Cosa ha a che fare la matematica con il mercato? Quante volte abbiamo sentito ripetere che la finanza è un gioco e che nelle borse tutto è appeso a quel sottile filo tra previsioni e azzardo? La teoria dei giochi non è forse uno dei filoni di ricerca della matematica? La correlazione c’è. Lo dice il premio Nobel per la fisica Sheldon Glashow: «Le crisi economiche nascono perché la gente non conosce la matematica». Glashow ha aperto la prima sessione newyorkese del Festival della matematica, quest’anno alla terza edizione sempre sotto la direzione scientifica del logico matematico Piergirgio Odifreddi. La seconda parte prende invece il via a Roma, all’auditorium come di consueto, da domani fino a domenica. La crisi economica è uno dei fili conduttori della kermesse. Si può salvare il mondo con i numeri? Può la matematica mettere ordine nel caos della speculazione di finanza? A New York - tra l’Istituto italiano di cultura e l’Italian academydella Columbia University - sono sfilati premi Nobel e matematici con il pallino dell’economia, da Daniel Kahneman con le sue teorie sul ragionamento statistico all’inventore dei frattali Benoit Mandelbrot - che non a caso si è concentrato sul disordine dei mercati. E poi, il Nobel per l’economia John Nash e il matematico Harold Kuhn, accomunati proprio nella ricerca sulla teoria dei giochi. Del Nobel per la fisica Shelly Glashow s’è detto. La crisi economica è una crisi di sistema. E’ partita dalla finanza, poi si è estesa ai meccanismi di mercato e alla produzione materiale. L’aspetto più curioso è che questa crisi pone interrogativi anche a una disciplina come la matematica apparentemente distante dai fenomeni storici e sociali. «C’è stata una prima sessione del festival a New York - racconta Odifreddi - Benoit Mandelbrot, l’inventore dei frattali, ha dimostrato che l’andamento dei mercati e delle borse è un andamento caotico. Gli economisti che pretendono di poter fareprevisioni sono in realtà, dal punto di vista scientifico, dei ciarlatani. L’unica idea che la matematica può darci delle borse è "statene alla larga, tenetevi ivostri soldi perché lì li perdete di sicuro"». La granitica certezza di questi anni, che la finanza fosse una scienza esatta, cola a picco. «L’unica certezza è che dalla finanza come scienza si è passati alla guardia di finanza... Scherzi a parte, qui a Roma avremo tre premi Nobel, tra cui John Nash e Thomas Schelling, entrambi premiati per la teoria dei giochi che è utilizzata per spiegare le varianti dei comportamenti in situazioni di conflitto». Una teoria, quella dei giochi, che ha avuto un’applicazione feconda proprio nella "modellizzazione" delle scelte possibili all’interno del mercato - e non a caso John Nash è premio Nobel per l’economia. «Ci sono teorie matematiche, quelle dell’equilibrio in particolare, che si sono fatte carico di mettere ordine nella dinamica dei mercati. Negli anni Settanta ci fu un Nobelassegnato a Kenneth Arrow», quello del teorema dell’impossibilità. «Quelle teorie hanno dimostrato che, in particolarissime condizioni, mai verificate nella pratica, si può raggiungere un equilibrio nelle forme in cui poteva immaginarlo Adam Smith quando teorizzava la "mano invisibile". Gli agenti individuali potrebbero fare i loro comodi ma alla fine, in un modo o nell’altro, l’intera società ne beneficerebbe. Ma poi sono venuti altri studi, in particolare negli anni 90. E’ stato dato, ad esempio, il Nobel a un critico della globalizzazione. Mi riferisco a Stieglitz che ha dimostrato tutti i limiti di quel modello matematico. Insomma se c’è qualcosa che la matematica oggi può fare per l’economia, è mostrare le magagne di quel supposto sistema perfetto piuttosto che cercare di corroborarlo sul piano scientifico. Oggi sappiamo per via matematica che la mano invisibile è una pia illusione. Tutt’al più può funzionare qundo ci sono due merci sul mercato. Ma se ce ne sono già tre allorasiamo fritti. Così come, sempre dal punto di vista matematico, l’unico gioco sensato in borsa è non giocare. Qualcosa del genere potremmo dirla anche per la democrazia. Lo stesso Arrow, sempre lui, l’inventore della teoria degli equilibri, diceva in sostanza che la democrazia non esiste, che le condizioni che questa dovrebbe