Una due giorni, quella del Centro Studi di Confindustria organizzata nei padiglioni della Fiera di Parma, in cui, come ogni due anni, il padronato italiano si fa i conti in tasca, presenta l’elenco delle lamentazioni, chiede al governo di turno di farsi carico delle difficoltà del Sistema Paese, nello specifico del sistema industriale, che non smette di sbuffare e arrancare da sempre, figuriamoci in un contesto di crisi internazionale che da un paio d’anni imperversa e, più che frenare, ha azzerato la crescita. E siccome il convegno ha lo scopo di presentare i conti al governo, chiedendo una serie di atti e fatti, soprattutto sul versante delle agevolazioni, prebende e aiuti finanziari "strutturali", ecco che la presidente degli industriali italiani dà voce al malessere del padronato, dicendo a un Berlusconi seduto in prima fila, con accanto il sodale ministro del Lavoro Sacconi: «Basta con le promesse generiche. Confindustria adesso chiede algoverno impegni precisi in tempi precisi: riforma del fisco, taglio della spesa pubblica improduttiva, soldi per infrastrutture, ricerca e innovazione». Come si vede, la litania è sempre la stessa. Forse però i tempi sono davvero cambiati anche dal lato degli industriali, perché la platea, nelle prime file i pezzi grossi delle banche italiane e delle grandi imprese pubbliche e private, non ha tanta voglia di sghignazzare come è avvenuto in passato, e neppure sembra ben disposta di fronte alle solite boutade del premier, un specie di clown dalla gag facile e dalle ancora più facili promesse, regolarmente non mantenute e rinviate alle calende greche. Per questo Marcegaglia insiste: «Vogliamo impegni precisi con tempi precisi. Non chiediamo solo riforme che sono le solite e che purtroppo in questo Paese non sono mai state fatte. Chiediamo al premier Silvio Berlusconi da subito, da qui a fine anno, un piano serio per tagliare la spesa improduttiva che in questo Paese è ancoraaltissima, perché non è accettabile che tutti debbano tirare la cinghia ma lo Stato non lo faccia. Chiediamo entro fine maggio, entro i due mesi che mancano alla nostra assemblea, investimenti per 2,5 miliardi di euro per infrastrutture essenziali, ricerca e innovazione». E inoltre, la road map di Emma prevede: «Fisco più leggero, federalismo fiscale, un piano nazionale per il nucleare». Ma, «siamo fermi perché siamo stati colpiti fortemente dalla crisi - ripete il capo di Confindustria - e in questi due anni non abbiamo perso solo il 6% del Pil, in realtà abbiamo smesso di crescere da dieci anni e la ricchezza per ogni persona in Italia è diminuita rispetto all’Unione europea del 7%. Non è solo la crisi di due anni ma un processo di più lungo termine. Dobbiamo fermare questo processo perché meno crescita vuol dire più problemi per l’occupazione e per l’economia». E’ proprio quello che vanno dicendo i lavoratori e i sindacati da mesi e mesi, con i numeri della perdita dipotere d’acquisto di salari e stipendi, con le percentuali della disoccupazione, con il salasso di posti di lavoro e gli operai sardi e lombardi o i ricercatori dell’Ispra arrampicati su gru e cornicioni. «E’ venuto il momento di riprendere a crescere tutti insieme - ha concluso nostra signora di Confindustria - ed è venuto il momento di lanciare una sfida: crescere del 2% di Pil ogni anno per i prossimi tre anni. Questo vuol dire produrre 50 miliardi di euro in più di ricchezza e creare 700 mila posti di lavoro in più». Ma, a fronte dell’affermazione di Marcegaglia che a un certo punto aveva supplicato: «Uniamo le nostre forze per voltare pagina. E’ la crisi peggiore degli ultimi cinquant’anni. Tutti: governo, imprese e sindacati dobbiamo lavorare per evitare il peggio. Dati scientifici dimostrano che il Paese sta declinando», quando è stata la volta del capo del governo, Silvio Berlusconi, come se niente fosse, come se la presidente degli industriali non avesse parlato, o comese più probabilmente lui non avesse ascoltato né voluto ascoltare, ha rintuzzato: «Non facciamoci toccare dal pessimismo e dal catastrofismo che viene da tante parti. Che non siamo in declino lo dimostra la pubblicità che è tornata a salire. Stamattina mio figlio mi ha detto che le cose vanno bene e che la pubblicità in Spagna e Francia è cresciuta». Ma si può andare avanti così, con gli imbonimenti del magliaro di turno in veste di capo del governo? E come fanno gli imprenditori italiani a non alzarsi e andarsene, di fronte a uno che crede di poter continuare a vendere fumo mentre l’Italia va in cancrena? E invece, senza pudore, il Cavaliere mostra agli industriali convenuti il libro "Il governo del fare": «Questo libro racconta cosa il governo è riuscito a fare in questi due anni. Solo a leggerlo fa sentire stanchi - sorride a 64 canini il premier - abbiamo operato come mai un governo ha operato nella storia della Repubblica». Finale con standing ovation per il segretariodella Cisl Raffaele Bonanni che dal palco di Parma ha scoperto le sue carte: «Per salvare l’Italia ci vuole un patto imprese-sindacati, almeno quelli che ci stanno, per un manifesto comune da presentare al governo». Così si sa già chi pagherà il conto.
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