Draghi come Confindustria: per crescere serve più flessibilità
 











Ultimo discorso del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, in procinto di lasciare Roma e approdare a Francoforte, dove sarà il nuovo dominus della Banca centrale europea.
Una relazione resa come sempre davanti alla folta platea di banchieri e imprenditori italiani e stranieri, alla pletora dei rappresentanti del governo e del Parlamento, all’intellighenzia e all’accademia economico-finanziaria che ogni anno si riunisce nel salone di Palazzo Koch.
In prima fila il presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi - che dell’Istituto di Via Nazionale è stato a sua volta governatore, prima di fare il presidente del Consiglio negli ormai lontani Anni Novanta - oggetto ieri di ampi riconoscimenti, assieme allo scomparso Tommaso Padoa Schioppa, sul terreno della severità delle misure di contenimento della spesa pubblica e delle strategie di pareggio di bilancio, che sono al centro anche di quest’ultimo documento e rimangono con ognievidenza la preoccupazione più acuta del governatore in uscita, in nome dello slogan "tornare alla crescita" che ha chiuso questa 117^ relazione ma che aveva aperto il suo primo discorso, ricorda Draghi, cinque anni fa, all’atto dell’insediamento ai vertici della Banca d’Italia.
E la ricetta, se si escludono i toni un po’ più distaccati e in alcuni passaggi "risorgimentali" quasi commossi, in effetti è rimasta pressoché la stessa, solo con un’articolazione, per così dire di lungo periodo, riguardo agli snodi su cui oggi si incaglia la maggiore criticità del sistema Italia, a paragone con il resto d’Europa, soprattutto Francia e Germania, e con il resto del mondo.
Tralasciando qui gli aspetti più tecnici, sulle dimensioni bancarie e finanziarie in senso stretto, Draghi ha elencato otto questioni su cui l’Italia rischia di mancare la crescita. Tra queste, sono sei i punti "sensibili" che caratterizzano la filosofia del banchiere centrale, al netto da altre suggestioni, messi inordine di rilievo. Primo: l’efficienza della giustizia civile, con mille giorni di durata di un processo ordinario, che colloca l’Italia al 157° posto su 183 paesi censiti dalla Banca mondiale, con «un potente attrito economico, oltre che di ingiustizia», fattore di freno alla crescita fino a un punto percentuale del Pil, e che giustificherà una riforma della giustizia che ha tutt’altri propositi.
Terzo: la scarsa concorrenza, specialmente nei servizi di pubblica utilità, per i quali «non si auspicano privatizzazioni senza controllo», come pretendeva cinque giorni fa la presidente di Confindustria, ma viene sollecitato «un sistema di concorrenza regolata, in cui il cliente e il cittadino siano più protetti, ma senza rendite e vantaggi monopolistici che deprimono l’occupazione e minano la competitività».
Quarto: il disastroso ritardo sugli altri paesi europei nella dotazione di infrastrutture, per le quali i programmi del governo hanno previsto ulteriori tagli, fino a determinare«incertezza nei programmi, carenze di progetti e di selezione delle opere, frammentazione e sovrapposizione di competenze, inadeguatezza nell’affidamento dei lavori e nella verifica degli avanzamenti, che da noi producono opere meno utili e più costose».
Quinto: la riforma dei contratti di lavoro perché, «seppure il lavoro a tempo determinato e parziale ha contribuito a innalzare il tasso di occupazione», rimane un pronunciato dualismo tra la flessibilità in ingresso e quella in uscita. «Riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro migliorerebbe - secondo Draghi - le aspirazioni di vita dei giovani; spronerebbe le unità produttive a investire di più, a inserirli nei processi produttivi, a dare loro prospettive di carriera».
Sesto: come per Sergio Marchionne ed Emma Marcegaglia, anche per il governatore uno dei fattori che frenano la crescita è la qualità delle «relazioni industriali (che) devono favorire l’ammodernamento e la competitività del sistema produttivonell’interesse di tutte le parti. Sono stati compiuti passi per rafforzare il ruolo della contrattazione aziendale, ma la prevalenza di quella nazionale - critica Draghi - e l’assenza di regole certe nella rappresentanza sindacale ancora limitano la possibilità per i lavoratori di assumere impegni nei confronti dell’azienda di appartenenza, ne attenuano la capacità di influire sulle loro stesse prospettive di reddito e di occupazione».
Infine, ottavo punto: «Il sistema di protezione sociale deve essere posto in grado di offrire, a chi perde definitivamente il lavoro "e ne cerca attivamente un altro", un sostegno sufficiente. Non stiamo proponendo un assegno indifferenziato per tutti, ma occorre che la sorte di chi lavora in aziende che non hanno più prospettive di mercato sia resa meno drammatica, anche per non ostacolare il ricambio fisiologico delle imprese».
Per il resto: nessuna critica al sistema bancario e finanziario, che ha fatto tutto quello che doveva e meglio di cosìnon poteva fare; pochi rilievi alle aziende italiane, che han fatto anch’esse la loro parte pur nella crisi globale, benché stentino ancora a crescere, a uscire dalla gestione familistica, ad adattarsi alle innovazioni imposte dalla sfida planetaria.
Per finire, molti elogi al mai nominato ministro Tremonti, per le politiche fiscali e di contenimento della spesa pubblica, anche se «i tagli lineari sono un errore e invece vanno fatti tagli selezionati e mirati voce per voce» come aveva iniziato a fare Padoa Schioppa.
Può mai cambiare l’Italia, se le diagnosi e le terapie sono sempre le stesse dai terribili Anni Novanta?
Per di più la Borsa valori in calo nella prima parte della seduta, di riflesso al forte ribasso di  Wall Street e al nuovo downgrade della Grecia a opera di Moody’s, che parla apertamente di rischio default per il paese. L’indice Ftse Mib cede lo 0,72%, a 20.715 punti, All Share a -0,73%. Giu’ le banche, Fiat, Pirelli e St. Bancari colpiti dai rinnovatitimori per il debito greco. Ubi in particolare perde il 2,8% dopo la fissazione del prezzo per l’aumento di capitale. Intesa -1,4%, Bpm -1%, Monte Paschi -1,1%, Unicredit -0,5%. Fiat in calo del 2,9%; a maggio il Lingotto recupera quote di mercato in Italia, ma a preoccupare e’ il dato complessivo sulle vendite di auto, che lascia presagire un 2011 difficile per il settore. In calo anche Pirelli (-1,8%). Qualche rialzo nell’energia, con Enel +0,7%, Snam +0,7% e Teerna +0,8%. Eni perde invece lo 0,8%. Debole St (-2,2%) .









   
 



 
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