Manovra, il bluff di Tremonti -Non metteremo le mani in tasca ai cittadini, non aumenteremo le tasse ma ridurremo la spesa pubblica lì dove è meno produttiva e dove non ha un effetto recessivo». Giulio Tremonti prova a rassicurare gli italiani, messi in allarme dalle drammatiche indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi sui contenuti della manovra correttiva da 27,6 miliardi di euro che il governo si appresta a varare in fretta e furia dopo i richiami al rigore nei conti giunti da Bruxelles a seguito della crisi greca. Il ministro dell’Economia getta acqua sul fuoco: nessun taglio alle pensioni e agli stipendi dei dipendenti pubblici. -Chi deve preoccuparsi sono i falsi invalidi e i veri evasori-, avverte Tremonti nella conferenza stampa tenuta a Bruxelles dopo la riunione dell’Ecofin. Precisazioni che, però, non convincono. Innanzitutto perché ancora non si capisce da dove il governo prenderà tutti queisoldi, così all’improvviso, dopo avere raccontato per mesi la favola che l’Italia non correva alcun rischio e che stavamo molto meglio degli altri paesi. Se è vero che «per l’Italia non cambia nulla rispetto ai numeri per cui si è impegnata in Europa» (il ministro ha confermato una riduzione del deficit sul Pil dello 0,8% per il 2010 e dello 0,8% per il 2011, quindi un totale dell’1,6% su due anni) allora perché adesso scopriamo che c’è bisogno di 27 miliardi per raddrizzare i conti? E’ vero che i pozzi dai quali attingere non mancano. Come i 120 miliardi di evasione fiscale di cui ha parlato ieri la Cgil. Tuttavia, l’unica novità che per il momento si annuncia su questo fronte è che l’Agenzie delle Entrate sta per varare il nuovo Redditometro. Tra i nuovi parametri considerati per la determinazione del reddito presunto ci saranno l’acquisto di mini-car, le iscrizioni a club e scuole esclusive, le spese per i viaggi all’estero, la stipula di polizze assicurative e le spese diristrutturazione. Bene. Difficile però immaginare che il nuovo redditometro possa bastare da solo per imprimere quella svolta che serve nella lotta all’evasione. Tremonti ha quindi spiegato che nell’ambito della spesa pubblica «c’è una vasta e ampia area di spesa improduttiva. Per esempio, c’e la spesa per l’invalidità che dal 2001 ad oggi, col Titolo quinto che ha dato alle Regioni poteri di spesa ma non di presa, è salita da 6 miliardi di euro a 16 miliardi di euro, un punto di Pil. E poi ci sono trasferimenti dal ministero degli Interni ad una platea di Comuni che ammontano a 15 miliardi ogni anno. Ci sono dunque enormi margini di intervento - osserva il ministro - senza che si producano effetti distorsivi o recessivi». Solo lotta agli sprechi? E allora perché ieri il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ha detto che l’ipotesi che la manovra correttiva allo studio del governo contenga tagli alla sanità è «plausibile»? Anche sulle pensioni Tremonti è stato ambiguo: «InItalia - afferma - abbiamo il sistema previdenziale più stabile d’Europa. E se mi chiedete se stiamo stravolgendo il sistema pensionistico vi dico di no, perchè il sistema funziona». Parole che, però, non escludono l’ipotizzato dimezzamento delle "finestre" di uscita per la pensione di anzianità e per quella di vecchiaia nel 2011. Tremonti si sbilancia invece sul possibile taglio del 5% degli stipendi dei parlamentari: «Mi viene da ridere. Per me è solo l’aperitivo», dice. La assoluta mancanza di chiarezza da parte del governo fa imbestialire l’opposizione e i sindacati: «Non sappiamo nulla sui conti, bisogna chiedere ai servizi segreti», sbotta il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Sulla stessa linea anche la Cgil, che per bocca del segretario Guglielmo Epifani chiede al governo «di uscire dalle incertezze di queste ore, dalle fughe di notizie che allarmano lavoratori e pensionati e aprire un tavolo di confronto sia con le organizzazioni sindacali, sia in Parlamento». Per ilmomento, tuttavia, Corso Italia non pensa a uno «sciopero generale», che si fa «quando si proclama, e si proclama quando tutte le cose sono chiare e sono definite». Ma Epifani avverte: per fare una manovra di così grandi proporzioni serve equità «e il segno dell’equità - sottolinea - non lo dà la riduzione del 5% degli stipendi delle indennità dei parlamentari, cosa che pure può essere ammessa in un quadro generale, ma lo danno altre misure di equità sociale, quelle di cui il governo fino ad ora non parla».Roberto Farneti Perché l’Ue non è in grado di fronteggiare la speculazione E ’ durata pochissimo l’illusione che l’attacco della speculazione finanziaria fosse stato fermato dai 750 miliardi di euro messi a disposizione dei paesi più indebitati e più fragili della zona euro dalla riunione del 9 maggio del Consiglio Europeo. Il lunedì, è vero, registrava un forte balzo in su delle Borse: tuttavia già martedì cominciavanole vendite dei titoli più apprezzati e le Borse tendevano a flettere; e poi c’è stato un nuovo crollo. La portata di quel balzo in su e di questi crolli, tutto in pochi giorni, significano che a produrli è stata la grande finanza (le banche d’affari associate di Wall Street e Hongkong e il loro supporto londinese). Inoltre è avvenuto che le