La corsa di Geronzi a Generali:la grande impresa si arrocca
 







Anubi D’Avossa Lussurgiu




Se tutto si realizzerà come descritto, sarà davvero «una bomba» come l’ha definita già il vicedirettore di Repubblica , Massimo Giannini, anticipando per filo e per segno ciò che accadrà: ossia, in buona sostanza, l’ascesa per marzo alla guida del colosso assicurativo Generali di Cesare Geronzi, cui subentrerebbe a Mediobanca per conto del "salotto buono" Marco Tronchetti Provera, il tutto con il contributo di Francesco Gaetano Caltagirone che otterrebbe l’Acea e con la benedizione di Silvio Berlusconi.
Un "domino" che conserverebbe quello complessivo con cui lo stesso "salotto buono" del capitalismo in Italia ha finora consolidato l’intreccio Generali - cioè, appunto, assicurazioni - , Mediobanca - cassaforte finanziaria - , maggiori banche commerciali a partire da Intesa-San Paolo, grande industria e grandi costruttori e immobiliaristi (più Rcs, cioè il Corriere della Sera , il cui "patto di sindacato" è la casa comune di questi soggetti). Conla novità, però, di garantirsi per la prima volta il pieno controllo dell’intreccio medesimo: la "campagna di primavera" di Geronzi, infatti, è destinata a chiudere definitivamente l’era del francese Antoine Bernheim, 83enne ex amico-nemico di Enrico Cuccia e suo effettivo erede nella blindatura finanziaria del "sistema Italia".
Quel che Giannini ha spiegato benissimo, con l’esclusiva di ieri, è cosa si conti di fare in questa maniera e, soprattutto, chi conti di farlo: il «Salotto Buono», appunto, cioè la gran parte del sistema della grande impresa del Paese, che mira ad una sorta di "arrocco" per perpetuarsi, nel pieno della crisi. E lo farebbe usando due "assi" come Geronzi e Tronchetti, il primo fortissimo e il secondo molto meno ma accomunati entrambi da guai giudiziari. Come quello che Geronzi deve affrontare ancora per i crack Parmalat, Eurolat e Cirio. E come quello dei dossier illegali sui quali Telecom e Pirelli ieri sono andate a patteggiamento. Come Giannini haillustrato, il passaggio del banchiere Geronzi alla testa delle assicurazioni Generali significherebbe per lui stesso l’uscita dai vincoli della legge bancaria, incompatibili con eventuali condanne, e l’ingresso in un codice più «lasco»; per Tronchetti trasferirsi a "Piazzetta Cuccia" significherebbe, a sua volta, fuoriuscire da una carriera d’impresa segnata disastrosamente.
Quel che Giannini spiega molto più vagamente, invece, è per quale ragione proprio adesso la grande imprenditoria italica sente il bisogno di chiudere questo "cerchio", convergendo con gli interessi privati di Geronzi e Tronchetti. Cioè non spiega come, concretamente, la crisi l’induca a questo passo. Dice solo che «questo avrebbe deciso il patron di Mediobanca, insieme agli amici del Salotto Buono. Così il primo eviterebbe contraccolpi di natura giudiziaria, e i secondi preverrebbero fastidi di origine finanziaria». Perché quest’ansia, però? C’è da dire che, come proprio ieri le agenzie hanno diffuso, il 2010sarà l’anno della resa dei conti dell’indebitamento pubblico, aggravato ancor più in questa fase precisamente dalle provvidenze ingaggiate per il "salvataggio" del mercato e in concreto di banche e industrie (per quanto i licenziamenti e le dismissioni giungono ora a saldo a loro volta); e anche dell’indebitamento privato, che se in Italia ammonta a "soli" 47 miliardi di euro coinvolge però imprese molto meno "credibili", per il rinnovo dei crediti, di quelle tedesche, francesi e britanniche. Non solo nella nebulosa delle "Pmi": ma anche e soprattutto al livello delle "grandi". Che, come ancora Giannini illustra, contano di affrontarlo nell’articolazione Mediobanca-Generali con la cessione da parte della prima e di Caltagirone delle proprie quote nella seconda al colosso assicurativo "monstre" francese di Axa; e addirittura con l’ipotesi d’un maxi-ingresso nel Leone di Trieste degli americani di Aig. Praticamente la risposta alla crisi finanziaria generata dalla bolla assicurativa, permezzo di chi quella bolla ha alimentato... Sotto questo ombrello, si ricorrerebbe alla messa a disposizione della liquidità di Caltagirone, cui Suez-Gdf cederebbe appunto Acea in nome dello scambio ottenuto da Axa. Giannini, giustamente, vi rintraccia la movenza originaria della scelta di Pierferdinando Casini sul "forno" Pdl, con l’appoggio a Polverini nel Lazio - dove l’affare Acea si concluderebbe.
C’è di più, però. E riguarda in verità la partita principale, a proposito del credito: ossia quella con lo Stato. La documentazione di Giannini ci dice che Silvio Berlusconi benedice l’operazione, forte dell’attivismo diplomatico e relazionale di Gianni Letta e anche del piccolo particolare d’aver rafforzato notevolmente le quote Fininvest e Mediolanum in Mediobanca. Ma consentire al "salotto buono" di chiudere una partita del genere - che si completa con il controllo simultaneo, di fatto, di Intesa San Paolo, Corsera e l’immobiliare Ligresti - non significa solamente ingraziarsi unsuo allineamento permanente: significa anche esporre i conti pubblici all’altrettanto permanente salvaguardia del "salotto" medesimo da «fastidi». Sarà forse anche per questo che Giulio Tremonti è tornato ieri, con la scusa del dibattito di Davos, ad attaccare le banche e, soprattutto, i banchieri?









   
 



 
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