Il Cavalier Silvio predica bene ma razzola male. Insiste sull’importanza del concetto di fiducia, invita gli italiani a non tenere i risparmi nel cassetto ma intanto è proprio lui che dà il cattivo esempio. L’idea che, siccome c’è la crisi, non si possa spendere e che, anzi, bisogna fare più attenzione perché ci sono i parametri di Maastricht da rispettare, non sta certamente aiutando l’Italia ad affrontare come si deve la dura fase di recessione che l’Europa sta attraversando. E non sta nemmeno contribuendo a salvaguardare i nostri conti pubblici, dal momento che se il Pil crolla, giocoforza diminuiscono le entrate. Quello di cui ci sarebbe bisogno, semmai, è una manovra espansiva, capace di rilanciare la domanda interna e di stimolare al meglio il nostro apparato produttivo, ad esempio attraverso l’avvio di opere pubbliche veramente utili per il paese, non certo il ponte sullo Stretto di Messina. Esattamente quello che il governo non ha volutofare, nella convinzione che la strategia più opportuna fosse quella della riduzione del danno - con l’aumento delle risorse per gli ammortizzatori sociali - con la speranza che "a nuttata" passasse in fretta. Invece non solo la situazione è andata via via peggiorando ma il picco negativo non è stato ancora toccato, se è vero che stiamo andando incontro a «un ulteriore deterioramento del mercato del lavoro», come ha dichiarato ieri il presidente della Banca centrale europea Jean Claude Trichet. Secondo Trichet, per intravedere i primi segnali di ripresa dell’economia bisognerà attendere la metà del 2010. In questo contesto, la manovra anticrisi approvata lo scorso 26 giugno si rivela «inutilmente modesta», essendosi limitata a una detassazione al 50% degli utili reinvestiti dalle aziende in macchinari e apparecchiature fino al 30 giugno 2010. Il tagliente giudizio è del settimanale inglese The Economist che in un articolo pubblicato oggi dedica ampio spazio alla situazionedell’economia di fronte alla crisi. E’ vero, scrive l’Economist, che il sistema finanziario italiano ha subito di meno le conseguenze della crisi mondiale, ma ciò non toglie che l’Italia sia particolarmente esposta agli effetti della recessione, soprattutto per la forte dipendenza dalle esportazioni e per l’altissimo indebitamento dello Stato. Il presidente del Consiglio la vede in un altro modo: se il pessimismo dilaga, sostiene Berlusconi, la colpa è della stampa e delle televisioni che pubblicano le stime negative sulla crescita del nostro Pil diffuse da tutti i centri studi internazionali. Dopo il botta e risposta tra il ministro Tremonti e il governatore Draghi, persino l’Istat finisce nel mirino di un governo che vede "corvi" dappertutto. Immediata la replica dell’Istituto: «Ogni paese, una volta prodotti i dati, non può esimersi dall’obbligo deontologico di renderli noti all’intera collettività oltre che a Eurostat, poichè costituiscono un bene pubblico, indispensabile perprendere decisioni consapevoli in campo economico e sociale. Inoltre - conclude la nota dell’Istat - rappresentano per tutti i cittadini uno strumento importante di sviluppo della democrazia». L’opposizione va all’attacco. Se anche i conti pubblici vanno male, accusa il segretario del Prc Paolo Ferrero, la responsabilità è delle «politiche economiche e sociali del governo Berlusconi, politiche che continuano a finanziare e foraggiare solo e solamente le imprese, per non dire degli aiuti sparsi a piene mani a favore di banche e banchieri, a reprimere i consumi, a comprimere salari e pensioni, a partire dallo sciagurato accordo separato sulla contrattazione». La strada da prendere, propone Ferrero, non può invece che essere «una e una sola: aumentare le tasse ai ricchi, introdurre la patrimoniale e la tassa di successione, combattere l’evasione fiscale e perseguire i paradisi fiscali e i grandi evasori, aumentare salari e pensioni, estendere la cassa integrazione a tutti, introdurreil salario minimo». Per la Cgil i dati dell’Istat «confermano che il deficit cresce fuori misura se non si mettono in campo misure anti-recessive in linea con i provvedimenti varati in tutti i maggiori paesi industrializzati». Come sottolineano i maggiori organismi internazionali, infatti, «l’Italia spende meno di 9 miliardi di stimolo alla ripresa in due anni, ovvero meno di un decimo della spesa media mondiale per contrastare la crisi e rilanciare l’economia».
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