prime vendite riguardassero soprattutto titoli bancari, mentre quelle successive hanno riguardato più tipi di titoli, e tra essi quelli di stato di Spagna e Portogallo: ciò significa che la speculazione tende ad alzare il tiro, sta sondando il terreno dell’intera Europa, sta guardando all’euro come tale. Una conferma dell’inadeguatezza sostanziale delle misure del 9 maggio viene anche dal fatto che l’euro non solo rimane molto basso in rapporto al dollaro ma che per iniziativa della speculazione continua a calare. L’altra cosa che il Consiglio del 9 maggio ha deciso è di colpire pesantemente redditi da lavoro, pensioni, "stato sociale" ecc. intutta l’Unione Europea. Il giornalismo servo del Corriere della Sera ha affidato ai suoi editorialisti la definizione di uno dei due obiettivi sostanziali: l’abbattimento del "welfare socialista". In altre parole, di uno dei risultati fondamentali di centocinquant’anni di lotte di classe dei lavoratori europei. Il Consiglio ha anche deciso una lunga depressione europea, il che significa che deficit e indebitamento di ciascun paese continueranno a crescere. Puoi tagliare reddito popolare quanto vuoi, ma la diminuzione delle entrate fiscali supererà i risparmi di bilancio. Infine, l’avvitamento per un lungo periodo tra politiche antisociali sempre più pesanti e il fallimento dell’obiettivo di risanamento dei bilanci pubblici è dunque sostanzialmente garantito. Martedì 18 maggio si sono riuniti dapprima i ministri "ecofin" (economici e finanziari) della zona euro, poi è toccato al Consiglio Eurofin nella sua pienezza. Nel mandato loro assegnato c’è da delineare un pacchetto di misureche agisca direttamente contro la speculazione: limitazione (sic) delle vendite allo scoperto, controllo (sic) in generale sui prodotti derivati, regolamentazione (sic) in specie degli hedge funds ecc. Al Consiglio Europeo di giugno competerà di prendere decisioni definitive al riguardo, inoltre di decidere a proposito di un’agenzia europea di rating indipendente. I l problema che si cela dietro alla vaghezza delle voci è molto semplice: c’è da un lato l’intenzione dei governi di prevenire nuove grandi operazioni speculative a danno di paesi dell’euro e dell’euro stesso. E c’è dall’altro di non disturbare il mercato, ergo gli interessi di Wall Street e di Londra. Questo cerchio non è suscettibile di quadratura. Le misure consisteranno quindi in palliativi sostanzialmente inefficaci, che le banche di affari troveranno presto il modo di aggirare. Non sarebbe d’altra parte la prima volta che questo accade. Fino a quando non verrà deciso, se mai lo sarà, di impedire i prodotti derivatie, mettendo alle corde il governo britannico, di tassare brutalmente rendite e movimenti finanziari che non siano a sostegno della produzione reale o del consumo non si uscirà in Europa, nei prossimi anni, dal pericolo di assalti speculativi. Si è fatto anche evidente che l’Unione Europea non è istituzionalmente attrezzata a fronteggiare la speculazione. Tra le decisioni del 9 maggio ci sono misure più cogenti di quanto non sia nei Trattati nei confronti non solo dei paesi con elevati deficit di bilancio ma anche di quelli con elevati indebitamenti: tutti debbono rientrare in due o tre anni dentro ai parametri del Trattato di Maastricht. Inoltre i paesi con elevati indebitamenti debbono velocemente tendere ad avanzi primari. Tuttavia, niente davvero garantisce che queste cose avvengano effettivamente nelle quantità e nei tempi decisi. L’altro giorno la Merkel ha dunque cominciato a imporre delle cose. La cancelliera tedesca vuole che la gestione dell’Unione concretamente passi a unaspecie di direttorio composto dai governi di Germania e Francia e dalla Banca Centrale Europea. Altrimenti la Germania si riserva la più ampia libertà d’azione: compreso il ritorno al marco. A questo punto tenderanno ad allinearsi tutti alla Germania, pur nel quadro di qualche finzione di trattativa: un po’ per debolezza, un po’ per condivisione della medesima posizione liberista-monetarista. L’Unione Europea, anzi l’Europa nella sua virtuale interezza (la Gran Bretagna sta allineandosi alle medesime politiche dei governi dei paesi dell’euro), è dunque giunta alle soglie di un passaggio che ne riguarda tutta la realtà, caratterizzata sia da una durissima pressione sulle condizioni delle classi popolari che dalla tendenziale cancellazione di quel poco di democrazia che la caratterizza. L’Italia, tramite Tremonti, è stata tra i paesi che hanno mangiato tra i primi la foglia tedesca. Quindi ha da un lato aderito all’obiettivo di tagli drastici alla spesa pubblica, pur nella formatrattabile, "classica" in Italia, della "manovra" di aggiustamento. Nel mirino sono sostanzialmente pubblico impiego, pensioni e, cosa da sottolineare, le regioni meridionali, "ree" di non avere a posto la spesa sanitaria. Quest’ultimo dato merita molta attenzione. Lo strappo tedesco, palesemente lacerante l’Unione Europea tra paesi messi meglio e più forti e paesi messi peggio e più deboli, già da subito risulta lacerante anche per la tenuta del nostro paese, in ragione del suo storico dualismo economico.Luigi Vinci
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