Anche il Fondo Monetario dalla parte dei gufi
 











Il Fondo monetario internazionale la definisce “stagnazione secolare”. Renzi la chiamerebbe “gufata”. E’ lo scenario più cupo che potrebbe verificarsi se le stime sulla crescita europea dovessero (ulteriormente) peggiorare. A delinearlo è il World economic outlook.
Nelle previsioni ufficiali, i tecnici dell’Fmi stimano una crescita media dell’area euro dello 0,8% nel 2014 e dell’1,3% nel 2015. Una stima al ribasso rispetto alle precedenti, ma rosea se confrontata con un’altra prospettiva.
La pur debole crescita europea si concretizzerà se i Paesi ridurranno le tasse, grazie “alla politica monetaria accomodante” della Bce e al calo dei tassi sui titoli di Stato. Ma se tutto questo non dovesse verificarsi? Gli economisti del Fondo monetario se lo sono chiesto. Ne è venuto fuori uno scenario che farebbe impallidire anche i volatili più pessimisti: crescita al rallentatore,  bassa inflazione per cinque anni, consumi e investimenti apicco.
Un disastro che si verificherebbe senza catastrofi nucleari, ma semplicemente con “il protrarsi della debole domanda interna”, della scarsa propensione al rischio e dell’alta (quando possibile) propensione al risparmio. In sostanza: se non si tornerà ad avere fiducia e spendere, il Pil ne risentirà, la crescita resterà sotto il 2% almeno fino al 2019. E l’occupazione tornerà a calare.
Perché questo scenario si verifichi non occorrono crolli del prodotto interno lordo di 2 o 3 punti a livello globale. Con un’inflazione che resterebbe al di sotto dello 0,8% per cinque anni, basta una riduzione dello 0,5% rispetto alle “stime base” del World economic outlook. “Stime base” non certo infallibili, come dimostra il caso italiano: le proiezioni di luglio ipotizzavano una crescita dello 0,3%. Quelle di ottobre un calo dello 0,2%. Mezzo punto di scarto in appena tre mesi.
Sono tutte condizioni definite “inattese”. Ma che intanto l’Fmi non esclude. A incupire ancor di piùl’orizzonte, c’è il fatto che si tratta di cifre riguardanti tutte le economie avanzate, dagli Usa a Gran Bretagna e Giappone. Se restringiamo il campo all’Europa e all’Italia, i numeri sarebbero ancora peggiori. Perché Washington e Londra possono contare, già quest’anno, su un solido segno positivo (+2,2 e +3,2%), mentre il Pil dell’area euro crescerà appena dello 0,8% e quello italiano sarà ancora sotto zero. E perché l’Ue convive ancora con due rischi molto tangibili che nelle altre aree del mondo sono più miti o del tutto inesistenti.
Per l’organizzazione presieduta da Christine Lagarde, c’è una probabilità su tre che l’area euro torni in recessione (ad aprile era una su cinque) e precipiti in deflazione entro la prima metà del 2015. Un altro dato dal paragrofo dei gufi? No, questo fa parte del capitolo “rischi nel breve periodo”. E l’ornitologia non c’entra nulla. Paolo Fiore,l’espresso

 









   
 



 
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