Se l’Italia e la Francia non procederanno con le riforme annunciate si arriverà "a un inasprimento della procedura sul deficit". E "se alle parole non seguiranno i fatti, per questi Paesi non sarà piacevole". Lo ha detto il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, intervistato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, parlando quindi a una platea in Germania e mostrando il pugno di ferro. Il richiamo arriva all’indomani delle riunioni di Bruxelles con i ministri delle Finanze: l’Eurogruppo ha espresso apprezzamento per i programmi dell’Italia, chiesto che alle parole seguano i fatti e che si attuino misure efficaci per centrare l’obiettivo di riduzione del deficit strutturale. Sull’importanza delle riforme è intervenuto anche Jyrki Katainen, il vicepresidente della Commissione Ue con le deleghe a Crescita e Competitività, secondo il quale da solo il Piano Juncker di invesitmenti non basta, "servono le riforme oppuretutto sarà inutile. Se restano ostacoli burocratici agli investimenti privati, se l’amministrazione è lenta, se ci sono incognite non finanziarie, il nuovo fondo Efsi potrà far poco". In un’intervista alla Stampa ha spiegato che vanno rimosse le barriere e gli Stati devono far ordine in casa. "La risposta non è nel creare nuovo debito - dice in un’intervista alla Stampa - ma nel focalizzarci sulle riforme che servono a stimolare la ripresa". Il caso Roma e i rischi del governo,affacciato sul precipizio di Roma, città del malaffare trasversale, Renzi si è reso conto di dover dare un segnale chiaro e forte. Fino a ieri le iniziative erano un po’ all’acqua di rose: il commissariamento del Pd cittadino, la promessa che "i ladri saranno cacciati". Giusto ma insufficiente, come qualcuno gli aveva fatto notare. A Roma non è in corso una bega di potere locale e l’intreccio politica-malaffare non riguarda la cronaca minore. In gioco c’è anche la credibilità di un esperimento politicocomplesso quale è il "renzismo". Ha poco senso stabilire una graduatoria fra lo scandalo del Mose a Venezia e le imprese della "mafia all’amatriciana" a Roma: già questa definizione, che pure è stata usata, tende a derubricare la vicenda, a farne un episodio su cui si può anche sorridere. Non è così e il premier, dopo qualche esitazione, sembra aver compreso che non è un episodio e soprattutto che non c’è niente da ridere. Nel momento in cui si prepara a una nuova tappa del lungo confronto con Angela Merkel, è evidente che il presidente del Consiglio non può lasciare dietro di sé nemmeno il sospetto di debolezza verso la corruzione all’ombra del Campidoglio. In un certo senso l’iniziativa politica contro la mafia romana (non solo contro "i ladri", genericamente intesi) diventa la priorità assoluta, prima ancora delle riforme istituzionali. O meglio, le riforme sono il segno di uno Stato che vuole rinascere dalle sue ceneri e intende ricostruire se stesso dalle fondamenta. Ma un taleobiettivo, pur essenziale, ha tempi lunghi. Prima che i cittadini tornino ad aver fiducia nelle istituzioni, altri scandali potranno verificarsi in quella sorta di terra di nessuno in cui la malavita si sovrappone alla pessima politica. Ne deriva che il richiamo alle riforme da solo non basta. Non a caso Renzi ha posto l’accento sul momento repressivo, sulla volontà di sradicare la pianta velenosa. Si dirà che annunciare pene molto severe non è un grande deterrente in un paese dove la giustizia funziona poco e male. Qualcuno potrebbe leggervi, più che l’inizio della riscossa, una mossa quasi disperata. Eppure era quello che in questo momento andava fatto per mandare un messaggio positivo all’opinione pubblica. È chiaro che non può bastare, ma è un primo passo indispensabile. Prima che prenda piede l’idea assai pericolosa, ma non infondata, che nulla è cambiato rispetto ai tempi di Tangentopoli. Renzi è ancora percepito come una figura non compromessa e non corrotta dal potere. Èbene che sfrutti questa condizione che non durerà in eterno, come i sondaggi cominciano a testimoniare. Del resto, non è un mistero che il governo è avviluppato in una serie di nodi irrisolti. La condizione economica è sempre più difficile e i margini di manovra, soprattutto a livello europeo, sono esigui. Le riforme, ancora loro, sono quasi ferme in Parlamento. Prima che la gente avverta il cambiamento, passerà troppo tempo. Su un tale sfondo, il buco nero di Roma rischia di essere il detonatore di un fallimento insostenibile della politica. È probabile che il presidente del Consiglio avverta l’esigenza di un colpo d’ala che, partendo dalla capitale, abbracci un campo più vasto, ossia l’intera attività del governo. Forse non siamo alla "fase due" del renzismo, ma certo lo slancio dei primi mesi è in via di esaurimento. Sotto questo aspetto, lo scandalo romano costituisce un drammatico allarme. Al tempo stesso rappresenta la più classica delle opportunità per un giovane politicodinamico e spregiudicato. Quindi il colpo d’ala è realmente urgente, a patto di non sbagliare le mosse. Ma in fondo è qui, sul piano di una moralità non solo declamata e retorica, che il premier può dimostrare in concreto qualcosa a una pubblica opinione stanca di parole e tentata da soluzioni insondabili.Stefano Folli,repubblica
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