Gli economisti? l’altro giorno, una via di mezzo tra il mago Silvan e un branco di portasfiga; ieri, troppo arroganti, si credono Newton. Le banche? troppo grandi, non si occupano del Paese, vogliono mettere le briglie al governo, si infilano nella politica; e i banchieri? anche peggio, soprattutto se si chiamano Corrado Passera (Gruppo Intesa-SanPaolo) e Alessandro Profumo (Gruppo Unicredit-Capitalia): fanno solo i loro interessi, non finanziano le imprese, e soprattutto - orrore finanziario gravissimo ed errore politico imperdonabile - non hanno sottoscritto i Tremonti-bond con cui (con la sola dichiarazione) il ministro dell’Economia è convinto di aver salvato l’economia italiana dalla crisi e in ogni caso di essere riuscito a evitare la catastrofe. Ma sia chiaro che siamo di fronte al gioco delle tre carte, perché se da un lato Tremonti bacchetta, dall’altro Silvio Berlsconi ricuce lo strappo coi banchieri - di cui, non si sa mai, si puòsempre aver bisogno - come fa da un po’ di tempo su tutti i fronti, una volta aizzando Vittorio Feltri e un’altra smorzando le polemiche che costui suscita contro Gianfranco Fini, il nazional-alleato più forte ma meno allineato dei bossi-leghisti. Certo è difficile essere d’accordo con le banche, soprattutto con i grandi gruppi che davvero condizionano la vita delle aziende, in particolare le più piccole senza garanzie né "santi in paradiso", e possono intervenire pesantemente sugli assetti del Paese. Ma ancora più difficile è stare dietro alla sfilza di dichiarazioni e di provocazioni che il ministro Tremonti ci propina ogni giorno, con quella vocazione a bacchettare chiunque non la pensi come lui, facendo passare per imbecilli anche personaggi che si limitano a nutrire e ad esternare qualche dubbio, sul filo del comune buonsenso, prima che sulle "regole" - mai avviate davvero, e con scarsi convincimenti reclamate nei consessi internazionali dal capo dell’economia italica - esulle teorie economiche, tutte saltate proprio sulla "bomba atomica" della crisi da cui non siamo affatto usciti, tant’è che proprio Tremonti continua a blaterare sulla necessità di una exit strategy comune. Comune a chi? al sistema bancario-industriale nazionale, che non riesce a mettersi d’accorso, ognuno presumendo la priorità delle proprie disgrazie? alle scelte comunitarie in materia di strategie economico-produttive di un’Unione europea mai apparsa così indecisa e disunita, come ha fatto rilevare appena due giorni fa, in videoconferenza con Cernobbio, il Presidente della Repubblica? o comune al sistema economico-finanziario globale, che in ogni angolo del mondo dopo aver provocato la crisi non sa come scrollarsela di dosso sul serio? E’ vero che ogni volta che Tremonti va all’assalto delle banche trova nuovi sponsor, e riesce a scatenare l’entusiasmo e l’offensiva di chi ha bisogno di un capro espiatorio, tanto è cattivo il rapporto dei comuni cittadini, peggio ancora dichi ha una modesta attività, con il mondo del credito, pronto a strangolarlo con i suoi capestri, costi, condizioni aberranti e tutt’altro che trasparenti. Mondo delle banche e degli intermediari finanziari che di fronte alla crisi ha rivelato da un lato tutta la sua fragilità (e incompetenza) e dall’altro la vocazione a scaricare sull’utente finale i costi dei propri errori (e imbrogli) come peraltro era già stato dimostrato molti anni fa quando in Italia esplose il caso Parmalat, i cui investitori e piccoli risparmiatori truffati si stanno ancora leccando le ferite. Ma è davvero incredibile che proprio il ministro dell’Economia vada all’attacco delle banche perché non supportano le scelte del governo in materia di sviluppo capitalistico, a loro rischio e pericolo - nello specifico contesto anche a rischio di fallimento, se non ci fosse la banca centrale e la vigilanza a mettere i paletti - se si esclude la minizattera di salvataggio lanciata con i Tremonti-bond, così costosi peril sistema da non essere considerati uno strumento utile; e infatti non sono stati sottoscritti, rivelandosi niente di più che una boutade , la penosa réclame di un prodotto difettoso. Ieri sul Corriere Massimo Mucchetti scriveva: «Secondo uno studio riservato di Prometeia nel giro dei prossimi tre anni sono attese perdite su crediti per 50 miliardi»; l’atteggiamento del governo è dunque incredibile e ridicolo, dato che «il costo dei Tremonti-bond è diventato molto alto - scrive ancora Mucchetti - con i tassi a breve vicini allo zero, che consentono alle banche di finanziarsi altrimenti e di evitare di doverli convertire in azioni, con la conseguenza di trovarsi lo Stato in casa, se non riuscissero a rimborsarli il 30 giugno 2013»; e dato che le banche sono a loro volta imprese "private", e non infrastrutture finanziarie a supporto delle scelte del governo (che non sono tenute a condividere), a meno che il ministro dell’Economia non decida di "rinazionalizzarle".
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