Perché la crisi resiste ?
 







Rosario Amico Roxas




A parole vogliono convincerci che stiamo uscendo dalla crisi economica e anche meglio di molte altre nazioni occidentali, ovviamente merito del governo Berlusconi.
Intanto la crisi colpisce le fasce più deboli della popolazione, mentre le fasce opulenti, quelle che hanno lucrato nell’alta finanza, senza generare posti di lavoro, proseguono nelle loro operazioni finanziarie generando una lunga serie di scatole  vuote che garantiscono altr scatole  vuote, in un circuito perverso che produce carta straccia che banche compiacenti accreditano come denaro.
•Ma perché la crisi resiste così tenacemente ?
•Cosa manca per poter riprendere il cammino di un progresso “naturale” che non è mai coinciso con lo sviluppo ?
•Basterebbe fiscalizzare i redditi parassitari alla medesima stregua della fiscalizzazione riservata a stipendi, salari, pensioni e redditi da lavoro autonomo, come vogliono talune sinistre, ritenendo tale imposizione fiscalela panacea oggi mancante ?
Il mondo del progresso è ancora diviso tra imprenditoria da una parte e lavoro dall’altra, dove la parte predominante, almeno numericamente è quella dei lavoratori, peraltro sottomessi all’imprenditoria che privilegia operazioni finanziarie  ad attività produttive, avanzando, come motivazione, la crisi che ha limitato i consumi, per cui non tornerebbe utile finanziare la produzione, con relativi posti di lavoro, per assenza di consumi.
L’imprenditore rifiuta il suo stesso ruolo, bloccando, a monte, il circuito monetario e trattenendo quel denaro che, impiegato, rimetterebbe in circuito il rapporto tra produzione e consumi.
Dunque, se l’imprenditore, che è il punto di partenza della catena logica della spesa, prevede di non poter valorizzare il proprio capitale, si astiene dall’effettuare la spesa, anche a costo di lasciare inutilizzati quei valori d’uso esistenti, che avrebbero potuto essere combinati per dar vita al processo materiale diproduzione: la  differenza tra "forma materiale" e "forma sociale" del valore d’uso si coglie proprio qui, giacché un valore d’uso materialmente disponibile non viene riconosciuto socialmente come "risorsa", dato che il suo impiego non condurrebbe alla riproduzione dei rapporti sociali dominanti.
Ciò che quindi viene a mancare è la spesa di denaro come capitale; è solo perché il capitale, come denaro, media altresì la riproduzione del polo opposto del rapporto di produzione (nella forma di spesa di reddito della classe dei salariati) che la mancata spesa di capitale refluisce negativamente anche sulla domanda per consumi. Del tutto conseguentemente, ogni "allentamento quantitativo" viola i vincoli che i rapporti di produzione capitalistici impongono alla circolazione del denaro, perché ne evoca la presenza pur mancando le condizioni per la valorizzazione; o, se si preferisce, comporta l’immissione, nella sfera della circolazione, di una quantità di denaro che, sulla base delmodo capitalistico di produzione, non avrebbe dovuto esserci. Ne discende, com’è ovvio, una svalorizzazione del denaro stesso e, parallelamente, un aumento dei prezzi.
Così  si perfeziona il solo circuito che interessa il capitale e il capitalismo, che è quello di salvare se stesso; quel capitalismo  che nel liberismo ha trovato il suo Iperuranio, rinnegando e ostacolando la funzione di controllo dello Stato, salvo ad appellarsi al medesimo Stato per salvaguardare se stesso e  ottenere salvacondotti fiscali in veste di scudi fiscali,m condoni, sanatorie e “entrambi gli occhi chiusi” sulle evasioni fiscali.
In un momento di acuta crisi economica, l’ultimo politico o pseudo politico che potrebbe amministrare una nazione è il miliardario (in euro) chiamato a legiferare proprio in difesa della sua casta di privilegiati, trascurando il resto della popolazione che paga lo scotto di avergli  dato una fiducia immeritata.









   
 



 
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