Ue, l’Italia deve fare “sforzi aggiuntivi” per rispettare i requisiti del Patto di stabilità
 











Alcuni tagli (supplenze e collaboratori) coerenti con la riforma della scuola. Altri decisamente più sanguinosi, come quelli al Fondo per le università statali e per gli enti di ricerca. E’ il prezzo da pagare per ottenere gli investimenti promessi da Matteo Renzi per l’attuazione del piano “La buona scuola”: un miliardo nel 2015, poi tre negli anni a seguire. Il saldo della legge di Stabilità per quel che riguarda il ministero dell’Istruzione è positivo. Ma la coperta rischia di essere comunque troppo corta per realizzare tutti gli ambiziosi obiettivi fissati dal governo.
Paradossalmente, è proprio il capitolo degli investimenti quello a convincere di meno. L’articolo 3 istituisce il fondo da cui la riforma dovrà attingere. Considerando che l’anno scolastico comincia a settembre, per il 2015 sarà sufficiente un solo miliardo, mentre dal 2016 ce ne saranno tre. “Promessa mantenuta”, aveva dichiarato il ministro Stefania Giannini dopo laconferenza stampa del premier. Se non fosse che i conti non tornano. Non del tutto almeno. Uno dei punti principali del piano è l’assunzione di 150mila precari, per rafforzare l’offerta formativa e creare gli organici funzionali. La stabilizzazione viene prevista anche nella manovra. Ma tra gli obiettivi della riforma c’erano pure il potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro e la connessione digitale degli istituti. Basteranno tre miliardi per fare tutto? Difficile, almeno stando alle parole del governo: sono proprio i tecnici del ministero a ritenere quell’importo sufficiente solo per le assunzioni. Mentre il progetto di inserimento nel mondo professionale viene quantificato in almeno cento milioni di euro. Ormai bisogna dare per scontato che la riforma delle carriere dei docenti in senso più meritocratico verrà fatta a costo zero. Ma anche aggiungendo dieci milioni per la digitalizzazione e altrettanti per l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzionee di formazione (Invalsi), soldi peraltro stornati da altri capitoli, all’appello sembra mancare qualcosa.
Poi vengono i tagli. La sforbiciata sarà di circa 250 milioni nel 2015, che raddoppiano a partire dal 2016. È saltata all’ultimo la norma per le commissioni interne all’esame di maturità, che avrebbe garantito un risparmio di 140 milioni, ma viste le affermazioni del ministro Giannini probabilmente il provvedimento è solo rimandato. Verranno ridotte le supplenze brevi, del personale Ata (circa 65 milioni di euro a regime) e soprattutto dei docenti (gli incarichi più immediati saranno coperti dagli organici funzionali). Comunque a questa voce il risparmio stimato è di circa 135 milioni e non di tutti i 600 che lo Stato ha speso fino a oggi per i contratti a tempo, a dimostrazione che le supplenze non potranno scomparire del tutto. Particolarmente colpito il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, che viene ridimensionato di 2mila unità per 50 milioni di risparmio. Sullascia della riforma della pubblica amministrazione c’è una stretta anche su esoneri, comandi e distaccamenti, che porterà in dote complessivamente 140 milioni di euro. In più c’è qualche sforbiciata qua e là a scuole e enti privati. Per le non statali, però, viene stanziata una spesa di 200 milioni di euro, una cifra in linea con quelle degli scorsi anni che fa chiudere sostanzialmente in pareggio il saldo delle paritarie.
I risparmi appaiono coerenti con il piano di riforma annunciato dal governo. Qualche eccezione dolorosa, però, c’è. Se il Fondo per l’offerta formativa (prosciugato per ulteriori 30 milioni di euro) potrà essere rifinanziato con il blocco degli scatti di carriera fino al 2018, lo stesso non può dirsi per università e ricerca. Il Fondo di finanziamento ordinario per gli atenei viene ridotto di 34 milioni di euro, quello per gli enti di ricerca di 42 milioni: in entrambi i casi un importo considerato “pari all’incremento di efficienza atteso nell’acquisto di beni eservizi”. Ma rischia di trattarsi di tagli lineari, tant’è vero che il Cun (Consiglio universitario nazionale) ha già espresso le proprie rimostranze al governo, ricordando i numerosi tagli subiti negli ultimi anni. E dire che solo pochi mesi fa l’Unione Europea aveva chiesto all’Italia più attenzione al capitale umano, con maggiori finanziamenti per la qualità dell’istruzione superiore e della ricerca. Chissà se Bruxelles avrà qualcosa da ridire a riguardo.ilfatto

 









   
 



 
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