La cancrena dell’evasione e i suoi corrotti beneficiari
 











Il tema centrale della politica italiana, quello che più di ogni altro rivela e riassume con specchiata chiarezza la natura dei rapporti sociali in Italia è la dimensione dell’evasione fiscale. Ogni tanto, carsicamente, in occasione dei periodici rapporti dell’Agenzia delle entrate o della Corte dei Conti, se ne parla, con esibito scandalo e grandi doglianze. Ma non se ne trae alcuna conseguenza: se va bene, il fenomeno è fatalisticamente derubricato a imponderabile evento climatico quando, con spudorata spregiudicatezza, non se ne rivendica, come fa Berlusconi, la liceità e il buon diritto.
Proviamo a mettere in fila qualche dato. L’evasione fiscale - al netto delle pratiche elusive, al servizio delle quali è all’opera un instancabile esercito di consulenti e dottori commercialisti esperti nell’aggiramento di obblighi e divieti previsti dall’ordinamento - ha superato, nel 2010, i 50miliardi di redditi non dichiarati. Un primato assoluto inEuropa, con la Romania ad inseguire, al secondo posto, a dieci lunghezze di distanza. Considerato che il contributo all’erario viene essenzialmente dal lavoro dipendente e dalle pensioni attraverso la ritenuta alla fonte, ne consegue che l’evasione sta tutta nella parte alta della piramide sociale.
Gli industriali, innanzitutto, guidano questa speciale e non edificante classifica: sottodichiarazioni di fatturato, sovradichiarazioni di costi, occultamento dell’intera filiera produttiva sono le modalità ampiamente collaudate, soprattutto nelle aree più ricche del Paese, Lombardia in testa e, a ruota, il Veneto. Seguono, in questa hit-parade della virtù, commercianti, artigiani, professionisti. E la voragine aumenta ogni giorno d’ampiezza. Nel 2010, le Fiamme Gialle hanno "pescato" col sorcio in bocca 8850 evasori totali, il 18 per cento in più dello scorso anno, mentre l’Agenzia delle entrate ci informa - ma il dato non è nuovo - che il fisco mette concretamente all’incasso solo il10,4 per cento delle somme evase accertate. Ciò significa che anche quando l’evasore incappa nella tagliola della verifica ispettiva, soltanto in un caso su dieci paga dazio. In buona sostanza, la frode rende e la furbizia - perché questo è passato nel senso comune - è una dote dal coltivare con scientifico scrupolo. A questo proposito, il procuratore generale della Corte dei Conti ci ha reso edotti del costo diretto della corruzione in atti amministrativi, roba che vale fra cinquanta e sessanta miliardi annui.
Senza valutare il contraccolpo che questa devastazione produce sulla qualità dei servizi e sugli investimenti esteri.
Le conseguenze di un siffatto furto continuato ai danni della collettività sono note: tagli demolitivi alla scuola, all’università, alla ricerca, alla sanità, alle pensioni, all’assistenza, alle fasce deboli, agli ammortizzatori sociali, alla giustizia.
L’intero sistema del welfare viene così semplicemente prosciugato, mentre la divaricazione fra iredditi, la forbice fra retribuzioni, profitti e rendite si allargano in modo indecente.
Come si può vedere, l’esito del conflitto di classe in Italia, così pesantemente sfavorevole al lavoro, travalica i confini dei luoghi di produzione per riverberarsi sull’insieme dei rapporti economico-sociali, plasmando ogni decisione politica.
Togliere i soldi ai ricchi per darli ai poveri - diciamolo pure nel modo più lineare - è dunque questione cruciale, ma meno semplice e intuitiva di quanto parrebbe, se i tanti che subiscono ingiustizie e vessazioni da parte dei pochi che ne traggono profitto non hanno ancora compreso dove stia la ragione delle proprie sofferenze e in modo più efficace per opporvisi.
Informare, far comprendere, ricostruire i nessi logici resi impenetrabili dalla propaganda che li ottunde è dunque un compito primario. Prima di tutto nostro. E’ la premessa che genera l’indignazione. E che trasforma l’indignazione in lotta e in battaglia politica. DinoGreco

 









   
 



 
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