la linfa europea contribuisca a rivitalizzare il paese. Anzi i fondi rischiano di imboccare di nuovo la via, biasimata, degli incentivi a pioggia. Se non è una bocciatura, poco ci manca.
Capacità istituzionale - In 249 punti e 37 pagine, la Commissione europea analizza passaggio per passaggio tutto il piano italiano. E chiede ancora una volta al governo, come aveva raccomandato già in marzo, di rispondere sulla sua "capacità amministrativa". Se sia cioè migliorata e come, non tanto l’abilità e l’organizzazione tecnica nel gestire i programmi operativi. Quanto il quadro complessivo, la cornice in cui si muove questo fiume di denaro: la pubblica amministrazione. PerBruxelles l’Italia confonde tra "assistenza tecnica" e "capacità istituzionale". Se la prima si può ovviare con l’Agenzia per la coesione (istituita di recente e coordinata direttamente da Palazzo Chigi, sotto la supervisione del sottosegretario Graziano Delrio), per la seconda occorre "sostenere ampie e orizzontali riforme" della p. a. e "buone iniziative di governance". Di più, "il ruolo delle diverse istituzioni deve essere chiarito, definendo chi fa cosa, quando e come". Punto fondamentale, visto che si tratta di una spesa ad alta incidenza territoriale. Laddove però centro e periferia (assai parcellizzata) faticano a coordinarsi. Con i magri risultati di questi anni: soldi spesi tardi, male, in qualche caso persi in mille rivoli o restituiti al mittente.
Specializzazione intelligente - L’altro buco nero italiano, che la Commissione torna a denunciare come fa da almeno tre anni, è quello delle "Strategie di specializzazione intelligente". Una definizioneburocratica per intendere, in buona sostanza, un piano su come far ripartire il Paese (anche con i soldi europei), ora necessario più che mai, visto il ritorno dell’Italia in recessione. Non solo il governo non ha "per il momento" ancora adottato queste Strategie, "a livello nazionale e regionale". Ma risulta, agli occhi della Ue, deficitario praticamente in tutti gli ambiti che contano per il rilancio. Agenda digitale: "Manca una vera strategia". Innovazione: "Calo significativo dei fondi", ma "ciò non deve comportare un calo delle risorse per la ricerca industriale nel settore privato". Aziende: "Identificazione ancora insufficiente degli interventi strutturali necessari per riguadagnare competitività". Anzi, sottolinea Bruxelles, "regimi di aiuto "generalisti" orizzontali andrebbero evitati". E sostituiti da "un sostegno mirato alle imprese legato allo sviluppo tecnologico". A questo proposito, la Commissione si chiede anche che fine abbia fatto il piano Giavazzi per sfoltireincentivi alle aziende. E quale effetto abbiano avuto i crediti d’imposta concessi dai vari governi. Cultura: "Assenza di un progetto strategico e di cenni alle lezioni apprese dal periodo di programmazione 2007-2013". E cioè il disastro Pompei (fondi ancora non spesi pari a 105 milioni, rimessi da poco in pista) e 15 milioni restituiti. Addirittura, la Commissione ricorda che "il Fesr (uno dei fondi strutturali, ndr) non sostiene "eventi" culturali e turistici che sono considerati a basso valore aggiunto". Ma "solo interventi strutturali e che possono avere un impatto strutturale". Insomma, meno sagre e più patrimonio culturale da curare, restaurare, far fruttare. Infine, istruzione: "Le percentuali di risorse destinate all’abbandono scolastico per le regioni meno sviluppare (12%) e di partecipazione all’istruzione superiore (2%) sembrano basse rispetto alla portata dei problemi in queste aree".
Programmi a rischio - Il governo Renzi dovrà rispondere su questi ealtri punti. Ma è chiaro che la tirata d’orecchie non fa piacere, specie in un momento non proprio brillante per l’Italia sul fronte dei risultati economici. Se la Commissione da una parte dà pur adito all’esecutivo di voler accentrare, per meglio fluidificare, la gestione dei fondi europei - anzi si dice "favorevole al rafforzamento degli interventi gestiti dalle amministrazioni centrali" - dall’altra parte "sospende le sue considerazioni in attesa di una valutazione approfondita degli obiettivi" su tre proposte: legalità, aree metropolitane e cultura. In particolare, ritiene che l’attuazione del programma nazionale sulle Città metropolitane "appare a rischio, in considerazione della architettura complessa e dei rischi di sovrapposizione con programmi regionali". Insomma troppa confusione, tra piani nazionali per città metropolitane che ancora non esistono e piani regionali per città non metropolitane, spesso assai piccole (5 mila comuni italiani su 8 mila hanno meno di 5 milaabitanti). La domanda di Bruxelles sembra essere: ma ce la fate?
Cronoprogramma - Tra l’altro, osserva ancora la Commissione, in molti casi non ci sono proprio le premesse per spendere. Mancano o sono insufficienti le "condizioni ex ante". In particolare, considera "solo parzialmente soddisfatte", tra le altre, le condizionalità in materia di "agenda digitale, gestione delle acque, trasporti, politiche del lavoro, abbandono scolastico, sistemi di controllo sugli aiuti di Stato". Per questo chiede al governo italiano di "fornire un cronoprogramma plausibile per l’adozione dei vari provvedimenti". E "si riserva di valutare l’effettivo soddisfacimento delle condizionalità quando tutte le informazioni saranno disponibili". Altra bacchettata. Infine un richiamo pure sul "gran numero" dei soggetti chiamati ad attuare questo Accordo di partenariato. Può anche andar bene, ma Bruxelles vorrebbe che fossero esplicitati "i criteri per la selezione dei partner". Anche quitroppa superficialità.
Mezzogiorno in affanno - È chiaro che una pagella siffatta fa male soprattutto alle regioni meridionali, destinatarie del 71,1% delle risorse messe a disposizione dall’Europa, come calcola il Servizio politiche territoriali della Uil. Un Sud Italia che non sempre è stato messo in condizione, dalla politica locale e nazionale, di lavorare bene. Ne parlerà forse Renzi con gli amministratori delle città che visiterà a partire da domani.Valentina Conte,repubblica









   
 



 
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