soddisfare insieme non possono stare. La matematica serve a far cadere le nostre illusioni». Equilibrio imperfetto, anzi di più, gioco conflittuale. Con questa prospettiva aprirà il festival Robert Mundell, anche lui Nobel per l’economia - inventore dell’euro, guarda caso. Quand’è che conviene avere una moneta unica transnazionale? E quando, invece, monete nazionali diverse? Mundell che ha dedicato gli studi a questo interrogativo la prenderà da un’altra angolazione con una relazione su "Matematica, economia e scacchi". Insomma, guai a pensare che la matematica sia soltanto un noioso esercizio di astrazioni mentali. Il mondo quotidiano è tutt’altro che assente.Anche a prenderla dal punto di vista di un gioco, quello degli scacchi, si incontra - sostiene Mundell - il «processo decisionale», quello che porta alla mossa. Lo scacchista è un po’ come l’economista che deve programmare una strategia a partire dalle risorse senza mai poter abbandonare uno stato di conflitto. Il giocatore deve tenere la bussola della tattica, ma fare anche attenzione a ogni cambiamento di situazione. Ma naturalmente, in questo gioco, non entra lo Stato, trattato da Mundell alla stregua di un’interferenza. L’impostazione resta "mercatista". Qualche tempo fa, a proposito della crisi negli Usa, diceva che «la tassa alle imprese è forse la peggior tassa immaginabile poiché colpisce l’aspetto più efficiente delle imprese. Lo Stato prende il 35% dei profitti aziendali senza investirvi nessun capitale». Domani, ci sarà spazio anche per la letteratura con l’intervento dello scrittore Paolo Giordano, vincitore dello Strega lo scorso anno con il romanzo La solitudine deinumeri primi . Terrà una lectio magistralis intitolata "L’ultima notte di Evariste Galois". Venerdì tocca alla chimica con i due Nobel Roald Hoffmann e Richard Ernst, l’uno sulla geometria della molecole, l’altro sull’analisi infinitesimale della risonanza magnetica. Ci saranno anche le medaglie Fields per la matematica Edward Witten, Timothy Gowers e Vaughan Jones, mentre per la fisica Arno Penzias, altro Nobel, e Nicola Cabibbo, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. Ma va segnalato, nel rapido elenco, anche l’aspetto artistico della matematica, nella fattispecie con la mostra "Figure impossibili" sull’artista svedese Oscar Reutersvard, un predecessore di Escher nei paradossi della percezione. C’è uno spazio anche per la letteratura, presentati da autorevoli scrittori, filosofi, matematici e giornalisti scientifici italiani come Gabriele Beccaria, Marco Cattaneo, Riccardo Chiaberge, Giulio Giorello, Armando Massarenti, Claudio Procesi. Resta da chiedersi però, aconclusione di tutto il ragionamento, se la formula del festival funzioni ancora o se non abbia finito, con la propria inflazione, a fare della cultura solo una vetrina effimera. C’è da chiederselo oggi a maggior ragione dopo la debacle di un premio letterario prestigioso come il Grinzane, trascinato nello scandalo dalle accuse di malversazioni al suo presidente Giuliano Soria - cronaca di questi giorni. E anche festival che tutto sommato avevano costruito un’esperienza duratura come quello della filosofia di Modena, non se la passano meglio. In quest’ultimo caso si è dimesso persino l’architetto della kermesse filosofica, Remo Bodei. Odifreddi, che del festival matematica è principale ispiratore, invece la formula festivaliera la difende.«Nei premi come il Grinzane o lo Strega non ci sono conferenze. Lì sono la cerimonia, i pranzi, gli invitati che contano. I festival sono tutt’altra cosa. Nel nostro caso ci sono una dozzina di conferenze di altissimo livello. Tra Roma e New Yorkabbiamo otto premi Nobel. Non vengono a pavoneggiarsi. Faranno lezioni anche abbastanza tecniche. La formula del festival è diversa quindi dai premi, non sono solo pranzi e cene. Il festival della matematica, poi, non è un evento ipertrofico come la Fiera del libro di Torino che è per definizione un supermercato degli editori. Mi permetto di dire che la nostra è propria un’offerta culturale. Si fanno lezioni, conferenze, mostre. Nei premi invece la cultura è solo l’involucro, quello che c’è dentro conta assai poco. Terrei ferme le distinzioni».
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