-E’ arrivata la bufera, è arrivato il temporale-, cantava Renato Raschel. In verità, del fatto che l’allarme e la sfiducia dei mercati abbiano investito ieri prima di tutti l’Italia, insieme alla Spagna e di conseguenza le grandi economie creditrici e al contempo deficitarie, Germania e Francia, non ha voglia di parlare nessuno. Fra quelli che la crisi la gestiscono, s’intende. E però chi la crisi si prepara a gestirla come si deve - come cioè conviene alla riproduzione del profitto - , anzi chi è adibito a farlo con gli strumenti del governo politico, parlare dovrà per forza. Così, mentre il gestore massimo della mazzata che sta per piombarci addosso continua a tacere, mentre tutti pendono delusi dalle labbra serrate di Tremonti che negli ultimi tempi ha preferito pronunciarsi solo attraverso oscuri oracoli sulla «tenuta» italiana e insieme sulla «crisi durevole di sistema», alla fine del Venerdì Nero delle Borse europee con Piazzaffari in primopiano nel disastro subito dietro Madrid, qualcuno ieri sera c’è stato. Ed è stato, guarda caso, il più mediaticamente intraprendente degli uomini della Lega nel governo: Calderoli. Che l’ha messa così, provando a sfumare la sua cravatta verde dietro il conservative blue reso brillante da Cameron: -Proporrò in sede di Governo, quando affronteremo la manovra finanziaria, un taglio almeno del 5% agli stipendi di ministri e parlamentari, come hanno fatto in Inghilterra e Portogallo-. In verità, nell’esternazione serale di Calderoli la notizia si nascondeva subito dietro lo zucchero del "sacrificio" dei politici: «A breve dovremo affrontare una manovra che prevede tagli e strumenti per il rilancio dell’economia». E poi_ «I tagli alle spese comporteranno sacrifici per tutti». Naturalmente, s’è affrettato a ripetere il minstro della Semplificazione, -a partire da ministri e parlamentari-. Ma, semplificando, non proprio così: perché Calderoli stesso ha sentito il bisogno di aggiungere, inquesta ricerca d’aura di correttezza ed onestà, che «la regola del 5 per cento che hanno applicato in altri Paesi può valere in alcuni settori, ma in altri potrebbe essere anche più pesante». E siccome da Calderoli c’è da attendersi equazioni semplici, se ne deduce che la mazzata -più pesante- non sarà esattamente per gli eletti dal popolo ma. presumibilmente, per qualcuno di più e più "in basso". Non per caso da sinistra è arrivato un tentativo di replica, per bocca del portavoce della Federazione, Paolo Ferrero: che ha pensato bene di rilanciarla, la proposta di Calderoli sul taglio delle retribuzioni di eletti e governanti, ma per ribaltarne il senso sulla questione vera. Dice Ferrero: «Il problema vero è aumentare gli stupendi di tutti gli altri». E dal congresso della Linke tedesca prova a disegnare un’ipotesi alternativa: -Tagliare le spese per le grani opere inutili, come il ponte sullo Stretto e il nucleare, per aumentare in modo significativo i salari, a partiredall’abbattimento della tassazione sul lavoro dipendente, trasferendola sulle rendite speculative e finanziarie; così da rilanciare davvero la ripresa e l’occupazione-. Appunto, si tratta di un’ipotesi alternativa alla realtà che Calderoli ha fatto in modo (nel suo modo) di annunciare: sta per abbattersi sull’Italia quel «rigore» stabilito nel vertice dell’Eurozona del fine settimana scorso e che già ha messo in subbuglio, oltre la tumultuante Grecia, Spagna e Portogallo. «Rigore» fatto di tagli, precisamente: al "capitale variabile", anzitutto, all’umanità delle forza di lavoro e di chi in generale produce la ricchezza sociale. Tagli del salario e del reddito, tagli dei servizi, dunque innalzamento ulteriore del costo della vita, dal quale si attende che risulterà per equazione semplice una nuova accumulazione di profitto. Peccato, proprio, per la domanda interna, per non parlare di -ripresa- ed -occupazione-. Questa è la partita, come hanno chiarito i "pacchetti" non solo diPapandreou in Grecia ma anche e soprattutto, negli ultimi giorni, del Portogallo e di Zapatero in Spagna. La "novità", che non è tale sul piano della realtà concreta ma lo è su quello della realtà formale proposta dal confronto fra i poteri in Europa, è esattamente l’Italia. Il debito pubblico maggiore dei "periferici" dell’Eurozona ma grazie al «contenuto» deficit meno immediatamente minaccioso, s’era detto. Ebbene, i mercati, proprio i mercati, non ci credono. Per ore ieri gli analisiti si sono affannati a spiegare il crollo di Milano con un orientamento degli investitori su piazze rese più forti, presuntivamente, dalla dinamica delle politiche di bilancio concordate in Europa: a partire da quella di Francoforte, dalla Germania. Ma anche Francoforte ha ceduto. Ed è crollata Parigi, sono crollati gli scambi nella Francia con la quale è impegnato gran parte del debito italiano. La diffidenza, la sfiducia dei mercati è ben più radicale: e si poteva capire benissimo dalla mattina, quandoin un’ora i Credit default swap, che assicurano gli attori di mercato dal rischio di crollo dei titoli pubblici e su cui quegli attori ad un tempo scommettono, sono saliti di 7 punti e mezzo. E il problema è ormai evidente. La risposta è già pronta, da mesi: ieri Calderoli ha rotto il silenzio di Tremonti.
|