Negli ultimi anni si è assistito ad un significativo aumento di interesse per gli studi marxiani: al riguardo, molto intenso è stato il dibattito nell’area anglosassone, con particolare riferimento al Capitale e sulla base di un confronto serrato con la dialettica hegeliana. Così può venir utilizzata l’espressione "neo-marxismo dialettico" per denotare l’insieme delle posizioni presenti. All’interno del quadro indicato si inscrive il volume collettaneo, curato da Riccardo Bellofiore e Roberto Fineschi, Marx in questione (La Città del Sole, Napoli 2009), con saggi, oltre che dei curatori, di G. Reuten, C. J. Arthur, M. Campbell, P. Murray, T. Smith, F. Moseley. Il libro presenta una cernita di testi dell’International Symposium on Marxian Theory (Ismt), un gruppo di economisti e filosofi. Occorre precisare che, fra gli studiosi indicati, esistono punti di contatto, ma anche divergenze significative. In ogni caso, due sono i principali nuclei teoricicomuni in rapporto al Capitale : la dimensione monetaria del ragionamento, e la rilevanza della dialettica, in primis di matrice hegeliana. Per quanto riguarda il primo aspetto, seppur a partire da una sostanziale condivisione della trattazione marxiana del valore, emergono differenze interpretative in merito alla questione del monetarismo, e alla presenza o meno, in Marx, di una struttura macromonetaria. Secondo Moseley, «la teoria marxiana della distribuzione del plusvalore è coerentemente basata, nelle varie stesure del Capitale , sulla premessa fondamentale che l’ammontare complessivo del plusvalore è determinato precedentemente ed indipendentemente dalla divisione di esso in parti individuali». Bellofiore non condivide tale approccio: se in Moseley il capitale "totale" non rappresenta altro che la somma dei capitali individuali, il discorso marxiano è invece sorretto da un processo circolare. Infatti, a suo avviso, «i "valori" non soltanto sono costituiti monetariamente,attraverso l’ante-validazione del finanziamento bancario…, essi sono anche l’esito di un processo sociale, la concorrenza infrasettoriale che definisce il tempo di lavoro socialmente necessario». I saggi presenti attraversano l’intero itinerario marxiano dei tre libri del Capitale : temi che ricorrono con particolare frequenza sono la questione del plesso valore-denaro (Primo libro), e l’annosa problematica della trasformazione dei valori in prezzi (Terzo libro). Invece, l’articolo di Smith indaga la «relazione capitale/consumatore nella produzione snella» a partire da un’analisi determinata del Secondo libro: «la produzione snella può essere vista come un tentativo di riduzione del tempo di rotazione del capitale, in risposta alla crisi del capitale». In ogni caso, secondo Smith i mutamenti intercorsi negli ultimi decenni non comportano il venir meno della sussunzione reale del lavoro sotto il capitale. Campbell si concentra in particolare sulla distanza della prospettiva marxiana siadall’economia neoclassica sia dall’economia istituzionalista: «gli uomini non sono soggetti della loro vita economica in quanto imbrigliati nella creazione di qualcosa senza fine che è indifferente ai loro bisogni». Anche Murray insiste sui limiti dell’economia politica classica e di quella neo-classica, con il loro «empirismo ordinario», incapace di cogliere la realtà complessa della forma sociale, e quindi di distinguere fra valore e ricchezza, tra lavoro produttivo di valore e lavoro produttivo di ricchezza. Il secondo nucleo teorico del libro è costituito dal rapporto della trattazione marxiana con la dialettica hegeliana. Seppur con alcune differenze, gli autori sono accumunati dalla convinzione della centralità del riferimento alla Scienza della logica per la comprensione del Capitale . Quest’ultimo partirebbe dagli elementi più semplici ed astratti (merce, valore, denaro) per pervenire a quelli più complessi e concreti, come sottolinea anche Fineschi nel suo saggio. Arthurintende dare vita ad una «ricostruzione dialettico-sistematica delle categorie del Capitale di Marx»: prendendo in considerazione la prima sezione del primo libro, vi ravvisa un modello teorico riconducibile alla logica hegeliana. Anche Reuten insiste sull’importanza dell’impostazione indicata, sottolineando però che i primi tre capitoli del primo libro si rivelano piuttosto deludenti da tale punto di vista, in quanto si fondano, più che su una vera e propria dialettica sistematica, su una sorta di astrazione riduttiva. Rimane un interrogativo di fondo in merito a tale interpretazione dialettico-categoriale del Capitale , fornita, peraltro con serietà analitica, dal neo-marxismo anglosassone: non c’è il rischio di un occultamento della dimensione politica, ancor prima che filosofico-politica, del problema? Si tratterebbe di far emergere non solo l’idea della rilevanza politica dell’impianto del Capitale , ma, più radicalmente, la convinzione secondo cui le situazioni politiche,nella loro irriducibilità a moduli dialettici preesistenti, irrompano continuamente e violentemente nel discorso marxiano. Da questo punto di vista, la soggettività di classe non viene mai "catturata" fino in fondo da uno schema categoriale complessivo: d’altronde, come Marx mette in luce nel Poscritto alla seconda edizione del Capitale , l’economia politica classica «può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente».
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