Allarme salari, persi 5.500 euro in 10 anni
 











Dal duemila ad oggi i salari dei lavoratori italiani hanno perso complessivamente 5,500 euro, grazie a un’inflazione più alta di quella prevista (3.384 euro) e alla mancata restituzione del fiscal drag, calcolata in oltre duemila euro. A fare i conti - e a lanciare l’allarme - è l’Ires Cgil che ieri a Roma a presentato il suo quinto rapporto sulle retribuzioni.
Uno studio ricco di tabelle, dati, statistiche, che certifica l’impoverimento progressivo dei redditi da lavoro dipendente a vantaggio dei profitti, che dal 1995 al 2008 sono cresciuti invece di circa il 75,4%. «Al contempo, dal 1990 a oggi, si registra una crescita dei redditi da capitale (rendite) pari a oltre l’87%», rendono noto gli economisti di Corso Italia.
Aumenta insomma la forbice tra ricchi e poveri, figlia di una redistribuzione del reddito diseguale. Una ingiustizia resa ancora più forte dalla crisi economica. La riduzione dell’occupazione e l’abbattimento delleretribuzioni hanno infatti trascinato ancora più in basso il potere d’acquisto delle famiglie di operai e impiegati, che dal 2002 al 20010 hanno perso 3mila e 118 euro. Trend opposto invece per le famiglie di imprenditori e liberi professionisti, che hanno guadagnato 5mila e 940 euro. «Classificando i 30 paesi Ocse attraverso l’indice di concentrazione del reddito l’Italia risulta il sesto paese più diseguale», ricorda l’Ires Cgil. Basti pensare che nel periodo 2000-2008, a parità di potere d’acquisto, le retribuzioni lorde italiane sono cresciute solo del 2,3% rispetto alla crescita reale delle retribuzioni lorde dei lavoratori inglesi del 17,40%, francesi (11,1%) e americani (4,5%).
Già oggi, oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti italiani guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 7 milioni ne guadagnano meno di mille, di cui oltre il 60% sono donne. Oltre 7 milioni (63%) di pensionati di vecchiaia o anzianità guadagna meno di mille euro netti mensili. Da chi ècomposto il ventaglio delle disuguaglianze italiane? Elaborando i microdati dell’indagine sulle Forze di Lavoro Istat e prendendo come riferimento il salario netto medio mensile di 1.260 euro, emerge che: una lavoratrice guadagna il 12% in meno; un lavoratore di una piccola impresa (1-19 addetti) il 18,2% in meno; un lavoratore del Mezzogiorno il 20,0% in meno; un lavoratore immigrato (extra-UE) il 24,7%; un lavoratore a tempo determinato il 26,2%; un giovane lavoratore (15-34 anni) il 27,0% in meno e un lavoratore in collaborazione il 33,3% in meno.
Il fatto è che questa distribuzione diseguale del reddito non sembra nemmeno avere giovato al paese, visto che l’analisi dell’Ires Cgil sottolinea le note, irrisolte e perfino accentuate debolezze strutturali del sistema economico-produttivo italiano, emerse nell’ultimo decennio, che hanno portato una maggiore profondità della crisi rispetto agli altri paesi industrializzati. La produttività reale delle imprese italiane è cresciuta dal1995 di 1,8 punti percentuali, mentre quella delle imprese di Francia, Regno Unito e Germania è cresciuta dai 25 e i 32 punti. Colpa anche di un settore produttivo costituito per oltre il 90% da piccole imprese e «della forte specializzazione» di molte azienda «in settori a bassa intensità tecnologica e della conoscenza». Escludendo le piccole imprese dai raffronti sulla produttività, «i differenziali con gli altri paesi si riducono radicalmente», osservano gli economisti di Corso Italia.
Cosa fare? Per Guglielmo Epifani si potrebbe cominciare con «un intervento urgente che sgravi il lavoro dipendente» riequilibrando il peso del prelievo fiscale a favore dei salari. «I salari - denuncia Epifani - pagano al momento di più di altri redditi ed è necessaria una svolta che affronti il problema delle retribuzioni». Come Epifani la pensa Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera.
Va oltre invece la Federazione della Sinistra, che definisce la questione salariale«una vera e propria emergenza», contro la quale il governo non può più fare melina. «Serve una nuova "scala mobile", un sistema di indicizzazione automatico dei salari e delle pensioni legato al reale costo della vita» propone Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci. «E’ il momento che la sinistra - afferma ancora Diliberto - ricominci a ritrovare unità di intenti da questa verità. Il 16 ottobre prossimo, in occasione della manifestazione indetta dalla Fiom Cgil, ci si ritrovi tutti uniti e determinati a chiedere che i diritti dei lavoratori siano rispettati per davvero come sancisce la Costituzione, a cominciare dal diritto ad un lavoro certo e ben retribuito».
Ro. Fa.









   
 



 
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